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TELEFILM KOLOSSAL. «Touch», i fili del mondo nelle mani di un bambino

Andrea Alfieri lunedì 19 marzo 2012
​Che sia l’agente dell’antiterrorismo Jack Bauer nella serie 24 o Martin Bohm, un padre vedovo con un figlio affetto da autismo nella nuova Touch, Kiefer Sutherland in tv finisce sempre per fare la stessa cosa: correre come un forsennato per sventare attentati e salvare persone.Allora come oggi ci troviamo davanti ad una serie televisiva kolossal con investimenti da capogiro e che punta a risultati da capogiro. Debutterà martedì in contemporanea in 64 Paesi, Italia compresa. Da noi sarà trasmessa in prima serata da Fox su Sky. Il giorno prima negli Usa andrà invece in onda il secondo episodio, dopo l’ottimo esordio, lo scorso 25 gennaio, della puntata pilota seguita da oltre 12 milioni di spettatori.Per raggiungere il successo, Touch mescola diversi elementi: teoria del caos e modelli matematici complessi, new age e previsione del futuro, romanticismo e azione, terrorismo e l’11 settembre. Sutherland interpreta Martin Bohm, ex giornalista rimasto vedovo (la moglie è morta nell’attentato dell’11 settembre) con un figlio di undici anni, Jake. In quale, in tutta la sua vita, non ha mai voluto essere toccato e non ha mai detto una parola. L’unica cosa che fa (in continuazione) è scrivere su un quaderno delle serie di numeri. Per merito di un professore, Martin scopre che in realtà ciò che scrive suo figlio sono schemi numerici con i quali è in grado di collegare eventi apparentemente lontanissimi, prevedendo il futuro. «A Martin non resta che interpretare il misterioso dono del figlio e cercare di salvare vite e prevenire disastri».Secondo la stampa americana, Touch si rifà sia alla serie tv Flash Forward sia a film come Segnali dal futuro con Nicolas Cage. Per non parlare di Babel con Brad Pitt, che era tutto dedicato al cosiddetto «effetto farfalla», la teoria secondo la quale in realtà tutti siamo collegati. «Quindi se una farfalla batte le ali in Brasile, in Texas arriva un tornado». Lo stesso tema affrontato dal telefilm Heroes, creato da Tim Kring, che ora firma Touch. Su un punto però occorre chiarire subito le cose: anche se sembra partire da una tesi complessa e «filosofica» non aspettatevi dalla serie altro che voli di fantasia. Il tutto narrato in maniera molto veloce e complessa. Per capirci: in una puntata di 50 minuti si assiste al salvataggio di uno scuolabus pieno di bambini, alla rinascita di un vigile del fuoco perseguitato dai sensi di colpa per non essere riuscito a salvare tutti l’11 settembre, all’ascesa nel mondo dello spettacolo di una centralinista che canta solo Bob Marley, al recupero di una coppia devastata dal lutto e allo smantellamento di un attentato kamikaze in Medio Oriente. Senza contare i tanti momenti forti del rapporto di Bohm col figlio autistico. Tanto. Per alcuni, persino troppo.