Agorà

Percorsi. Tolstoj, l'epica del bene

Carlo Ossola domenica 21 giugno 2015
«Come fosse accaduto, quando fosse spuntato il demone dietro quegli sguardi e quei sorrisi, e avesse afferrato tutti e due contemporaneamente, lei non poteva dirlo, ma allorché aveva sentito paura del demone, ormai i fili invisibili che li legavano erano così intrecciati…»: sembra il Dostoevskij dei Demoni ed è l’ultimo Tolstoj [ Jàsnaja Poljana 1828 - Astàpovo 1910 ], Ciò che mi è apparso in sogno, 1906 (ma edito postumo nel 1911). Non si può parlare dell’uno senza l’altro: Dostoevskij non cercherà che rifare un’epica altrettanto corale di quella di Guerra e pace (1863-1869), mentre Tolstoj partirà per il suo ultimo viaggio, verso la Crimea, il 28 ottobre 1910, lasciando aperto sulla scrivania il volume dei Fratelli Karamazov. Tolstoj ricapitola tutto intero il XIX secolo: Manzoni e Stendhal nel mito di Napoleone, in Guerra e pace; il trionfo e la fine della borghesia, delineato già da Flaubert in Madame Bovary, 1856, nei grandi affreschi di Anna Karenina (1873-1877) e della Sonata a Kreutzer (1889-1890), il dramma della coscienza e l’eredità del cristianesimo nella Confessione (1882) e nella Morte di Ivan Il’ic (1886), che si compie in un riscatto etico di cui Resurrezione (1889-1899) è suggello. Approfondisce la meditazione sul popolo, già iniziata da Leskov e Gogol, in un grandioso programma politico incentrato sulla pace, sulla non-violenza, su nuove basi sociali del vivere che non lascerà indifferente lo stesso Gandhi. Si farà promotore di edizioni a bassissimo presso di grandi testi della tradizione occidentale, dalla Didaché all’A se stesso di Marc’Aurelio, affidandone la diffusione alla casa editrice Posrednik (L’intermediario). Del 'suo' popolo, sino agli ultimi racconti, Tolstoj avrà sempre ammirazione e pietà, solidale e dolente: «E pensare che tutto questo si verificava ora per migliaia, decine di migliaia di uomini in tutta la Russia e si è compiuto e si compirà ancora a lungo a danno del mansueto, saggio, santo e così crudelmente e perfidamente ingannato, popolo russo» (Canti in campagna, racconto breve, redatto nel 1909, edito nel 1910). E forse tutta la sua lezione politica è raccolta in quella breve battuta posta al centro della Chodynka, 1910: «'Dove sono? E voi chi siete?' - 'Alla Chodynka. Chi sono io? Un uomo». A differenza di Dostoevskij, lo sguardo di Tolstoj sa soffermarsi e indugiare sul grigiore del quotidiano (in certi tratti assomigliando ai personaggi manzoniani non sfiorati dalla Grazia): «Per intraprendere qualcosa nella vita familiare, sono indispensabili o un completo dissidio fra i coniugi o un amorevole accordo. Quando invece i rapporti fra i coniugi sono indefiniti e non c’è né l’uno né l’altro, nulla può essere intrapreso» (Anna Karenina, parte VII, cap. XXIII). E in effetti, tutto il dissidio della protagonista è nella lucidità con cui si esamina, nella sincerità con cui si dichiara, e nel limite fluttuante del dono di sé: « Je n’ai pas le coeur assez large» ( VII, X), dovrà riconoscere. In questa ammissione, nel dimettersi da sé, dal proprio orgoglio, inizia un lento silenzioso percorso che porterà alla finale clausola di Levin: «[…] ci sarà lo stesso muro fra il tempio dell’anima mia e quello degli altri, e perfino mia moglie accuserò sempre alla stessa maniera […], non capirò con la ragione perché prego e intanto pregherò, ma la mia vita adesso, tutta la mia vita, indipendentemente da tutto quello che mi può accadere, ogni suo momento non solo non è più senza senso, come prima, ma ha un indubitabile senso di bene, che io ho il potere di trasfondere in essa!» (Anna Karenina, explicit). Da giovani si ama Dostoevskij, il suo bisogno, pascaliano e radicale, del pari, della scommessa sui destini ultimi; ma oggi Tolstoj è argine e faro; ci costringe fermamente a credere nell’«indubitabile senso di bene» lasciato nel fondo del cuore umano. Così che anche in Resurrezione, di fronte alla prostituta Ljubka (e forse veramente Katjuša), il protagonista riconosce infine la propria miseria: «Nel suo animo si compiva un lavoro spaventevolmente doloroso. La sua crudeltà, la sua vigliaccheria, la bassezza della sua azione gli apparivano a un tratto, e quel velo strano che per un miracolo durante quei 14 anni gli aveva nascosto il suo delitto, era strappato per sempre. Egli si stupiva oggi di aver potuto essere quel velo dietro il quale si era nascosto» (abbozzo dalla prima redazione di Resurrezione, VIII-VI). E quando infine il velo di ciascuno di noi si lacera, lì non c’è più morte: infatti «Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?» (I Cor., XV, 55); così paolinamente l’inobliabile finale della Morte di Ivan Il’ic: «'E la morte? Dov’è?' Cercò la sua solita paura della morte e non la trovò. Dov’è? Ma che morte? Non c’era più paura perché non c’era più morte. Invece della morte, la luce. '- Dunque è così! - disse d’un tratto ad alta voce. - Che gioia!' Tutto questo non fu che un attimo per lui, ma il senso di quell’attimo ormai non poteva più mutare. Per i presenti la sua agonia durò ancora due ore. Qualcosa gorgogliava nel suo petto; il suo corpo macerato si scuoteva. Poi il gorgoglio e il rantolo si fecero sempre più rari. - 'È finito!' - disse qualcuno. Egli udì questa parola e se la ripeté nell’anima. 'Finita la morte, - si disse. Non c’è più, la morte'. Trasse il fiato, si fermò a mezzo, s’irrigidì e morì». Se Dostoevskij cerca la purezza dell’Annuncio, Tolstoj è il lento testimone della rivelazione da sé a sé, e contro di sé, soprattutto, come nel mirabile finale del racconto breve Lo ieromonaco Isidòr (scritto nel 1909, edito nel 1912), ove il protagonista, esausto di tanta ascesi, si riconosce vinto: «Sì, tutto è finito, non c’è soluzione, non c’è salvezza. La cosa principale è che non esiste quel Dio che io servivo, al quale avevo dato la mia vita, che ho pregato di rivelarsi a me, che avrebbe potuto sentirmi. Non c’è Dio…». Così si chiude 'Il diario di Isidòr' alla data del 15 settembre 1902, ma nei frammenti preparatori di questo racconto incompiuto, le rubriche finali altro recitano: «11. Prende su di sé la colpa. 12. Viene giustiziato, insieme con due ladroni »…