Agorà

L'anniversario. Testori e il sacro, la "maestà" delle donne

Fulvio Fulvi sabato 4 marzo 2023

Franca Valeri e Giovanni Testori a Milano

Mogli e compagne uccise, maltrattate e ridotte a “cosa” dall’odio e dalla prepotenza di mariti e partner. Femminicidi e altre nefandezze contro le donne sono “emergenze” dei giorni nostri. Eppure, quarant’anni fa, con un articolo sul Corriere della sera, Giovanni Testori, di fronte ai primi sporadici fatti di cronaca, già invocava l’intervento dello Stato con una legge che difendesse madri e ragazze dalle violenze e dai soprusi dei maschi. E con la stessa intensità e “consonanza” commentò, sullo stesso giornale, l’uccisione di una bambina e un matricidio feroce rivolgendosi con sguardo pietoso e severo al giovane assassino. Ora questi tre testi, impregnati di tragica poesia, sono riproposti in una piéce per la regia di Marco Martinelli che rivive sul palcoscenico del deSidera Teatro Oscar di Milano, A te come te (oggi ore 20.30 e domani alle 16): è un abbrivio del ricco programma che, tra letteratura, teatro, arte e fotografia, celebra nel 2023, il centenario della nascita e il trentennale della morte del grande intellettuale cattolico.

Testori temeva, allora, che l’orrore fosse coperto e cancellato dall’indifferenza di chi si rifiuta di vedere la realtà così com’è: «Non vorremmo che – scrisse – come va succedendo per altre vergogne e per altri delitti, a furia di parlarne, scriverne e discuterne, senza mai assumere la responsabilità di un gesto, si finisse per diminuirne la gravità, l’irreligiosa e disumana vergogna, si finisse, insomma, per abituare l’uomo a ciò che non è umano». Sulla scena, a interpretare le parole taglienti e misericordiose dello scrittore di Novate, c’è Ermanna Montanari, attrice di rango (Premio Ubu e Premio Duse) e fondatrice, con Martinelli, del Teatro delle Albe di Ravenna. Le “letture recitate” saranno cadenzate, come in un melologo, da inserti musicali curati dalla cantautrice Serena Abrami (esordì al Festival di Sanremo nel 2011 come nuova proposta con un brano di Niccolò Fabi e ha collaborato poi, tra gli altri, con Max Gazzè, Paola Turci e Simone Cristicchi): i canti sono tratti dalla tradizione popolare lombarda.

Il rapporto tra Testori e le donne è strettissimo, e non solo dal punto di vista biografico: la madre, le sorelle, le nipoti con cui visse e condivise anni importanti della sua esistenza. Ma perchè l’intera sua opera letteraria è permeata, anzi penetrata, dalla figura femminile intesa come generatrice di vita. È per questo che per lui il drammaturgo è come una levatrice: fa nascere il teatro dalla carne viva, tirando fuori le parole che servono da quella «grande fenditura di cui la donna è l’emblema e da cui tutto è uscito» e che – precisava – è anche «il luogo di germinazione del Verbo». Le donne delle tragedie di Testori sono sempre vibranti, materne e sensuali, peccatrici ma sempre bramose d’amore, pur nella colpa e nel sangue in cui restano avvolte. Come nella sua prima scrittura teatrale messa in scena, Caterina di Dio: tre atti rappresentata solamente il 10 gennaio 1948 nel Teatro della Basilica di Milano (una chiesa sconsacrata che non esiste più), per la regia di Enrico D’Alessandro. Nel ruolo della mistica medievale che appare a un gruppo di teatranti dei tempi nostri fu scelta Franca Valeri quando ancora si chiamava Anna Franca Maria Norsa e non aveva mai recitato. Lo spettacolo fu definito dalla critica «uno dei più singolari drammi sacri del dopoguerra» e l’attrice milanese, che di Testori diventò poi grande amica, venne descritta «esangue ed arsa nell’abito bianco della domenicana». Il copione purtroppo è andato perduto. Ma quel duplice debutto fece scalpore e tracciò un destino. «Ero giovanissima, alla mia prima esperienza e affrontai il personaggio con molta emozione – racconterà la Valeri – e oltretutto era un testo drammatico lontano da quello che sarebbe diventato il mio genere, la signorina snob». E dodici anni più tardi l’autore di Novate disegnerà sul talento di Franca il personaggio di Maria Brasca, l’unica donna testoriana che non soccombe alla disperazione e che confida nel futuro. La Maria Brasca è riproposto dal Teatro Parenti di Milano con Marina Rocco e Luca Sandri, per la regiua di Andrée Shammah (sabato 4 e domenica 5 marzo le ultime repliche).

È il breve sodalizio con Luchino Visconti, però, che farà esplodere l’inquieta coscienza di Testori nel raccontare con spietato realismo, dopo la bufera provocata dal film Rocco e i suoi fratelli, ispirato ai suoi racconti de Il ponte della Ghisolfa, la storia di una donna costretta a vivere in un contesto di sesso e violenze, ma per farne emergere, nella tragedia, la sua umanità. È L’Arialda, tratta da I segreti di Milano, interpretata da Rina Morelli con Paolo Stoppa, Valeria Moriconi e Umberto Orsini. Lo spettacolo debuttò il 22 dicembre 1960 all’Eliseo di Roma e ne seguirono 52 repliche. Ma quando approdò a Milano, al Teatro Nuovo di piazza San Babila, il pubblico protestò vivacemente non accettando il racconto esplicito di amori omosessuali e le realistiche invettive contro i “terroni abissini”. Una gioventù bruciata all’ombra della Madonnina che non piacque neanche al procuratore che ne impedì la messa in scena. Testori e Visconti furono denunciati per spettacolo «triviale» e «osceno». Ma quattro anni dopo verranno scagionati da ogni accusa. L’attrice Lucilla Morlacchi così ricordò la sera della prima: «C’era una forte tensione tra il pubblico, sentivamo l’elettricità nell’aria, e una certa Milano aspettava al varco regista e autore…». La rabbiosa battuta finale dell’Arialda-Morelli, ossessionata dalla morte prematura del fidanzato, prvocò brividi sulla schiena degli spettatori e una diffusa indignazione “borghese”: «E adesso venite giù o morti, venite, perché se i vivi sono così, meglio voi. Meglio la vostra compagnia!».

La monaca di Monza, rivisitazione introspettiva della storia narrata dal Monzoni nei Promessi sposi, fu scritta da Testori per Lilla Brignone. Nel cast, insieme a Sergio Fantoni, anche Valentina Fortunato e una giovanissima Mariangela Melato. Lo spettacolo, ancora per la regia di Visconti, debuttò a Cesena, Teatro Bonci, il 28 ottobre 1967. Testori immagina qui che Virginia De Leyva esca dalla tomba e processi spietatamente chi in vita le negò la libertà di essere donna e madre. Un urlo, quello della monaca, che assomiglia alle invettive di Erodiade (monologo del 1983) di cui Adriana Innocenti è stata la prima impareggiabile interprete: «Giovanni, ultimo profeta, precursore dei santi e della croce.... maschio crudele e rabbioso del tuo cielo...».

Poi, il registro testoriano cambierà, perchè il teatro è epifania e la lingua deve essere capace di esprimere persino ciò che di più atavico e istintivo si nasconde nel cuore dell’uomo. Arriva così quell’elettrico ed eclettico effluvio di parole distorte, squartate, scosse, inquinate da lemmi e idiomi inventati, spagnoleggianti e latineggianti, farcito da francesismi che si innestano nel lombardo e nell’italiano corrente: parole sorprendenti «mai biascicate prima» dove quasi sempre tutto ruota, ancora, attorno a una donna che si arrovella in un tormento e balbetta, oltraggiosa, di un’amore incompreso: Cleopatràs, Erodiàs, Madre Strangosciàs, i Tre lai, l’epilogo di una vita di desideri, di scandali e spasmodici tentativi di “toccare il Mistero” con il solo potere della Parola.