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TEATRO. Lazzarini: «In scena l'amore di chi cura la follia»

Andrea Pedrinelli sabato 2 ottobre 2010
«Il centro di questo lavoro è l’uomo. Muri racconta che occorre appropriarsi anche del dolore altrui, perché siamo tutti persone. Mettendo in scena questa pièce ho pensato al Non abbiate paura di Wojtyla, che per me è pure un non abbiate paura di occuparvi degli altri: anche se costa fatica». Giulia Lazzarini parla così della nuova sfida con cui debutta oggi (in prima nazionale) al Piccolo Teatro di via Rovello a Milano: inaugurando in realtà la stagione di un’altra storica sala milanese, il Teatro della Cooperativa, la cui produzione è per l’occasione ospitata al Piccolo. Giulia Lazzarini ha scritto la storia della prosa contemporanea passando da Strehler/Beckett a Lievi/Miller: ed ha portato la cultura in tv fra teatro e noti sceneggiati: ma a 76 anni osa ancora, in uno spettacolo da sola che dà voce a un viaggio nella sofferenza. Muri, scritto e diretto da Renato Sarti, parla infatti di quelli che dicono «matti» e di un’infermiera che li segue prima e dopo la legge Basaglia. Prima, quando i «matti» erano visti quasi come oggetti; dopo, quando si comprese che non bisognava «custodirli», ma curarli. E l’artista, impersonando una Mariuccia realmente esistita, arriva in fondo a chiedere alle coscienze se l’uomo d’oggi sia ancora capace di amore e pietà.Signora Lazzarini, il sottotitolo della pièce adombra un bilancio, «Prima e dopo Basaglia».«Il nostro intento è raccontare una realtà. Sarti lavorò nel ’72 in un teatrino nell’Ospedale psichiatrico di Trieste, e vide da vicino alcuni internati raccogliendo testimonianze come quella dell’infermiera che ora io interpreto. E che mi ha colpito, perché ha vissuto un percorso di prese di coscienza. Prima eseguiva ordini, quando i "matti" venivano trattati con camicie di forza o elettroshock; e poi, quando Basaglia parlò di rispetto e dialogo, si è vergognata. Di lì Mariuccia ha fatto dell’aiuto a chi soffre una ragione di vita: ancora oggi lavora da volontaria con i disabili, ha aiutato i drogati. Muri testimonia quanto conta donarsi».Ma non rischiate di fare una lezione scientifica, di invadere col teatro un – controverso – terreno medico?«Direi di no. Anche perché Mariuccia dice di cose vissute in prima persona ieri, non commenta l’oggi: non lo conosce. Vogliamo solo testimoniare certi errori perché non si ripetano, un dovere del teatro».In Muri sottolineate anche la necessità di ridare etica ai rapporti umani, mi par di capire…«Assolutamente: e non solo riguardo i malati. Oggi il discorso va allargato: manca pietas, abbiamo paura dei presunti "diversi", dei vecchi, della morte».La gente, alla lettura scenica estiva, ha capito?«Si commuovevano: non so quanto si rendessero conto che non tutto era spettacolo, però voglio provarci, a far pensare a certe cose. Mi ricordo la mamma di una ragazza down che mi disse di aver fermato giovani che guardavano sua figlia come un animale per dire loro che sapeva che non potevano far nulla per lei, però potevano sorriderle. Perché era una persona. Spero che Muri faccia capire cose simili».Ma a Giulia Lazzarini chi glielo fa fare, a 76 anni, di andare sul palco da sola, di fare tournée con personaggi scomodi invece che in ruoli d’effetto?«Mah… Bella domanda. Non è ambizione, né necessità pratica. Valuto le parti in base alla possibilità che ho di dire delle cose. Il teatro è una passione, se vuole è mettersi in gioco come fare l’infermiera. E forse invecchiando si è più generosi, si va in scena per provare a fornire agli altri tramite il nostro lavoro una riflessione sulla società che è di tutti».