Agorà

INTERVISTA. Tawfik: la rivoluzione sotto scacco

Alessandro Zaccuri venerdì 22 giugno 2012
La «primavera» stretta tra le mire dei militari e degli islamisti? In Egitto Younis Tawfik non c’è mai stato, ma chi legge il suo ultimo romanzo, ambientato al Cairo nei giorni della rivolta contro Mubarak, non se ne accorge. La ge­nesi di La ragazza di piazza Tahrir (Barbera, pagine 160, euro 13,50) è infatti per molti versi simile a quel­la delle primavere arabe che stanno al centro del libro: informazioni raccolte in rete, immagini rilanciate dalla tv via satellite, notizie che pas­sano di bocca in bocca attraverso il telefono... «A differenza di quanto era successo poco prima in Tunisia – spiega Tawfik – la sollevazione po­polare in Egitto era nell’aria da tempo. Le prime avvisaglie si erano avute nel 2007, nel 2008 ottocento­mila persone avevano manifestato contro il regime rispondendo a un appello lanciato dai social network. Nel gennaio del 2011, quando l’ura­gano si è scatenato, molti di noi e­rano già in allerta». Nato in Iraq nel 1957, poeta e narratore, da sempre appassionato della nostra letteratu­ra e da tempo naturalizzato italia­no, Tawfik è un osservatore attento di quanto accade nel mondo arabo. «Ho visitato quasi tutti i Paesi della regione – dice –, ma non sono an­cora stato al Cairo. Eppure, in quei giorni, era come se fossi lì».Merito di Facebook e Twitter?«Amal, la protagonista del roman­zo, entra in contatto con i sogni e le inquietudini degli altri giovani pro­prio attraverso la rete, e anche a me è capitato qualcosa di simile. Certo, è stata una rivoluzione sorretta dal­la tecnologia, ma a renderla possibile è stato uno strumento molto più antico».Quale?«La lingua, e cioè l’arabo semplifi­cato che ha iniziato a circolare sul web, abbattendo le barriere tra una nazione e l’altra, creando un unico spazio di dibattito e di confronto. Ma non bisogna dimenticare il ruo­lo, davvero cruciale, svolto dalla televisione. Il maxischermo di al-Jazeera trasmetteva in tempo reale quello che accadeva in piazza, gli spettatori di tutto il mondo potevano vede­re con i loro occhi gli sviluppi della protesta. Dove non arrivavano le telecamere, poi, arriva­vano i video realizzati dai ragazzi con gli smartphone».Mi scusi, ma lei crede davvero che i new me­dia si siano dimostrati più forti dei blindati dell’esercito?«Nel mio libro ci sono molte poesie, l’avrà no­tato, e l’ultima riga coin­cide con un verso che mi pare abbastanza chiaro: “I lupi non sono ancora scomparsi!”. Già un anno e mezzo fa era evidente che la partita si era chiusa nel mo­mento in cui i militari avevano ne­gato il proprio appoggio a Muba­rak, con conseguenze che appaio­no di giorno in giorno più preoccu­panti. L’esercito ha compiuto molti passi falsi, ma adesso potrebbe es­sere propenso ad accettare, almeno in via formale, l’elezione dell’isla­mista Mursi alla presidenza della Repubblica. Anche perché, stante la situazione attuale, quello del pre­sidente è un incarico privo di vero potere. La giunta militare avrebbe tutto l’interesse a lasciare il campo ai Fratelli musulmani, addossando loro la responsabi­lità di un fallimento che purtroppo sem­bra inevitabile. Do­po di che, con l’a­cuirsi della crisi, l’e­sercito tornerebbe in scena, forte di un’apparente legitti­mazione».Così il tradimento della rivoluzione sa­rebbe completo.«Il rischio c’è, nessu­no è tanto ingenuo da negarlo. Ma nello stesso tempo sareb­be ingiusto chiudere gli occhi davanti alle trasformazioni che le “primavere” del 2011 hanno operato. La società araba, oggi, non è la stessa di due anni fa. Il ruolo delle donne, per esempio, è emerso in modo prepotente, non soltanto in Egittto e Tunisia, ma anche in Yemen, per­fino in Siria».Nel suo libro, tuttavia, la madre di Aman è la figura più conservatri­ce... «Molto spesso si pensa che il mon­do arabo si afflitto da un problema di maschilismo, dimenticando che a pesare sulla condizione femmini­le è anche una visione distorta del matriarcato, sorretta da una cattiva interpretazione del Corano. Amal, nel romanzo, si scontra con la ma­dre, ma nel frattempo scopre che la madre stessa è stata una ragazza come lei, che anche lei ha cono­sciuto l’amore e la passione. Non diversamente, da giovane il padre di Amal è stato un oppositore del regime di Sadat, è stato imprigiona­to per le sue idee e questo lo ha spezzato. Non ne ha mai parlato con i figli, neanche quando il fratel­lo di Amal si è lasciato tentare dal fondamentalismo».Invenzione o realtà?«Un’invenzione basata sulla realtà, direi. Nei Paesi arabi c’è un muro tra la generazione dei padri e quella dei figli. La memoria non viene tra­smessa, le brevi utopie del passato non hanno più cittadinanza. Ma in Egitto anche questa barriera ha ini­ziato a incrinarsi grazie alla rivolta del 2011».E i giovani occidentali? Non le sembrano più distratti rispetto ai coetanei arabi?«Finora è stato così, ma adesso ho l’impressione che la crisi stia smuo­vendo le coscienze. In Europa, oltre che negli Stati Uniti, i giovani si rendono conto di trovarsi in un momento di svolta: nulla sarà più come prima, questo lo abbiamo ca­pito. Il mondo di domani, però, di­pende dai ragazzi. E i ragazzi se ne stanno accorgendo, come dimostra in queste ore la ripresa delle mani­festazioni in piazza Tahrir».