Agorà

REPORTAGE. Su e giù per i Colli, oasi verde nel «piatto» della pianura

Antonella Mariani domenica 15 maggio 2011
Come scogli che affiorano disordinati in un grande mare: una visione che da sempre sorprende e affascina scrittori e poeti ma anche i viaggiatori che si trovano a percorrere in auto la Pianura padana da ovest a est. Dopo chilometri e chilometri di paesaggio piatto e uniforme, ecco che a sud-ovest di Padova, in piena pianura, ci si imbatte in un gruppo di colline che si affollano come per caso intorno alla cima più alta, il Monte Venda, 600 metri di vigneti, boschi e sentieri. Curiosità orografica che ha appassionato generazioni di geologi, con i suoi paesaggi dolci ma anche labirintici, disegnati da una natura capricciosa e incline al caso, l’insieme dei Colli Euganei merita un viaggio alla ricerca di infinite suggestioni: paesaggistiche, gastronomiche, enologiche, spirituali... E anche letterarie, perché questo territorio da secoli ispira capolavori in prosa e in versi. Pure la metafora dell’isolotto in mezzo al mare andrebbe protetta da diritto d’autore: i pendii verdi, punteggiati da ville patrizie decadenti e fascinose (e oggi anche dalle unghiate lasciate dalle cave), fecero lo stesso effetto a Percy Bysshe Shelley, che nel suo poemetto Versi scritti fra i Colli Euganei (ottobre 1818), affacciandosi dalle terrazze del Monte Venda osservava che «sotto si stende come mare verde / senz’onda la pianura della Lombardia (…) », e da lì la vista spazia fino a Venezia, «pupilla dell’Oceano». È possibile che Shelley avesse letto la descrizione del geologo inglese John Strange, che intorno al 1770 aveva notato che i Colli «sorgono isolati come scogli nel mare». Il percorso letterario tra i dolci declivi, allora, può iniziare proprio da Percy e Mary Shelley, che soggiornarono a Villa ai Cappuccini (oggi Piccioni), a Este, splendida città murata. I due sposi inglesi, grazie alla mediazione di Byron, nell’agosto 1818 affittarono la villa – semplice e dimessa all’esterno, riccamente decorata secondo il gusto neoclassico all’interno – dal console inglese a Venezia, e durante quel soggiorno nacquero Giuliano e Maddalena e Prometeo liberato. Di ville storiche sono disseminati i pendii collinari: residenze patrizie dei veneziani, che a partire dal XV secolo inaugurarono la cosiddetta "civiltà della villa" (in una di queste, Villa Mocenigo Mainardi, vicino ad Abano, soggiornò nel 1778 Giacomo Casanova), dove lo sfarzo interno si accompagnava a magnifici giardini. Come quello, imperdibile, di Villa Barbarigo di Valsanzibio (nel Comune di Galzignano), allestito in stile barocco con grotte, cascatelle e persino un labirinto, «emblema della ricerca in cui è sempre possibile smarrirsi», come si legge nella recente Guida dei Colli Euganei a cura di Francesco Selmin (Cierre edizioni con il Parco regionale dei Colli Euganei, euro 16). E l’inquietudine di chi cercava se stesso ha portato in questo territorio anche Ugo Foscolo; appena 18enne, lo scrittore fu ospite nell’estate del 1796 a Villa Manin di Feriole, vicino ad Abano Terme, ai piedi delle alture, per sfuggire al controllo della polizia veneziana. Qui, in quest’oasi – ancora oggi – di tranquillità e di silenzio, Foscolo con ogni probabilità elaborò il primo abbozzo delle Ultime lettere di Jacopo Ortis e in effetti il protagonista si muove in un paesaggio euganeo rivisitato dalla sensibilità preromantica, pieno di «burroni infecondi», selve frementi, «precipizi» e «voragini», resi forse meno opprimenti dal fatto che laddove «si dividono i colli, s’apre all’occhio una interminabile pianura». Villa Manin è rimasta come dovette apparire al giovane esule: un palazzo campestre con la barchessa e un piccolo oratorio. Atmosfera più raccolta e rarefatta si respira qualche chilometro più a sud, all’estremità meridionale dei Colli Euganei, prima che ridiano spazio alla pianura: al fresco del Monte Ventolone – nome evocativo per un’altura che supera di poco i 400 metri – passeggiò il poeta che più di tutti ha dato lustro a questo territorio, tanto da imprimere anche il suo nome a uno dei paesini più suggestivi. Ad Arquà Petrarca c’è la casa in cui visse per quasi quattro anni, fino alla morte il 18 luglio 1374, l’autore del Canzoniere, e la sua arca funeraria accoglie i turisti nella piazza della chiesa. La passeggiata verso la casa del poeta è un tuffo nel passato: nel borgo il trascorrere dei secoli si legge nelle logge e nelle bifore delle dimore patrizie, negli archi in pietra, nell’acciottolato, nei muretti che delimitano i giardini dove crescono i giuggioli... La casa del Petrarca – più volte modificata dopo la morte del poeta e affrescata con scene ispirate alle sue opere – aiuta a sentirne l’ispirazione, se non altro nello studiolo con la sua seggiola e il suo armadio-libreria. E lui dovette aver amato molto questi luoghi, se si fece portatore presso i Carraresi, signori di Padova, dell’esigenza di avviare un piano di bonifica, «per raddoppiare la fertilità di questi vaghissimi e famosi colli Euganei ricchi del frutto di Minerva e Bacco». Shelley, Foscolo e Petrarca non esauriscono certo l’elenco di intellettuali in cerca di ispirazione in questi luoghi: in epoca contemporanea, Dino Buzzati si interessò dello scempio delle cave nel racconto fantastico I gatti vulcanici, breve racconto fantastico, e Antonio Fogazzaro descrisse le meraviglie dell’Abbazia di Praglia in un capitolo del Piccolo mondo moderno. A chiudere il cerchio tra passato e contemporaneo ecco il protagonista di Segni d’oro di Domenico Starnone: a bordo di una R4, esplora i Colli Euganei alla ricerca delle corrispondenze tra i paesaggi descritti da Foscolo e la realtà, mentre la studentessa che gli fa da guida è impegnata in un’inchiesta sul braccio di Petrarca, sottratto (per davvero!) dalla tomba nel 1630.