Agorà

NOVECENTO. Sturzo e il modello della «pax britannica»

Agostino Giovagnoli martedì 3 agosto 2010
Luigi Sturzo aveva seguito da vicino l’intenso dibattito tra i cattolici che ha accompagnato la Prima guerra mondiale, spaziando dal pacifismo ideologico di Guido Miglioli all’esaltazione religiosa del conflitto da parte di Romolo Murri, mentre su un piano più alto e universale si levava il solenne monito di Benedetto XV contro l’«inutile strage». In quel dibattito, il futuro esponente popolare Egilberto Martire mise in discussione le «tesi correnti in campo cattolico sul concetto di guerra giusta indicando acutamente lo scandalo giuridico implicito in ogni guerra ed avvertendo l’esigenza di una organizzazione internazionale che ponesse fine» a tale scandalo, come ha notato Pietro Scoppola. Martire, però, abbandonò presto queste idee, finendo per approdare, contraddittoriamente, all’esperienza clerico-fascista. Sturzo, invece, ne fece oggetto di una riflessione che egli ha sviluppata gradualmente nel tempo. Al congresso di Torino del 1923, egli registrò che tra le accuse dei fascisti ai popolari, c’era anche quella «dell’internazionalismo pacifista. Ci dipingono tiepidi patrioti e filo-internazionalisti. È superfluo dire che noi per le nostre idee internazionali non neghiamo la patria e la nazione. Noi neghiamo la concezione delle nazioni-impero, concezione egocentrica, esasperante e al di fuori della realtà. Noi siamo di tendenza internazionale nella questione della ricostruzione europea. Noi tendiamo verso forme più larghe di internazionalismo. Domani può attenuarsi la barriera nazionale in un interesse e in una vita internazionale? Vi ostano la lingua, la razza, il costume; ma queste barriere non sono insormontabili». Sotto la spinta delle critiche fasciste, Sturzo maturò una consapevolezza crescente del nesso tra la «iper-valutazione della nazione come entità spirituale superiore agli stessi uomini» e la «concezione che i nazionalisti hanno dello Stato»: militarista, oligarchico, autoritario, protezionista, uno Stato, insomma, anti-liberale e anti-democratico.È interessante che, per questa via, Sturzo sia anche giunto a mettere a fuoco in modo sempre più chiaro il rapporto che lega liberalismo e democrazia. A distanza di oltre ottant’anni, tale rapporto può apparire a molti evidente e indiscutibile, ma varie vicende del XX secolo sono state segnate dalla fatica di riconoscere che liberalismo e democrazia sono strettamente alleati. È una fatica ben conosciuta dal mondo cattolico italiano che, nel XIX secolo, aveva imparato a vedere nello Stato liberale un nemico da temere e da combattere. Anche Sturzo, che proveniva dalle fila dell’intransigentismo cattolico, si era formato in quel contesto. Quando, poi, nel primo dopoguerra, la classe dirigente liberale si mostrò radicalmente inadeguata davanti alle sfide della società di massa, il sacerdote siciliano ne svelò acutamente i limiti profondi e si batté per una trasformazione dello Stato in senso democratico. Le circostanze storiche, insomma, non lo spinsero ad approfondire fin dall’inizio il rapporto tra liberalismo e democrazia, anche se davanti all’aggressione fascista egli si schierò immediatamente sul terreno «costituzionale». Gli elementi nazionalisti e imperialisti della polemica fascista contro il popolarismo hanno indotto Sturzo a sottolineare, fin dal 1923, l’importanza dell’universalismo cattolico. Ed è anche sul filo di questa riflessione che egli ha guardato all’Inghilterra e ha poi scelto Londra quale luogo del suo esilio. La capitale dell’Impero britannico, infatti, era allora piena di personalità, di idee, di movimenti liberali fortemente proiettati verso l’esigenza di un nuovo ordine internazionale. In questo contesto Sturzo ha incontrato interlocutori interessati a capire il nuovo regime politico che si stava affermando in Italia e ad essi egli spiegò lo stretto rapporto tra componente antiliberale e tendenze imperialiste nel fascismo. Attraverso questo percorso egli ha maturato in modo crescente simpatia e interesse per la cultura politica liberale, come mostra una bella lettera a Guido De Ruggiero del 1925. Sono queste le premesse del volume su La comunità internazionale ed il diritto di guerra, con cui egli si propose, da una parte, di avvicinare i cattolici alle istanze pacifiste allora molto sentite in Inghilterra e altrove in Europa e, dall’altra, di smentire l’immagine di un cattolicesimo radicalmente contrario a una regolamentazione pacifica del sistema internazionale. Benché fin dall’immediato dopoguerra fosse iniziato un vivace dibattito su questi temi anche in campo cattolico, l’impresa di Sturzo urtò contro ostacoli rilevanti, come la dottrina della guerra giusta e l’immutabilità del diritto naturale, radicate in una filosofia tomista dominante nel cattolicesimo dell’epoca. Egli però, grazie anche alla sua vasta cultura, sapeva muoversi agevolmente su questo terreno e ha continuato a sostenere le sue posizioni anche con le riflessioni di Luigi Taparelli d’Azeglio, tra i maggiori iniziatori della scuola neotomista. Ancora più rilevante è la determinazione con cui egli sviluppò una riflessione non tanto teologico-filosofica, quanto storico-sociologica.La comunità internazionale ed il diritto di guerra presenta in modo robusto e consequenziale una riflessione che mostra non l’erroneità in astratto della dottrina della guerra giusta ma la sua impraticabilità nel contesto storico contemporaneo. Su questa base, egli giunge a sostenere l’abolizione non della guerra ma del diritto di guerra: profondamente consapevole che il conflitto, nelle sue molteplici forme, costituisce una costante della vicenda umana, egli argomenta in modo concreto la possibilità di sostituire la guerra con altri strumenti nell’ambito di un sistema internazionale regolato da norme di comportamento vincolanti per tutti gli Stati membri. Con questo volume, Sturzo si è inserito in modo autorevole nel dibattito sulla guerra che ha attraversato tutto il cattolicesimo novecentesco. A partire da Benedetto XV, infatti, seppure attraverso un percorso complesso e contraddittorio, i cattolici hanno progressivamente assunto le ragioni della pace e la causa delle organizzazioni internazionali. In tale percorso, Sturzo si distingue da altri per la sua maggiore capacità di saldare tale impegno alla difesa della democrazia e alla lotta contro il totalitarismo, grazie anche, come si è già detto, a un riconoscimento sempre più esplicito dell’eredità liberale.