Agorà

Intervista. Curreri: nostalgici in STADIO di grazia

Angela Calvini mercoledì 9 marzo 2016
«Il più bel premio è quello di incontrare in giro per l’Italia tanti giovani di 16 o 17 anni che sono nostri fan. Un ragazzo l’altro giorno ci ha ringraziato per avergli fatto scoprire i Beatles. Mi sono commosso ». Si sente una tenerezza autentica nella voce roca di Gaetano Curreri, leader degli Stadio, che si sta ancora godendo l’inaspettato primo posto al Festival di Sanremo con la struggente Un giorno mi dirai. Un successo popolare che ha lanciato il nuovo disco degli Stadio Miss Nostalgia, che ha fatto registrare, col suo esordio al terzo posto nella classifica album, la più alta posizione tra le uscite sanremesi. Ed ora il gruppo si prepara al tour nei teatri che partirà domani da Fabriano, per toccare poi la loro Bologna, Firenze, Roma, Milano, Napoli e tante altre città fino a maggio. L’avevamo lasciata ancora incredulo sul palco dell’Ariston col leone rampante in mano. Ma adesso ci credete di avere vinto Sanremo? «È stata una vera sorpresa fino all’ultimo, quel palco lo abbiamo amato e odiato in tutti questi anni. La nostra carriera è passata da lì, tra gioie e delusioni. Non dimenticheremo mai il nostro primo Sanremo nel 1984: arrivammo ultimi con Allo stadio, che poi divenne uno dei nostri cavalli di battaglia. Ci telefonò la notte stessa Lucio Dalla, di cui allora noi eravamo la band. “Fate in fretta i bagagli e partite, che vi porto in America”, ci disse. Facemmo un indimenticabile tour nei migliori club, una piccola rivincita». Però adesso avete rinunciato ad andare all’Eurovision Song Contest, come era vostro diritto in quanto vincitori di Sanremo, lasciando il posto alla ventenne Francesca Michielin. «Veramente l’ultimo Eurofestival che ho visto è stato quello con Toto Cutugno. Poi mi sono consultato, mi hanno spiegato che è una manifestazione giovanilistica, più immagine che musica, e fra me e me mi son detto: “Che ci andiamo a fare?”. L’ambizione ad andare in Europa resta, e il biglietto da visita di Sanremo è importante, ma vogliamo andarci con il gusto di suonare a modo nostro, a fare conoscere la nostra musica ma non su un palco ridondante». Il vostro bassista Roberto Drovandi, a caldo ha svelato: “Non avrei mai pensato di poter vincere il Festival un anno fa, in un letto di ospedale, in cui mi chiedevo se il giorno dopo sarei stato ancora vivo. Penso che mi abbia protetto mio padre da lassù”. Una doppia vittoria... «È stato un incidente di percorso, come pure è stata anni fa la mia emorragia cerebrale. Ma gli Stadio condividono tutto, gioie e dolori: siamo molto uniti e questa è la nostra forza». L’album apre con Miss Nostaglia e chiude con una canzone dolce e profonda, L’autunno ti dona, che riflette sul destino dell’uomo. Lei canta: «Il senso della vita se ne va»... «La prima e l’ultima canzone racchiudono il concept dell’album. Noi cantiamo la nostalgia, che è diversa dalla malinconia che è un sentimento che ti blocca e ti fa rinchiudere. La nostalgia è la benzina, il propellente per vivere un futuro migliore. In fondo noi siamo sempre stati un po’ così, basta pensare a Chiedi chi erano i Beatles. Insomma, noi Stadio crediamo di aver vissuto senza mai mollare». A proposito, lei crede? «Certo, io sono un credente. Sono molto legato alla figura di Giuseppe Dossetti, che è il mio modello. Un uomo capace di scrivere la Costituzione italiana e di partecipare al Concilio Vaticano II, è un personaggio unico. Sono molto legato al suo pensiero. Ho una tale passione che per lui vorrei scrivere la mia canzone più bella». Intanto la vostra Un giorno mi dirai ha colpito al cuore gli spettatori e fatto scatenare i sociologi sul ruolo del padre che «non deve piangere mai». «Il testo è di Saverio Grandi che ha lavorato a tutto l’album. Lui ha una figlia di 12 anni e una notte ha sognato che la consolava. La canzone è nata di getto: un padre, che per consolare la figlia dal dolore d’amore, apre i cassetti della nostalgia, raccontando anche i suoi sacrifici, per farle capire che l’amore va comunque vissuto. C’è molto da dire sulla figura del padre, che oggi tende a defilarsi. Mia madre mi gestiva con degli schiaffoni, e alla fine mi diceva per farmi stare buono: “Attento che poi arriva tuo padre”. Ecco, io penso che i padri devono fare i padri». Anche le donne sono una presenza costante nei vostri brani. «Sono il centro della nostra vita, come l’amore con tutte le sue solitudini, gioie, disillusioni. In fondo siamo tutti 50/60enni e analizziamo la vita come l’abbiamo vissuta. Ma ci tengo in particolare a una canzone nuova, Anna che non si volta, un brano molto duro, su una donna vittima di violenza casalinga che riprende in mano la sua vita e decide di andarsene». In Tutti contro tutti, invece, interviene Vasco e sembra che ve la prendiate coi talent show. «Vasco è un amico del cuore e fa un’incisione con grande forza in questo pezzo che parla della nostra tv, piena di cuochi e cantanti in perenne sfida. Le sfide sono insopportabili. In questo mondo gareggiano tutti, anche la politica è così: è tutto un gareggiare senza progettualità». Non manca poi il vostro omaggio all’amico Lucio...  «È stato proprio nella sera delle cover a Sanremo, quando abbiamo cantato La sera dei miracoli che abbiamo sentito che per noi cambiava qualcosa. Sarà stato Lucio da lassù... Nell’album proponiamo Noi come voi che mescola digitalmente la nostra nuova versione e quella che avevamo registrato con Dalla nel 1983. La tecnologia nella musica permette cose meravigliose».