Agorà

Intervista a Squinzi. Il patron del Sassuolo: siamo la fabbrica dei gol all'italiana

Massimiliano Castellani sabato 10 settembre 2016
La ripresa di questo sgangherato Paese, e forse anche del povero calcio italiano, passa anche da un palazzo milanese di viale Jenner dove ha sede il Gruppo Mapei. Nella stanza al sesto piano del “presidente”, Giorgio Squinzi, entri e trovi la poltrona di pelle neroverde che è la stessa della panchina del Mapei Stadium di Reggio Emilia: la casa “privata” del suo Sassuolo. Vicino alla scrivania, una giungla di oggetti, targhe e foto ricordo che raccontano una vita da centromediano metodista dell’industria chimica. «Anche con papa Francesco ci unisce la chimica, ha studiato da perito come me – sorride Squinzi – . Bergoglio mi piace, certo: quando ero presidente di Confindustria ha apprezzato molto il mio discorso in sala Nervi («riportiamo al centro l’uomo»), ma io ho la fortuna di conoscere personalmente papa Ratzinger: di recente siamo andati a trovarlo in Vaticano con mia moglie». La signora Adriana, la compagna di una vita, la mamma di Marco e Veronica, è la maggiore partner in azienda con la quale il presidente condivide tutto, progetti sociali compresi. Come quello de “Le vele”: la onlus con sede nella cascina di Rugacesio di Sotto, alle porte di Milano, che da anni si occupa dell’affido di minori abbandonati e della cura di quelli disabili. «Adriana sarà la nuova presidente della Fondazione Sodalitas. “Le vele” è un pezzo di cuore della nostra famiglia», dice Squinzi con un pizzico di commozione, come quando mostra una pietra speciale: «È il trofeo della Parigi-Roubaix di Franco Ballerini, ne vinse due di quelle pietre e una me l’ha regalata nel 2010, due mesi prima di mancare...».Torna il sorriso quando chiediamo lumi sulla maglia del Milan adagiata sul tavolo: «È la mia squadra del cuore, lo sanno tutti. C’ero a San Siro il 2 giugno 1959, il giorno del debutto del mio coetaneo Gianni Rivera, e ancora prima ero tra il pubblico che si alzò in piedi per applaudire Nils Liedholm quando dopo non so quanti mesi sbagliò un passaggio. Ed ero presente anche quando la Cavese venne a vincere a Milano (1-2), stagione di serie B 1982-’83». Neanche Silvio Berlusconi ha una memoria storica rossonera come quella del padre patron della Mapei. Un sogno imprenditoriale cominciato nel secolo scorso, in via Cafiero, nella fabbrica “artigianale” di papà Rodolfo e che ora è diventato un colosso mondiale da 9mila dipendenti e 70 stabilimenti sparsi in 35 Paesi. Ne ha fatta di strada patron Squinzi, ha pedalato veloce quanto il suo idolo di gioventù Fausto Coppi. «Mio padre mi portò a vedere Coppi che avevo sei anni. Al Giro di Lombardia del 1956 – quello che perse per colpa della “dama bianca” – quando passò in via Jenner io ero qui sotto in strada ad aspettarlo. Coppi gettò la borraccia e io mi fiondai a raccoglierla. L’ho custodita per anni tra le cose più care... Purtroppo l’ho persa durante un trasloco, ma in compenso mi è tornata indietro la sua bicicletta: la Bianchi del 1949 con il cambio Simplex, un regalo dei ragazzi de “Le vele”».Il ciclismo è stata la sua prima grande passione e anche la molla per debuttare nello sport che conta da protagonista assoluto.«La Mapei è entrata nel ciclismo nel 1994 e l’anno dopo eravamo già la prima squadra del mondo. In bacheca abbiamo messo un Giro d’Italia, un Giro delle Fiandre, cinque Parigi-Roubaix, la Liegi-Baston-Liegi. Ma nel ’96 avevo già sentito odore di marcio. Troppi dopati... In tempi non sospetti denunciai: “A pane e acqua in un grande Giro non è possibile arrivare tra i primi cinque”. Siamo usciti di scena nel 2002 dopo l’amarezza per la positività di Stefano Garzelli... Il doping, come insegna il “caso Armstrong” ormai era diventato inarrestabile».Via dal ciclismo per entrare nel calcio.«Mapei era già sponsor del Sassuolo alla fine degli anni ’80, ma la società l’abbiamo presa in mano nel 2004. Quella stagione sul campo la squadra era retrocessa e venne declassata alla Promozione, ma noi aggiustando i parametri finanziari venimmo riammessi in C2».Prendeste una società che in pratica era una scatola vuota.«Ci dissero che avevamo soltanto uno sponsor straordinario su cui contare, il cardinale Camillo Ruini, un sassuolese doc che penso che qualche spinta, almeno morale, ce l’ha data nel prosieguo del cammino».Ecco spiegato il “miracolo” Sassuolo.«Nessun miracolo. Il nostro gruppo ha un fatturato di oltre 2 miliardi e mezzo di euro. In Italia ci sono appena cinque realtà che superano il miliardo. Noi ci siamo organizzati bene e abbiamo programmato meglio puntando soprattutto sulla valorizzazione dei calciatori italiani. L’operazione iniziale era un atto di riconoscenza verso il distretto delle ceramiche di Sassuolo senza il quale la Mapei oggi non sarebbe un’eccellenza internazionale. Poi in corso d’opera ci siamo accorti di poter aspirare a un traguardo come la massima serie».Un traguardo che tutti dicono è frutto della sua grande passione.«Quella c’è sempre stata, ma non nascondo che il calcio è un grande veicolo promozionale sul quale abbiamo investito volentieri. Fino a ieri Sassuolo era nota nel mondo solo per le ceramiche, oggi è conosciuta soprattutto per la squadra di una città di 43mila abitanti che è arrivata in Serie A e ha battuto persino la Juventus dei cinque scudetti consecutivi».28 ottobre 2015, Sassuolo-Juventus 1-0...«Eurogol di Sansone che adesso gioca in Spagna, nel Villarreal, peccato sia andato via perché, assieme a capitan Magnanelli, era uno dei miei cocchi...».Anche il tecnico della Juve Max Allegri è stato un suo pupillo.«L’abbiamo avuto una sola stagione a Sassuolo, quella della promozione in B. In estate Max venne da me e mi chiese di essere liberato perché lo aveva richiesto il Cagliari. Grande tecnico Allegri, se fosse rimasto saremmo saliti in A molto prima».Si può consolare con il suo gioiello, Domenico Berardi, il ragazzo di Calabria è rimasto ancora a Sassuolo.«Sono molto grato a Domenico che ha saputo rifiutare e ha rimandato tutto di un anno. Berardi è molto amico di Zaza, si sono parlati e forse ha capito che è meglio giocare titolare in campionato e in Europa League da noi piuttosto che fare panchina alla Juventus. Da patron confesso che Berardi mi piacerebbe tenerlo “forever”, perché è un ragazzo pulitissimo e dotato di un talento al di sopra della media».Il ct della Nazionale GiampieroVentura non la pensa proprio così. «Molti hanno equivocato la mia frase “Ventura ha avuto coraggio a lasciare a casa Berardi...”. Intendevo dire che il miglior talento che abbiamo in Italia forse non andrebbe sacrificato solo per adottare un certo modulo di gioco. Spero che Ventura su Berardi ci ripensi e che magari dia un occhio anche ad Acerbi che per me è il migliore centrale difensivo del campionato. Comunque sta anche a noi società aiutare la Nazionale: finché continuiamo a comprare valanghe di stranieri è normale che poi i giovani italiani si perdono o arrivano a debuttare in serie A che sono in età da pensione».Il Sassuolo con soli tre stranieri in rosa ed Eusebio Di Francesco in panchina non corre pericolo. E pensare che l’avevate esonerato...«Dopo il 7-1 con l’Inter e sei-sette sconfitte di fila, mi consigliarono di dare una scossa e di cambiare l’allenatore. Poi con Malesani facemmo anche peggio, un’altra cinquina di gare senza fare un punto. A gennaio richiamai Di Francesco e per paura di retrocedere in B comprai una dozzina di giocatori che poi lui ha saputo utilizzare al meglio. Eusebio è uno che sa valorizzare e far maturare i giovani come pochi altri allenatori in circolazione».C’è un altro Di Francesco, Federico, che sta maturando, ma gioca nel Bologna.«Fosse stato per me sarebbe un giocatore del Sassuolo, ma per evitare il “conflitto di interesse” abbiamo ascoltato la voce di papà Eusebio. Io con i miei figli Marco e Veronica questo problema l’ho risolto da tempo, appena terminati gli studi sono entrati in Mapei, ma nell’azienda calcio esistono equilibri diversi. Comunque per Di Francesco jr qui le porte sono sempre aperte».Da noi intanto, porte sempre più aperte alle proprietà straniere. «Nel nostro calcio sta accadendo un po’ come nel ciclismo, non c’è più una società italiana. Il processo di “cinesizzazione” di Milan e Inter mi preoccupa e mi lascia molto perplesso: stanno girando cifre sulle cessioni che o non sono vere oppure sono stragonfiate. In queste proprietà manca del tutto la passione, l’identificazione della squadra con la città e con i tifosi. Fraizzoli, Pellegrini, i Moratti, Berlusconi, hanno segnato delle ere, probabilmente irripetibili».Questo è il tempo dei Lotito e i Tavecchio al potere. «Ci sono delle criticità all’interno del nostro sistema e diversi mali da curare... Abbiamo il 50% degli stadi vuoti e, compreso il nostro, soltanto tre di proprietà dei club. Ribadisco, troppi stranieri nelle rose e poi poniamo un freno ai procuratori: ormai comandano loro e fanno fare ai giocatori ciò che vogliono. Io al posto di Tavecchio a capo della Figc avrei messo Demetrio Albertini che è anche un vecchio cuore milanista. Se si votasse domani per eleggere il n.1 della federazione proporrei un solo nome: Paolo Maldini. Un campione e un uomo straordinario che nel frattempo il Milan farebbe bene a richiamare». Oggi Juventus-Sassuolo poteva essere sfida tra capoliste a punteggio pieno, ma a voi hanno tolto tre punti per non aver inserito Ragusa nella lista dei 25. Iniziano a temere che possiate diventare il Leicester italiano?«È stato uno stupido disguido tecnico, abbiamo fatto ricorso ma non sono affatto ottimista. I tre punti di penalizzazione sono eccessivi, al massimo meritiamo una multa. Noi non siamo il Leicester, ma il Sassuolo, una squadra che crescerà ancora, in Italia e in Europa».Oltre alla finale di Europa League cosa sogna il presidente Squinzi quando, dopo un’intera giornata passata a lavorare alla Mapei, si addormenta?«Sogno un mondo migliore per i miei nipoti e un’Italia che riparta economicamente, ma sarà difficile finché avremo il 42% di disoccupazione giovanile. Prima dell’Europa League vorrei vedere realizzati gli Stati Uniti d’Europa, e in questo momento è la partita più difficile da vincere».