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La storia. La bacchetta della danza: così il direttore emigrante conquista il Bol’šoj

Giacomo Gambassi giovedì 6 giugno 2019

Il direttore d'orchestra, Marcelo Spaccarotella, con le ballerine del Teatro Bol’šoj di Mosca

Secondo il suo passaporto è un immigrato e un emigrato al tempo stesso. Italiano e argentino insieme. Eppure per il pubblico che lo ha osannato al Teatro Bol’šoj di Mosca è a tutti gli effetti un “figlio” del Belpaese, anche se è nato a Buenos Aires. Per di più con un marchio di fabbrica nostrano al cento per cento: quello del Teatro alla Scala di Milano. Marcelo Spaccarotella è un’eccellenza italiana che sta volando alla corte degli zar (o meglio dell’ultimo zar Putin). Cinquantaquattro anni, direttore d’orchestra specializzato nel balletto, cresciuto al Piermarini dove ha debuttato e dove continua a lavorare come maestro collaboratore, è uno degli ultimi innesti sul podio del tempio della danza più famoso del mondo. La sua bacchetta ha guidato una serie di rappresentazioni dello Schiaccianoci nella capitale russa. E al termine di ogni spettacolo, quando entrava sul palcoscenico con i primi ballerini, gli spettatori lo hanno subissato di applausi.


«Qualcuno mi aveva detto che il corpo di ballo e l’orchestra erano difficili – racconta il maestro –. Invece si è creato un singolare feeling. Un violoncellista mi ha sussurrato prima di iniziare le prove: “Ogni sera sarà una sfida, ma andrà tutto bene”. Verissimo». Non sono così numerosi i direttori che hanno scelto di indirizzare la loro carriera verso il mondo della danza. Ecco perché, afferma la bacchetta italoargentina, «non si può trattenere l’emozione quando si giunge al Bol’šoj e quando hai davanti una partitura di Ciajkovskij nella sua terra d’origine». Nel massimo teatro di Mosca ogni recita è nel segno della tradizione. «Se sei chiamato a dirigere un balletto, non basta ascoltare. Devi vedere quanto avviene sotto i riflettori».

Le radici di Spaccarotella uniscono il Nord e il Sud dell’Italia: i genitori del padre nati in Calabria, quelli della madre fra Veneto e Trentino. Emigrati in Sud America. «Da ragazzino le mie tre passioni erano i treni, gli aerei e la musica. Quando ne parlavo con i miei, mi sentivo ripetere: “Se sarai macchinista o musicista, farai la fame”. Allora sono diventato tecnico aeronautico». Sarà la nonna materna, di Asolo, ad assecondarlo nel suo slancio musicale. «A sei anni – spiega – le ho chiesto una chitarra». Poi il pianoforte. «La nonna ha venduto tutto l’oro che aveva portato dall’Italia per comprarmelo». A dieci anni i primi due spartiti. «Li ricordo ancora: erano Turandot di Puccini e il Crepuscolo degli dei di Wagner. Non riuscivo a staccarmi dal pentagramma». Arriverà poi il diploma al Conservatorio in composizione e direzione d’orchestra. Alla fine degli anni Ottanta la decisione di lasciare l’Argentina. «Pensavo di andare in Germania, nazione che esalta la musica. Poi ho scelto l’Italia. Per una ragione: c’era La Scala». Nel teatro milanese approda nel 1991. Scoprirà qui la sua vocazione per la danza ed entrerà in contatto con étoile di fama internazionale e direttori d’orchestra di alto rango. «Una sera il direttore che avrebbe dovuto salire sul podio in Scala per Marguerite and Armand, non si è presentato. Avevo lo spartito sotto il braccio perché avevo seguito tutte le prove preparando i ballerini. Mi è stato chiesto: “Te la senti di sostituirlo?”. Ho risposto di sì. Non avevo neppure l’abito: solo jeans e maglietta». Era il 2012. Spaccarotella dirigerà altri spettacoli nelle tournée all’estero. Adesso c’è il Bol’šoj. «Non faccio previsioni. Vedremo che cosa riserverà il futuro».