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Antropologia. Sorridere, il gesto più umano che affascina i poeti

Giovanni Cesare Pagazzi mercoledì 1 febbraio 2023

«Ripenso il tuo sorriso». Così comincia una delle più commoventi liriche del ’900 italiano, un salmo di amicizia. Eugenio Montale lo compose in occasione dell’incontro col ballerino russo Boris Kniaseff, conosciuto nel 1923 in casa di Francesco Messina. Poteva essere incolore il colloquio tra un poeta, un ballerino e uno scultore? Il primo stico, suono a cui s’accorda l’intera poesia, non recita «ripenso al tuo sorriso», alludendo a un’operazione mnemonica, bensì «ripenso il tuo sorriso», come se l’espressione dell’amico fosse oggetto di riflessione, tema di meditazione raccolta, ragionamento e valutazione. Insomma, il sorriso dà a pensare; ha una gravità degna di considerazione. Certo, la lirica parla anche di «ricordo», ma la memoria dell’amico sorridente è spunto di ponderazione, ipotesi e conclusioni: si tratta di ingenua serenità, o dolore assimilato come pane quotidiano? In ogni caso, «pensare» quel sorriso ricompone gli umori vacillanti e stanchi del poeta, rivestendolo di nuovo coraggio. Tra molte altre cose, con logica poetica, questo salmo sull’amicizia argomenta che il sorriso è una cosa seria. In effetti, insieme allo scambio degli sguardi, il sorriso è il primo gesto che il neonato (sì e no due mesi) impara dalla madre e a lei restituisce. È il suo primo “Io sono”, il suo primo “Tu sei”. Questa originaria dichiarazione ha luogo attorno alla bocca, vale a dire la porta del corpo, da dove fin dall’inizio entra l’aria e, subito dopo, il latte; in breve: la vita. Vita e sorriso abitano da sempre la stessa casa. L’uomo non separi ciò che Dio ha unito. In genere, il sorriso disarma poiché chi lo esprime per primo depone le armi. In effetti, sorridendo, si portano allo scoperto le armi più potenti e letali dei mammiferi: i denti, la morsa micidiale che cattura, ferisce, sbrana prede e nemici. I muscoli più robusti del corpo umano sono i masseteri, protagonisti dell’apertura e occlusione della mandibola. Artefici della triturazione, esercitano una forza di circa cento chilogrammi. Alcuni dipinti di Francis Bacon rendono in maniera inquietante la violenza bramosa e angosciata di bocca e denti. Nella distensione del sorriso, si disinnesca quindi un’energia potenzialmente mortale, intavolando una trattativa di pace. Non è possibile addentare e al contempo sorridere. Il regista Robert Zemeckis, nel film Cast Away (2000), racconta come il sorriso sia il gesto necessario e sufficiente a indicare l’umanità dell’uomo. A motivo di un incidente aereo, Chuck Noland, funzionario di una famosa ditta di spedizioni, si ritrova su un atollo disabitato, sperduto in mezzo all’oceano. Sopravvive grazie a qualche provvista e utensile, relitti dell’aereo, rigurgitati dall’oceano sulla spiaggia dell’isolotto. Tra queste cose, trova un pallone da pallavolo. Con il proprio sangue disegna sulla palla i tratti di un volto, dove spicca un sorriso. Da quel momento quel pallone diventa Wilson e sarà l’unico interlocutore di Chuck durante i quattro anni di solitudine. Con lui si confida, litiga, si riconcilia, scherza; per lui piange, straziato di dolore, quando, abbandonando l’atollo su una zattera, Wilson finisce in mare e la deriva rende vano il pericoloso tentativo di recuperarlo. Il sorriso transustanzia una cosa in una persona. Cosa vorrà dire la sua perenne assenza da un volto? Se si eccettua il solenne saluto rivolto dagli antichi poeti a Virgilio, di passaggio per il Limbo, nell’Inferno dantesco né si saluta, né si sorride. Giunto in Purgatorio, il fiorentino non torna solo «a riveder le stelle», ma anche i saluti e i sorrisi. Toccante il benvenuto tra lui e il musico Casella (Purgatorio, II, 76-89), o il commiato di Forese Donati, pieno di nostalgia e speranza, a Dante che deve ancora concludere la propria vita terrena, prima del loro prossimo incontro (mamma mia, che teologia! XXIV, 7478). Nell’austero, penitente raccoglimento del Purgatorio comincia a germogliare qualche sorriso; come quello pieno di ironia dell’Alighieri che riconosce l’amico Belacqua dalla sua consueta pigrizia (IV, 108-126). Se sul monte della penitenza il sorriso germoglia, in Paradiso si espande in tutta la geografia celeste. Con la luce, il sorriso è la caratteristica principale del Paradiso secondo Dante. Lì tutto e tutti sorridono: fin dall’inizio sorride Beatrice e sorriderà per tutta la cantica. Più si avvicina a Dio, più il sorriso della donna diventa irresistibile e indescrivibile (Paradiso, XXIII, 4663). Il sorriso sarà il suo ultimo atto (XXXI, 92). Sorridono i santi e le sante; sorridono pianeti e cieli, sorride l’universo intero (XXVII,1-6). Il Dio di Dante assomiglia a una mamma che accende il primo sorriso nella sua creatura. Ci aspetta qualcuno che riuscirà a farci sorridere di nuovo; perfino dopo un tristissimo pianto. Che potere! Eccome se il sorriso dà a pensare. Eccome se sorridere per primi apre paesaggi che solo un poeta può immaginare.