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LA MOSTRA DEL CINEMA. Sofia Coppola svela l’inganno di Hollywood

Alessandra De Luca sabato 4 settembre 2010
Se complice certa stampa glamour pensate che la vita delle star hollywoodiane sia la migliore possibile, beh, allora correte a vedere Somewhere di Sofia Coppola, in concorso a Venezia e da ieri nelle nostre sale distribuito da Medusa. La mecca del cinema vi apparirà squallida e lunare, nevrotica e depressa, sciocca e volgare. Eppure il film che ha per protagonista un giovane attore emergente, ma già vittima dell’isolamento losangelino, è ambientato allo Chateau Marmont, ovvero uno degli hotel leggendari della tradizione americana che hanno ospitato grandi stelle del passato come Marilyn Monroe, Paul Newman e Greta Garbo. Ma quelli erano altri tempi. Ora tra le mura dello storico albergo si aggirano ballerine di lap dance, equivoci massaggiatori, attricette da strapazzo, eccentrici personaggi che annegano nella solitudine e nell’alienazione.Su tutta questa desolazione aprirà gli occhi Johnny Marco (Stephen Dorff) quando, complice un improvviso viaggio dell’ex moglie, si ritrova a trascorrere qualche giorno con la figlioletta Cleo (Elle Fanning, sorella minore di Dakota), undici anni. La convivenza spingerà l’uomo a riconsiderare tutta la propria vuota esistenza.«Ho scritto il film appena dopo la nascita di mia figlia Cosima – dice la Coppola, unica donna in competizione – e la maternità è un’esperienza destinata a cambiare le proprie priorità. Mi piace raccontare le storie di persone che attraversano momenti di transizione e al tempo stesso volevo esplorare le ombre dello show business che ho cominciato a frequentare e conoscere sin da bambina, quando mio padre (il regista Francis Ford Coppola, quello del Padrino e di Apocalypse Now – ndr) mi portava con sé nei suoi viaggi. Anch’io ho vissuto per lunghi periodi negli alberghi, con quel senso di straniamento di cui parlavo anche in Lost in Translation».Dorff confessa invece che non sono pochi i punti di contatto con il suo personaggio: «È facile quando fai questo mestiere attraversare dei momenti di alienazione. Vivi per tre o quattro mesi su un set, la troupe diventa la tua famiglia, quella che ancora non ho ma che tanto vorrei, e poi in attesa di un nuovo ingaggio te ne stai solo e triste in albergo, suoni la chitarra, giochi a tennis, guidi per la città».Sulla rappresentazione dell’Italia attraverso la cerimonia dei Telegatti, alla quale nel film partecipa il protagonista premiato da Simona Ventura e Nino Frassica con la complicità di un balletto di Valeria Marini, la Coppola spiega: «Adoro l’Italia e la sua cultura che conosco bene grazie a mio padre (di origini lucane - ndr) e quelle immagini girate a Milano rappresentano il mondo dello spettacolo in generale, uguale in tutto il mondo». E sul cinema americano aggiunge: «È un momento difficile per gli indipendenti che non sono interessati a realizzare film facili e vogliono il pieno controllo sul progetto. Io sono stata fortunata: anche le donne regista sono in aumento rispetto agli anni in cui ho cominciato».Figlia del grande Francis Ford Coppola, che l’anno prossimo riceverà l’Oscar alla carriera proprio come produttore, Sofia aggiunge: «Papà è molto felice del mio film, lui mi ha sempre incoraggiato a realizzare lavori personali per mantenere la mia libertà in campo creativo».