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Soap opera pro-eutanasia Choc in Inghilterra

Lorenzo Schoepflin venerdì 1 aprile 2011
Si intitola Emmerdale, è una soap opera ambientata nell’omonima cittadina del West Yorkshire in Inghilterra, va in onda dal 1972 ed attualmente viene trasmessa dall’emittente Itv. Fin qui, l’identikit è quello di una serie televisiva come molte altre. Ma Emmerdale è finita recentemente al centro di un dibattito che riguarda il suicidio assistito a causa della storia di uno dei personaggi della soap: Jackson Walsh, giovane ragazzo impersonato dall’attore Marc Silcock, finisce su una sedia a rotelle, a causa di una paralisi conseguente ad un incidente automobilistico.Anticipazioni attendibili, anche se non ufficialmente confermate, rivelano che Jackson finirà con lo scegliere la strada del suicidio assistito. A quanto pare, nelle prossime puntate, il giovane inizierà a manifestare la propria volontà di morire e tutto si concluderà con la madre e la fidanzata che lo aiuteranno ad ingerire una dose letale di una sostanza sciolta in acqua.Non deve meravigliare che la serie tv, vista da otto milioni di telespettatori, sia finita nell’occhio del ciclone: la memoria degli inglesi non può che andare a Daniel James, il rugbysta ventitreenne rimasto paralizzato dopo un incidente di gioco ed accompagnato a morire in Svizzera dai genitori nel 2008.Sull’argomento si è espresso in un recente intervento sul quotidiano Telegraph Peter Stanford, presidente di Aspire (www.aspire.org.uk), un’associazione dedita all’aiuto di tutti coloro rimasti vittime di lesioni spinali. Nell’articolo, Stanford ha ricordato come i progressi della medicina e della tecnologia consentano alle persone paralizzate di condurre una vita piena.Come accaduto, ad esempio, a Simon Morris, che dopo la lesione spinale subita a 26 anni si è laureato in Matematica ed Informatica. Certo, a detta di tutti i diretti interessati, non mancano i momenti di sconforto, ma viva è la preoccupazione per il messaggio che la soap rischia di comunicare con la storia di Jackson Walsh.«Probabilmente la mia vita è differente», racconta Matt King, avvocato di ventitré anni, paralizzato da sei, «non è la vita che avrei scelto, ma esco ancora la sera con gli amici. Voglio dire chiaramente che ho una buona vita».