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Ciclismo. Sir Wiggins l’ultima corsa di una rockstar

Pier Augusto Stagi lunedì 13 aprile 2015
All’inferno i grandi Giri, le corse a tappe e le diete. Le rinunce e le astinenze. All’inferno le grandi corse, le grandi sfide e i lunghi ritiri. Le ampie alture e le estenuanti ripetute. All’inferno, per l’ultima volta, sperando che sia quella buona, per poter salutare nel modo migliore, nel modo più giusto, nella corsa più folle e ingiusta che ci sia al mondo, ma anche la più elettrizzante, elettrica e rock. Oggi Bradley Wiggins, il baronetto più ribelle e meno servizievole della Regina affronterà la “Regina delle classiche”, la Parigi-Roubaix, che poi è da sempre la regina delle corse o se volete la corsa regina. Sarà questa la sua ultima sfida su strada, in una grande corsa in linea, che fa parte dei “monumenti” del ciclismo. Oggi Wiggins saluterà la Sky, la squadra per la quale corre da anni. Sarà la sua ultima corsa con la maglia nerazzurra del Team britannico, quello che l’ha reso uomo universale, e che lui ha portato sul tetto del mondo, salendo sul palco più prestigioso del pianeta, quello dei Campi Elisi, al Tour de France. Ha scelto la Parigi-Roubaix per dare l’addio al grande ciclismo su strada. Un addio in grande stile, in quella che è, forse, la più suggestiva e bizzarra di tutte le classiche. «Potevo scegliere mille altre corse – ha detto –. Anche più semplici, più facili ma probabilmente più banali, per questo non adatta a me, che voglio chiudere in grande stile, sulle pietre di una corsa che è leggenda. Che è poesia. Che è follia».E non potrebbe essere altrimenti, visto che Sir Bradley Wiggins è un personaggio atipico, che spiazza e divide, come quando alla vigilia della sfida olimpica nella sua Londra, mandò a quel paese la Regina Elisabetta, lasciando di stucco la moglie. «Ma Bradley, è la regina che ti fa i suoi auguri, prima dei Giochi…», inutile dire come il Baronetto abbia risposto alla propria sposa, perché il suo insulto alla Regina ha fatto il giro del mondo. È un corridore così, Wiggins: ribelle e alternativo. Un vero e proprio George Best su due ruote, che vive in un’epoca sbagliata, come lui ama solitamente ripetere. «La beat-generation era il mio tempo. Quella sarebbe stata l’epoca giusta per uno come me». Da fuoriclasse della pista si è inventato corridore per i grandi Giri, capace di trionfare al Tour de France. È stato il quinto britannico di sua Maestà a vestire la maglia gialla, ma il primo a portarla a Parigi. Ma nonostante questo traguardo, o forse proprio per l’obiettivo raggiunto, Wiggins ha deciso di dire basta con questo tipo di corse. «Il Tour mi ha prosciugato l’anima, voi vi siete divertiti? Io neanche un po’», ebbe a dire qualche tempo dopo, a chi lo lusingava per aver portato in Gran Bretagna la maglia gialla.Oggi un nuovo distacco, sperando di staccare tutti, nella corsa più folle e imprevedibile del pianeta. Un anno fa la corse per la prima volta, portando a casa un ottimo nono posto. Correrà la Roubaix con l’obiettivo di vincerla, prima di dire basta anche all’attività su strada, per lo meno quella di altissimo livello. L’ultima corsa nella “Regina delle classiche” e poi riporrà la maglia del Team Sky nel cassetto per vestire da qui in avanti quella della sua Fondazione, con la quale tenterà il record dell’ora su pista, correrà qualche gara di secondo piano su strada, prima di concentrarsi sui Giochi Olimpici di Rio, nella crono.Su pista Wiggo ha vinto tutto: 6 titoli iridati e 4 ori olimpici; ai quali ha aggiunto un mondiale a cronometro su strada. Poi si è inventato corridore per le corse a tappe, e sapete tutti come è andata a finire. Ha conosciuto la depressione e l’alcolismo. Un rapporto conflittuale con il padre Gary, ex corridore degli anni Ottanta (campione europeo su pista). Wiggins nasce a Gand, in Belgio, dove il padre australiano era impegnato in una Sei Giorni. Una vita ad inseguire, quella di Wiggo, ma anche a cercare di capire come suo padre Gary sia morto, nel 2008 in un vicolo di una cittadina del Galles. Malore o ubriachezza, è rimasto un mistero. Cresce ribelle, con la passione per il Liverpool e per il rock. Suona la chitarra elettrica, sognando di diventare Keith Richard. Ha una venerazione per Paul Weller: «L’ho adorato fin da quando ho visto la sua foto in copertina, con quell’aria da genio». Ma anche per le Lambrette: «Ho tutti i modelli del 1964». E per le chitarre: «Le ho sempre avute, ma solo quando ho preso coscienza del loro lato estetico e ho avuto un po’ di soldi in tasca, ho cominciato a collezionarle. Così nel 2000, ho acquistato una chitarra di Noel Gallagher, il leader degli Oasis, una Epiphone Supernova, che ho acquistato solo perché era decorata con la Union Jack e perché l’aveva suonata a Maine Road, nel vecchio stadio del Manchester City».Calza sempre Adidas Originals da quando è ragazzino e ancora oggi colleziona vecchie foto dei pugili. «Adoro tutto ciò che non è convenzionale, che ha una storia e un significato. La Roubaix è un condensato di Sanremo, Fiandre, Liegi e Lombardia messe assieme. Basta scekerare tutto questo e viene fuori la corsa più folle, imprevedibile e dura del mondo. È la Roubaix, la sola gara che ha un senso vincere. Almeno una volta».