Agorà

ARTE. Siena, viaggio dentro il corpo del gigante

Marco Bussagli sabato 6 aprile 2013
«Et havendo le basiliche misura e forma del corpo umano siccome el capo del homo è principal membro di esso, così la maggior cappella formarsi debba come principal membro e capo del tempio… Simirmente, la quadratura dell’ampio petto alla tribuna si attirbuischi, le braccia la croce d’esso, le palme delle mani le due circonferenti cappelle, le lineari dita li cinque emicerchi ch’intorno a esse vanno, e l’altre sei al corpo della chiesa dato sia». Con queste parole Francesco di Giorgio Martini (1439-1500), nel suo Trattato di architettura (codice T, f. 12r), dà una felice descrizione letteraria a quella convinta credenza sostenuta dalla tradizione che considerava un edificio in generale, ma in particolare una chiesa – soprattutto quella pianta a croce latina che ricalca la posizione di Cristo –, una sorta di macrantropo architettonico. Un uomo immenso che ha nell’abside la testa, nel transetto l’apertura delle braccia e nella navata il tronco e le gambe. Un’idea suggestiva, piena di implicazioni cosmologiche (che ho avuto modo d’illustrare altrove: L’uomo nello spazio, Medusa 2005), per la quale un edificio sacro è un organismo vivente, tanto che Giorgio Vasari, nel suo Proemio alle celebri Vite, spiega che il tempo impiegato per realizzare una costruzione, civile o sacra che sia, è valutabile in nove mesi (quanto un bimbo) o giù di lì.Chissà allora, se Francesco di Giorgio Martini, architetto senese, inserendosi con le sue riflessioni, in questo affascinante filone culturale, ebbe esperienze come quelle che, adesso, sono offerte ai turisti che possono visitare il Duomo di Siena in maniera del tutto inedita? La risposta è sicuramente positiva perché certo a Francesco di Giorgio sarà capitato di entrare nella fabbrica del Duomo percorrendone gli archi, i ballatoi, la facciata e il resto, visto che si formò nella bottega del Vecchietta cui si devono gli affreschi delle volte del Battistero, adiacente. Oggi, sulla suggestione degli ipotetici percorsi di Francesco di Giorgio possiamo anche noi salire sulle spalle di quel gigante che è il Duomo senese perché, dopo quindici anni di lavoro e la rimozione di detriti e cinquanta camion di guano, è accessibile il sottotetto. Visitiamo così le sue “braccia”, le sue “viscere”, gli interstizi delle sue mura, sul solido sostegno degli archi come fossero gigantesche coste. Tutto questo è stato possibile grazie al rettore dell’Opera Metropolitana di Siena Mario Lorenzoni e a Civita Group, cui si devono il restauro della facciata con il ripristino, tra l’altro, delle bellissime finte colonne fitomorfiche, poste in posizione apicale sull’ampia strombatura dell’ingresso centrale della cattedrale (copie da quelle di Giovanni Pisano conservate presso il Museo dell’Opera del Duomo). È allora da qui, dalla facciata, che ha inizio il nostro fantastico viaggio. Aperta una porticina laterale interna, ci s’inerpica lungo una ripida scala a chiocciola che sale all’interno della torre laterale. Si giunge, così, fino all’altezza della galleria della facciata da dove si può osservare l’ampio slargo sottostante e l’austero fronte dell’ospedale (coevo al Duomo) da una prospettiva del tutto inedita. Questi camminamenti, avevano una ragione pratica: quella di permettere la manutenzione dell’edificio con il complesso sistema di scorrimento e di smaltimento dell’acqua piovana, espulsa da gronde interne e dai gocciolatoi concepiti come figure demoniache con la funzione di “spazzini” del male. Da qui, si percorre il ballatoio all’altezza del finto matroneo, con una vista mozzafiato sulla navata centrale dell’edificio. Si giunge alla cupola, per affacciarsi dalle trifore, di cui si aprono le splendide vetrate con gli Apostoli di Ulisse De Matteis. Lo scorcio offerto è unico, con il tappeto marmoreo del ricco pavimento impreziosito dalle ampie scene intarsiate su disegni di Domenico Beccafumi. Un viaggio straordinario da oggi possibile per tutti (per informazioni: 0775286300 e opasiena@operalaboratori.com) ai confini del cielo, quello delle volte e quello sulla città, che si conclude nell’altra torre di facciata, quando bisogna ridiscendere fra le miserie umane.