Agorà

PROVOCAZIONE. Shoah: memoria sì, non sensi di colpa

Vito Punzi mercoledì 22 settembre 2010
Qualche settimana fa si è dato conto su queste pagine dell’ultimo romanzo di Iris Hanika, dedicato al carico della Memoria e all’«industria della Shoah» nell’attuale società tedesca, segnalando come in una delle ultime pagine del libro la scrittrice immagini Frambach – uno dei protagonisti – pronunciare la seguente frase mentre osserva a Berlino il Memoriale per gli ebrei d’Europa assassinati: «Quel passato era diventato così. Non incantevolmente bello come questo memoriale, piuttosto angustamente pesante e chiaramente impresso nel Paese e nel popolo». Sul tema del peso attuale della «colpa» tedesca, acutamente rilanciato dalla Hanika (anche se solo attraverso una finzione romanzesca) è intervenuto nei giorni scorsi, con una lunga intervista al settimanale tedesco Junge Freiheit, proprio colui che ha progettato quel Memoriale, l’architetto newyorkese d’origine ebraica Peter Eisenman. L’opera da lui ideata (2711 stele grigio scure, in cemento armato e di varie dimensioni, collocate su una superficie di 19.000 metri quadrati), inaugurata il 10 maggio 2005, fece discutere allora (il cristiano-democratico Helmut Kohl, per esempio, era favorevole, mentre il socialdemocratico Gerhard Schröder contrario). Oltre all’iscrizione «Memoriale per gli ebrei d’Europa assassinati», non una dedica, non un nome, non una stella di Davide... Tanto che i promotori sollecitarono un «punto informativo» esterno, inizialmente non previsto da Eisenman: «Ce lo chiesero, sì – ricorda oggi l’architetto – ed è un luogo molto serio, dove si trovano testi e memorie, ma non ha nulla a che fare con l’esperienza fisica del Memoriale, perché questo non c’entra con l’esperienza dei Lager, si tratta di qualcosa di empaticamente diverso». Sollecitato da Moritz Schwarz a spiegare un’affermazione così forte, Eisenman aggiunge oggi che «il Memoriale non prescrive a nessuno, neppure ai tedeschi, di riflettere in una determinata maniera sull’Olocausto; non è una forma d’interpretazione dell’Olocausto». Nessuna volontà dunque di realizzare un monumento che ricordi ai tedeschi un passato di colpa. «Chi lo visita – prosegue il progettista – è chiamato a concentrarsi sul luogo come tale, dunque è chiamato ad essere pienamente nel presente, non nel passato», poiché «sarebbe un bene per la Germania se normalizzasse il rapporto con la propria storia: perché i tedeschi di oggi dovrebbero sentirsi colpevoli della loro nascita?». Seppur criticato dai tedeschi che gli chiedevano una «rappresentazione permanente della nostra vergogna», causa la mancanza nel suo Memoriale di riferimenti espliciti all’Olocausto, Eisenman ribadisce ora che «qualsiasi opera d’arte dotata di un chiaro rimando alla Shoah risulta inevitabilmente meno espressiva del crimine stesso».Apparentemente "tenero" nei confronti dell’antisemitismo, in realtà l’architetto americano non si tira indietro nel momento in cui gli viene chiesto di rileggere ciò che ha tragicamente segnato il XX secolo: «È noto che lo stesso Roosevelt era antisemita, visto che nel 1922, da governatore, si espresse per la limitazione del numero di studenti ebrei ad Harvard. Lo stesso Churchill non era certo un filo-semita». Tanto che entrambi, «così come non hanno bombardato la ferrovia che portava ad Auschwitz, non hanno fatto certo la guerra per salvare gli ebrei». Convinto che la storia non sia semplicemente colorata di bianco e di nero e che piuttosto «le cose sono più complesse», Eisenman rilancia infine una lettura del secondo conflitto mondiale che certo è molto vicina alle posizioni degli storici cosiddetti "revisionisti": «E i tedeschi? Molti di loro allora si chiesero: "Non abbiamo forse salvato il mondo dal comunismo?", pensando di aver sbagliato. Ma gli inglesi non amavano il comunismo, e neppure gli Usa lo amavano, dunque perché doveva essere stato un errore aver combattuto Stalin?». Non senza paradosso, Eisenman conclude l’intervista iniziata sul tema Olocausto ricordando che «l’80% dei soldati della Wehrmacht caduti nella seconda guerra mondiale morì proprio sul fronte orientale». Non è difficile immaginare che nell’ideare il suo Memoriale berlinese l’architetto, oltre che alle vittime dell’Olocausto, abbia pensato anche a loro, a tutte le vittime del conflitto, e ancor più alle generazioni che ne sono seguite.