Agorà

Archeologia. La vita quotidiana dei legionari al servizio di Roma

Francesco Marzella venerdì 5 aprile 2024

«Sorella, con piacere ti chiedo di venire da noi l’11 settembre, il giorno della festa del mio compleanno, per rendermi più lieta la giornata con la tua presenza…». Suonano pressappoco così alcune parole scritte in latino su una tavoletta di legno ritrovata in uno dei luoghi più periferici dell’Impero romano: il forte di Vindolanda, nei pressi del Vallo di Adriano, nel nord dell’Inghilterra.

C’è spazio anche per questo stralcio di quotidianità sottratto all’oblio del tempo – un semplice invito a una festa – nella mostra londinese Legion: life in the Roman Army (al British Museum fino al 23 giugno), che intende proporre un racconto a trecentosessanta gradi della vita dei soldati romani, senza limitarsi ai toni trionfalistici di celeberrime rappresentazioni ufficiali, come, tanto per citare l’esempio più noto, i rilievi della colonna Traiana. La variegata esposizione, con più di 200 reperti – alla già ricca collezione di casa si aggiungono prestiti da altri 28 musei, fra cui quelli di Ercolano e di Napoli –, mira a raccontare le persone prima ancora che gli oggetti, prendendo spunto dalla carriera di un soldato realmente esistito, Claudio Terenziano, vissuto in Egitto ai tempi di Traiano, quando l’impero, cioè, raggiunse la sua massima espansione. Le parole tratte dalle sue lettere al padre, ritrovate cento anni fa nel sito di Karanis, sono disseminate nelle sale della mostra e accompagnano il visitatore facendogli scoprire direttamente da una voce “interna” alcuni fra gli aspetti più concreti della vita di un soldato. La figura di Terenziano, poi, contribuisce insieme ad altre anche a far emergere il carattere multietnico dell’esercito romano, più volte evidenziato dai curatori, che si mostrano particolarmente attenti agli aspetti sociali.

Armatura della battaglia di Teutoburgo (9 d.C.) - Museum und Park Kalkriese

Istituito come vera e propria carriera solo ai tempi di Augusto, il servizio nei ranghi dell’esercito comportava notevoli benefici, che però potevano variare sensibilmente a seconda della condizione sociale di partenza. Accedevano alla carriera da legionari solo i cittadini romani, che cercavano di cogliere anche una buona opportunità per arricchirsi, mentre per chi, privo di cittadinanza, serviva nelle truppe ausiliarie la ricompensa più ambita rimaneva proprio quella di godere infine di pieni diritti dopo la consegna del diploma di congedo. A patto, ovviamente, di sopravvivere. Parliamo infatti di una carriera di 25 anni in cui i pericoli corsi sul campo di battaglia erano solo parte delle difficoltà da affrontare. Ce lo ricordano le pietre tombali che si incontrano nella prima sala, con i ritratti idealizzati di soldati stroncati anche nel fiore degli anni, come pure la sezione che descrive la dura vita negli accampamenti, in cui anche le condizioni igieniche precarie rappresentavano una minaccia da non sottovalutare. A conti fatti, solo il cinquanta per cento dei soldati riusciva ad arrivare al congedo.

I pezzi forti della mostra, ad ogni modo, attendono il visitatore nella sezione dedicata all’equipaggiamento del soldato, Dressing for battle. Fra gladi, corazze ed elmi, si ammira anche l’unico scutum in legno e pelle ancora perfettamente conservato, complice il clima secco. È stato trovato in Siria, a Dura Europos, da cui pure proviene un’impressionante armatura per cavallo, del tipo già usato soprattutto dai Parti e dalla cavalleria sasanide e poi adottato anche da quella romana. Non solo strumenti di morte, ma anche oggetti raffinati. La cosiddetta “spada di Tiberio”, per esempio, ritrovata nelle acque del Reno, sul cui fodero, decorato in oro e argento, è ritratto il dono della statua della dea Vittoria all’imperatore, o anche gli elmi cesellati usati nelle esibizioni della cavalleria, che conferivano ai cavalieri l’aspetto di guerrieri troiani o magari di amazzoni.

La “Spada di Tiberio” - © The Trustees of the British Museum

Talvolta i dettagli in alcuni di questi reperti possono essere rivelatori dei processi culturali e sociali in corso, come nel caso di una spada corta ritrovata in Inghilterra che mostra nell’elsa l’influenza dell’artigianato celtico. Fra i pezzi pregiati c’è poi, in prestito dal castello di Coblenza, lo stendardo a forma di testa di drago, cui veniva applicata una sorta di manica a vento che, gonfiata dall’aria, faceva emettere dalle fauci metalliche del mostro un verso che contribuiva a intimorire i nemici. L’uso del draco era tipico delle truppe sarmate, alcune delle quali, impiegate nell’esercito romano, erano stanziate in Britannia. Una stele funebre trovata a Chester ritrae proprio un draconarius, e cioè il soldato incaricato di portare il draco, seduto in sella mentre impugna l’asta su cui è fissato lo stendardo.

Lontano dai campi di battaglia, la vita del soldato conosceva anche momenti di svago, che prevedevano immancabilmente giochi da tavola come il ludus latrunculorum, di cui è stata rinvenuta una tavola a Vindolanda, e i dadi. Fra gli oggetti più curiosi, una turricula trovata in Germania che impediva di barare nel lancio dei dadi, che venivano inseriti sulla sommità della torre e uscivano poi alla sua base; sul lato frontale le sei parole Pictos victos / hostis deleta / ludite securi, non a caso tutte di sei lettere, inneggiano a godere di un momento di spensieratezza ora che il nemico è sconfitto. La sezione dedicata alla vita nei forti romani racconta poi anche della presenza dei familiari al seguito dei soldati. Claudia Severa, l’autrice dell’invito citato in apertura, era la moglie di un comandante in un forte vicino a Vindolanda e scriveva intorno al 100 d.C. alla moglie di un altro comandante, Sulpicia Lepidina. L’invito è opera di uno scriba, ma le righe di saluto finale sono state aggiunte da una seconda mano, con ogni probabilità proprio quella di Claudia. Sono testimonianze che emozionano, come pure quelle dei bambini che vivevano nei forti insieme ai genitori. Fra piccole calzature e giocattoli spuntano fuori anche due spade di legno trovate a Carlisle: forse erano usate nelle esercitazioni o forse sono appartenute a un bambino che giocava imitando suo padre.

Pietra tombale (II-II secolo) - © The Trustees of the British Museum

La parte finale della mostra, però, ritorna sugli aspetti più duri e aspri della vita militare, concentrandosi anche sulla percezione dei soldati nella società dell’Impero: spesso temuti per le loro angherie e per i loro abusi, potevano essere essi stessi oggetto delle punizioni più crudeli. Gli scheletri di due soldati raccontano poi un vero e proprio giallo, un duplice omicidio compiuto a Canterbury alla fine del II secolo d.C. I due cadaveri, sepolti in maniera piuttosto frettolosa e, contro ogni prescrizione, all’interno del centro abitato, sono stati adagiati senza troppa cura l’uno sull’altro, le lunghe spathae lasciate sui corpi, forse perché avrebbero potuto alimentare sospetti. Furono probabilmente vittime di banditi, che potrebbero essersi serviti delle loro stesse armi per ucciderli. Un altro scheletro trovato in Inghilterra, con un chiodo ancora infisso nelle ossa del piede, segno evidente di una crocifissione, ricorda invece, se ce ne fosse bisogno, fino a che punto potesse arrivare la brutalità delle pene inflitte, in cui potevano incorrere persino gli stessi soldati, senza escludere i legionari, che con il giuramento militare rinunciavano ai privilegi che comportava il possesso della cittadinanza. Una rassegna delle principali opposizioni al regime romano – che va da quella dei Germani guidati da Arminio alle rivolte giudaiche, passando per le gesta della regina celtica Boudicca – porta a conclusione il racconto di Legion. Un grande affresco, in cui a prevalere sono senza dubbio le tonalità più cupe.