Agorà

Il pensatore. Serres: «L'Occidente ha bisogno di creatività»

Daniele Zappalà mercoledì 22 gennaio 2014
«Durante il mio primo soggior­no a Roma, mi trovavo da solo in un ristoran­te. Udivo delle signore che parlavano in dialetto e non compren­devo una parola. Poi, di colpo, ho avu­to l’impressione chiarissima di ascol­tare un’opera di Scarlatti. Parlando, e­mettevano note di Scarlatti. È stato un momento magnifico». Michel Serres è uno dei filosofi viventi più studiati, per i suoi saggi e le sue luminose intuizio­ni su scienza ed ecologia. Nel suo buen retiro alle porte di Parigi, l’accademico di Francia, nonché ex ufficiale di mari­na ed instancabile viaggiatore, ricorda di aver voluto insegnare espressamen­te nelle università di ogni continente. Ma in mezzo al vortice di citazioni e ri­ferimenti che spaziano dall’antichità ai giorni nostri, l’Italia e il 'laboratorio i­taliano' tornano di continuo. Sicché il Premio Nonino appena conferito al fi­losofo – «il suo pensare, sovente poeti­co, spazia in ogni campo del sapere», recita la motivazione – sembra pure il coronamento di una lunga storia d’a­more con il nostro Paese. Professore, com’è cominciata la sua relazione con l’Italia? «Risale all’infanzia. Mio padre vendeva sabbia e quasi tutti i suoi clienti erano italiani. Sentivo parlare in italiano quasi quanto in francese. In America, poi, ho inse­gnato nei French and Italian depart­ment. I miei migliori amici erano spes­so degli italianisti. E l’ultima volta che ho costeggiato Stromboli, verso le 4 del mattino, ho assistito a una minuscola eruzione. Mi sono detto con emozione che era in onore della mia vita a contatto con l’Italia».Di eruzioni nel Meridione, lei parla anche in Biogée, uno dei suoi ultimi saggi... «Ho cercato di mostrare che la Sicilia è una sorta di microcosmo la cui sto­ria è segnata da tre grandi scienziati: Empedocle e Archimede nell’anti­chità e poi, ai giorni nostri, Ettore Majorana, quello che mi affascina di più. Quand’ero ragazzo, era per me un eroe. È lecito pensare che com­prese, prima di scomparire in circo­stanze misteriose, gli esiti futuri del­l’energia atomica e che preferì rinun­ciare. Le sue scoperte e intuizioni ri­cordano in modo affascinante gli specchi ustori costruiti a Siracusa da Archimede, il più grande scienziato dell’antichità, così come l’Etna di Em­pedocle, il quale descrisse gli elementi già nel V secolo avanti Cristo. Se ag­giungiamo la bomba atomica, siamo davanti a tre 'figure di fuoco' che of­frono un’immagine della Sicilia come microcosmo del mondo contempo­raneo». A un altro italiano, Galileo, è attribui­ta la nascita della scienza moderna. Che ne pensa? «Personalmente, la più grande scoper­ta di Galileo non mi sembra la rotazio­ne della Terra, ma il fatto di aver detto che il mondo è scritto in linguaggio matematico. Nel secolo scorso, questa scoperta è stata confermata dal codi­ce del Dna e dell’Rna nel mondo vi­vente. In un certo senso, ciò ha reso davvero universale la scoperta di Gali­leo ». Lei si è molto dedicato pure allo stu­dio del filosofo e scienziato tedesco Leibniz, la cui ricerca di un’armonia pare aver ispirato la sua teoria del 'contratto naturale' fra uomo e am­biente. Ma in una conferenza, lei ne ha attribuito la vera paternità a san Francesco d’Assisi. Perché? «Nell’opera di san Francesco, in parti­colare nei Fioretti, osserviamo qualco­sa di assolutamente nuovo. All’epoca, il cristianesimo è una religione cittadi­na, ben più che rurale. I principali teo­logi sono diffidenti verso la campagna, che resta un po’ animista e pagana. San Francesco ristabilisce la simmetria e riesce a riconciliare il cristianesimo e la campagna. Perciò non ho più alcun dubbio sul fatto che sia l’autentico pa­dre del contratto naturale. Ispirandoci anche a simili slanci creativi e di fu­sione, oggi dovremmo inventare un’Eu­ropa con nuove comunità, dato che le vecchie meritano spesso di essere rivi­ste. Per questo, ho di recente invocato nuove forme di fusione fra i popoli eu­ropei, non solo nel caso delle relazio­ni fra francesi e tedeschi. In questo spi­rito armonico, potremo trovare proba­bilmente pure delle soluzioni alla cri­si attuale, che non si riduce di certo al­la sola dimensione finanziaria». Proprio alla crisi odierna, lei ha dedi­cato un libro... «Non sono un economista e non pos­so rispondere sugli aspetti tecnici del­la crisi finanziaria. Ma ho cercato di mostrare con vari argomenti che stia­mo vivendo un momento della storia estremamente originale e nuovo, nel quale molti parametri sono stati stra­volti in pochi decenni. Si pensi al mon­do contadino, alla salute, all’allungar­si della vita media e alla demografia. Viviamo una fase di transizione estre­mamente nuova di cui la crisi finan­ziaria è probabilmente solo un ele­mento. Direi che si è aperto un cre­paccio nella storia dell’Occidente, il cui dominio è del resto messo in discus­sione. Più che mai, dovremo dimo­strarci creativi. Anche per questo, sul piano morale, dopo la bomba atomica e altri disastri, ho proposto che il mon­do scientifico adotti una sorta di giu­ramento individuale degli scienziati, un po’ come fece Ippocrate in campo medico».