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Il ministro francese. Schuman, 70 anni fa il discorso storico per l'Europa di oggi

Edoardo Zin venerdì 8 maggio 2020

9 maggio 1950, la dichiarazione di Schuman

«La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionata ai pericoli che la minacciano... L’Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra». Sono le 18 del 9 maggio di settanta anni fa, quando Robert Schuman pronuncia queste parole nella sala dell’Orologio del Ministero degli Esteri francese davanti a più di duecento giornalisti di tutto il mondo, convocati in fretta. Il ministro va al cuore del problema: assicurare al Vecchio Continente la pace, dopo la mostruosità di due guerre mondiali, la depredazione e la distruzione della civiltà europea schiacciata da un folle mito, i genocidi compiuti in nome di malsane ideologie. Non usa parole caute, titubanti, indecise. Riconosce il primato dei fatti sulle parole. Non ama le dottrine opportuniste: è un realista, ma “mistico”, lo definirà un suo collaboratore, perché fonda la sua forza nel Signore, di cui si sente uno strumento per fare del bene in politica. È deciso perché ha vagliato i fatti, dopo la sua dura esperienza bellica vissuta nel carcere, nel domicilio coatto, nella fuga verso la Francia libera e nel preparare un futuro migliore al suo popolo. Ecco il fine del suo progetto: la pace. Per Schuman essa era un imperativo categorico, un disegno spirituale e morale, non una strategia politica o una banale realtà.

Nell’immediato dopoguerra, da ministro, da presidente del Consiglio aveva conciliato animi, risolto problemi non con la forza muscolare, ma con costanza, coraggio, frutti di un carisma, di una grazia datagli da Dio e coltivata nel silenzio, nello studio, nella capacità di concentrazione, nella calma, tutte doti utili per unire verità e giustizia e sconfiggere la guerra, la morte. Schuman ha intrecciato amicizie con i grandi della terra e con essi ha avuto rapporti talvolta aspri, ma egli non è tracotante, rimane equilibrato e col dialogo riesce a smussare angoli, trovare mediazioni, senza cedere ai compromessi. Al nemico di un tempo non porta rancore e lui, vincitore, gli tende la mano per costruire assieme un’epoca di pace. Perdona e si riconcilia. Non lo fa per indulgenza, per dabbenaggine, per debolezza o per fragilità. Lo fa in nome della fortezza perché è coraggioso: sa che è l’amore che genera la vita, che è il perdono che fa rinascere alla vita. Nella stessa mattinata, Schuman aveva inviato a Bonn un suo fidato consigliere con l’incarico di presentare al cancelliere tedesco Adenauer due lettere – una ufficiale ed una personale scritta a mano – nelle quali espone all’amico di vecchia data il suo progetto. Scriverà Adenauer a Schuman l’8 settembre 1962: «È a lei che va il merito dell’amicizia che lega i nostri due popoli. Il suo piano è la pietra d’angolo della comune casa europea». Informa anche il presidente del Consiglio italiano Alcide de Gasperi. Adenauer, il riconciliatore, De Gasperi, il costruttore, Schuman, l’iniziatore hanno in comune una visione grandiosa e misericordiosa del destino dell’Europa.

Nell’esporre la sua celebre dichiarazione usa la forza degli argomenti chiaramente e nettamente formulati. Schuman sa che ci saranno difficoltà da sormontare, contrarietà da superare, ma egli rimane fermo nell’attesa di raggiungere la meta finale che può scoraggiare anche gli uomini più forti, ma non i cristiani. La pace da lui progettata non è solo aspettativa, ma speranza e fiducia di una promessa. «L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto». Conosce i suoi limiti e usa l’arte della misura, la capacità di compiere una grande opera senza superare le sue capacità, ma ci mette tutta la sua passione. Un giorno dirà: «Nulla di grande si può compiere senza passione! ». La solidarietà per questo artigiano di pace è giustizia, che è il contrario del legalismo cavilloso. La solidarietà tra le nazioni non è soltanto pietà e commiserazione per chi ha di meno, ma unità che si adopera per fare il bene di tutti. L’ingiustizia è il frutto della mente malata che ignora chi ha bisogno di essere aiutato. Agli intellettuali cattolici, al momento della firma dei trattati di Roma che istituirono la C.E.E. e la C.E.E.A., dirà: «Constatiamo che l’Europa è anche il Mercato Comune ed Euratom, ma sarebbe ingiusto renderci conto che l’Europa si limiti ad una struttura puramente economica».

Le istituzioni europee « sarebbero un corpo senza anima se non fossero animate da uno spirito di fraternità fondato su una concezione cristiana di libertà e di dignità della persona umana » – scriverà nel 1953. L’economia è espressione del lavoro dell’uomo; il mercato un luogo, un’occasione per permettere non solo lo scambio di merci, ma anche l’incontro tra persone ed idee; la finanza asservita al profitto delimita anche il valore morale dell’economia; la moneta, quando diventa idolo, è causa di disgregazione, allontana l’uomo dal lavoro, per avvicinarlo alla corruzione. Oggi l’Europa rischia nuovamente di essere divisa e separata non da muri, ma da economie forti contro quelle deboli, da rigore contro crescita, da chi vede nell’Europa un’occasione per salvaguardare il proprio orticello privato da chi chiede non elemosina, ma un’equa distribuzione di comuni risorse. «[La nuova Comunità] costituirà il primo nucleo di una Federazione europea indispensabile al mantenimento della pace» – continua nella sua dichiarazione Schuman. La C.E.C.A. non sarà che un primo passo da compiere a cui ne dovranno seguire degli altri per raggiungere un’Europa federata e unita politicamente.

Non è un utopista, pesa attentamente le sue proposte come un vecchio farmacista fa le sue pillole, ma guarda lontano. Ha i piedi ben piantati in terra, facendo coincidere la visione idealistica del suo progetto con la dura realtà che l’Europa stava vivendo. Alla gioia e alla speranza nutrite dagli anziani per un’Europa veramente coesa, all’euforia che ha invaso i giovani tedeschi dopo la caduta del muro di Berlino, è subentrata un’apatia verso l’Europa: all’epoca delle grandi narrazioni, sono seguiti i pericoli dello scetticismo, del nazionalismo e del nichilismo. Ai quattro elementi ricordati nella dichiarazione: la pace, frutto del perdono, la solidarietà, frutto della giustizia, l’unità in una federazione, frutto della sovranazionalità, le realizzazioni comuni, frutto dell’unità è subentrato l’egoismo. Nel suo discorso del giorno di Pasqua, papa Francesco ha lanciato un ulteriore monito all’Europa: «Dopo la Seconda guerra mondia-le, l’Europa è potuta risorgere grazie a un concreto spirito di solidarietà che gli ha permesso di superare le rivalità del passato. È quanto mai urgente, soprattutto nelle circostanze odierne, che tali rivalità non riprendano vigore, ma che tutti si riconoscano parte di un’intera famiglia e si sostengano a vicenda. Oggi l’Unione Europea ha di fronte a sé una sfida epocale, dalla quale dipenderà non solo il suo futuro, ma quello del mondo intero. Non si perda l’occasione di dare ulteriore prova di solidarietà, anche ricorrendo a soluzioni innovative. L’alternativa è solo l’egoismo degli interessi particolari e la tentazione di un ritorno al passato, con il rischio di mettere a dura prova la convivenza pacifica e lo sviluppo delle prossime generazioni».

La dichiarazione di Robert Schuman, dopo settant’anni, è ancora attuale e sembra precedere il desiderio espresso da papa Francesco. Schuman non ha previsto l’avvenire dell’Europa, ma l’ha preparato. Spetta ora ai cristiani e a tutte le donne e gli uomini di buona volontà il compito di donare alle giovani generazioni ragioni per vivere e per sperare.