Agorà

LA PRIMA DELLA SCALA. Scala, una Prima di contrasti

Pierachille Dolfini mercoledì 8 dicembre 2010
Prima della musica, Daniel Barenboim fa risuonare dal podio del Teatro alla Scala la voce della protesta. Un grido che, però, non si affida al tonfo sordo dei petardi, come accade fuori, ma alla Costituzione italiana. Il direttore d’orchestra cita l’articolo 9 per dire, «in qualità di maestro scaligero, ma anche a nome dei colleghi che lavorano in tutti i teatri d’Italia, quanto siamo preoccupati per il futuro della cultura nel nostro Paese e in Europa». Una luce su di lui, una sul palco reale dove c’è il capo dello Stato Giorgio Napolitano: l’hanno voluta i lavoratori del teatro per ricordare che «la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura, della ricerca scientifica e tecnica». Così la Prima della Scala diventa una Prima politica. Lo dice l’Inno di Mameli, certo, doveroso omaggio a Napolitano, ma che ascoltato dopo le parole di Barenboim suona come un invito all’Italia a risollevarsi da una crisi che, come dice ancheLa Valchiria di Wagner, prima ancora di essere economica è una crisi di valori. Wagner racconta un mondo che va in frantumi, quello degli dèi corrotti dal potere che cercano una salvezza negli uomini. Un mondo messo in musica dal compositore tedesco nel 1870, ma che sconvolge sentendolo oggi mentre risuona la voce sinistra delle sirene che portano via alcuni poliziotti rimasti contusi negli scontri sulla piazza. Fuori i «ribelli» (studenti, immigrati, lavoratori dello spettacolo), dentro, sul palco, un’altra ribelle, la valchiria Brunilde (Nina Stemme) che va contro le leggi del padre Wotan (l’italico Vitalij Kowaljow) per salvare Sieglinde (Waltraud Meier) e il bambino che porta in grembo. Che poi è il futuro, la speranza in un domani migliore.Due mondi allo specchio, divisi dalle transenne e dai poliziotti. Ma uniti dal capo dello Stato che tra un atto e l’altro dell’opera incontra i lavoratori della Scala per ascoltare le loro preoccupazioni sul futuro. Con lui ci sono i ministri Brambilla e Romani, non quello dei Beni culturali Bondi. Due mondi uniti dalla musica di Wagner che esce dal teatro e risuona in galleria Vittorio Emanuele, rischiarata dal bagliore dei fumogeni dei manifestanti.Fuori, echi di guerriglia. Dentro, le immagini a infrarossi dei bombardamenti su Baghdad. Li vuole il regista Guy Cassiers per raccontare la guerra tra gli dèi. Per dire che Wagner è attuale perché ti costringe a pensare, a guardarti dentro. Il pubblico non fiata mentre Wotan decide la morte del figlio Siegmund (Simon O’Neill). Si chiede il perché di tanta violenza, ieri come oggi, di fronte ai cadaveri degli eroi morti in battaglia che le valchirie, nella celeberrima Cavalcata, trasportano nella dimora degli dèi. Cadaveri che Cassiers rappresenta come tanti raggi laser rossi che cadono dall’alto. Simboli forti che il regista dissemina in uno spettacolo tecnologico, pieno di video che, però, a metà del secondo atto, saltano per un guasto ai proiettori. Come era accaduto all’anteprima per i giovani. Una magia che si interrompe. E che forse crea un po’ di nervosismo. Barenboim, allora, raddoppia gli sforzi. Facendo diventare ancora di più la musica il centro della serata. Con i climi di Wagner martellanti, inquietanti, perché parlano di amore e di morte, di angoscia e di compassione, di peccato e di redenzione. Temi che ti restano nelle orecchie, come il grido selvaggio delle valchirie, anche quando dopo più di cinque ore la musica si spegne. E cala il sipario su quella che in molti sperano possa essere la Prima del riscatto per un’Italia alle prese con la crisi. E poco importa, sembrano dire i 14 minuti di applausi finali, se protagonisti di questa Prima siano stati un regista belga, un direttore d’orchestra argentino e le note di un compositore tedesco. Potenza della musica. Che, a volerla ascoltare, parla ancora a tutti.