Agorà

Tradizioni. San Gennaro, il sangue che unisce «miseria e nobiltà» di Napoli

Giovanni Caldara giovedì 6 luglio 2017

“Gennaro”, l’opera di Jorit AGOch a Napoli che immagina un volto contemporaneo per il santo patrono

Gli americani, amanti delle classifiche, compilarono nel 2010 (sul prestigioso settimanale “Time”) quella delle dieci reliquie più famose al mondo: insieme alla Sindone, inserirono il sangue di san Gennaro. Il vescovo di Benevento, tutore partenopeo e 'padrone del fuoco', al punto da fermare più volte la minacciosa lava del Vesuvio, avrebbe dato prova anche di miracoli di segno opposto: quando, invocato in lingua malgascia nel lontano Madagascar, avrebbe vinto la siccità scatenando piogge copiose. «San Gennaro ha venticinque milioni di devoti sparsi per il mondo », secondo Paolo Jorio, direttore del Museo del Tesoro di San Gennaro: venticinque volte cioè il numero degli abitanti di Napoli. «È una figura colossale legata a filo doppio con la città di Napoli. Ma è un santo da numeri primi che non è solo locale: è glocal », queste le parole del giornalista e scrittore Maurizio Ponticello che al suo concittadino più illustre ha dedicato un poderoso e affascinante libro, frutto di dieci anni di ricerche: Un giorno a Napoli con san Gennaro (Newton Compton, pagine 444 , euro 12,00), libro che verrà presentato durante l’Ombre Festival di Viterbo, in programma dall'8 al 15 luglio. Una figura affascinante, sicuramente misteriosa, anche quella di san Gennaro, le cui zone d’ombra di una storia quasi bimillenaria sono indagate da Ponticello a partire dai giorni del martirio del santo alla solfatara di Pozzuoli nel lontanissimo 305, fino all’intricata vicenda delle traslazioni delle spoglie, per approdare a quel vero e proprio unicum che è il patto notarile vergato dalla città con il suo santo.

Coma va inquadrato, Ponticello, san Gennaro?

«’O santo nuosto va letto senza dubbio a partire da Napoli, da una città per metà solare e per l’altra lunare. Dove a mancare è una netta demarcazione e tutte le parti si compenetrano e si stemperano tra loro. Dove il sacro e il profano e anche il pagano non sono divisi da un rigido confine, anzi convivono senza scossoni e gravi rivendicazioni».

Per che cosa è identificato san Gennaro?

«Non tanto dal controverso prodigio della liquefazione del sangue, ma nell’indubbia funzione che egli assume come gonfalone e collante che mette insieme miseria e nobiltà: con il santo, lazzari, borghesi e blasonati si stringono la mano in un unico coro solidale per difendere la propria terra. Sotto la bandiera di Januarius il popolo è di nuovo una comunità. Questo è indubbiamente un miracolo».

Da quando si cominciò a parlare di san Gennaro?

«L’anno di svolta fu il 1389, anno in cui gli angioini regnanti cercavano una legittimazione sociale per un governo sereno e giunsero dalla Provenza, inviate dal futuro re di Napoli, Luigi II d’Angiò, due galere con le stive colme di frumento che arrivarono in una Napoli ridotta alla fame per la grave carestia. Il primo prodigio dello scioglimento del sangue di san Gennaro avvenne proprio in quello stesso giorno, il 17 di agosto: la cronaca del tempo fa intendere che lo scioglimento della reliquia non fosse mai avvenuto in precedenza: una novità insolita appunto da meritare una “grandissima” processione ».

Perché fu fatidica invece la data del 1527?

«Perché quello fu l’anno memorabile del patto, quando i rappresentanti della città, sia patrizi che del popolo, stipularono davanti a un notaio un insolito documento, un patto appunto, basato su un accordo di reciprocità tra la devozione della città per il santo e la protezione offerta loro da san Gennaro».

Una “benevolenza” che non sarebbe stata accordata ciecamente: non tanto dal santo, ma dai napoletani.

«E difatti Napoli vanta episodi estremi, irriverenti, che testimoniano un confine molto labile tra ciò che è sacro e profano. Come durante la Repubblica Napoletana del 1799 quando – si racconta – il popolo era così indispettito per l’appoggio del patrono verso i blasfemi giacobini che, infuriato, reagì imbracando un busto di san Gennaro con una corda, lo trascinò per le strade fino a raggiungere il mare e, infine, lo annegò nelle acque».

Qual è il rapporto che lega oggi la città con il suo patrono?

«Per noi non è Gennaro, è Gennarone. Ed è il sangue dello stesso popolo che gorgoglia all’unisono con Gennaro; in lui la nazione napoletana ritrova la propria memoria e l’identità calpestata, il collegamento profondo con la propria terra. Ogni volta che si scioglie si ribadisce l’alleanza, come un ciclo stagionale che torna indietro e, pur sempre, procede innanzi».