Agorà

Arte e sacro. Scrivere musica sacra oggi... con l'esempio di Haydn

Gianfranco Ravasi mercoledì 12 settembre 2018

«Il Signore vi parlò dal fuoco. Udivate il suono delle parole, ma non vedevate alcuna figura, vi era solo una voce» (Deuteronomio 4,12). Nell’originale ebraico sono solo 14 parole centrate su un’antitesi: da un lato, c’è una qôl , termine che indica “voce, suono, grido, tuono”; d’altro lato, si sottolinea l’assenza di una temûnah , “immagine, figura, statua”. Il primato esclusivo è, dunque, assegnato alla parola, “essere vivente”, come la definiva Victor Hugo. Il versetto citato esprime con grande potenza una dimensione essenziale: la Parola di Dio è alla radice non solo della creazione (“In principio... Dio disse: Sia la luce! E la luce fu” Genesi 1,1.3), ma anche della storia della salvezza. Infatti, tutta l’esperienza vissuta da Israele al Sinai è riassunta da Mosè – è lui che sta parlando al popolo nel passo citato – nell’“ascolto” di una voce, un termine che sarà fondamentale nella fede biblica (“Ascolta, Israele!”). Inoltre, Mosè scende dal Sinai con le Dieci Parole, ossia il Decalogo, “lampada per i passi nel cammino” della storia (Salmo 119,105). La Parola divina, perciò, sostiene e giudica l’intera trama storica del popolo dell’alleanza.

Il Dio biblico è, allora, il Dio della Rivelazione, della Parola, della Voce. Non è una statua inerte e muta come il toro sacro, il vitello d’oro, segno di fecondità, che il sacerdote Aronne erige nella valle del Sinai. Attraverso la potenza della Parola efficace si celebra la trascendenza del Signore, il suo essere Altro rispetto a noi creature umane e alle cose che pure dipendono da lui e dalla sua voce imperativa, che crea, salva e che giudica. Possiamo, così, idealmente passare al Vangelo di Giovanni e al suo straordinario incipit, che è la sintesi del messaggio dell’Incarnazione: «In principio era la Parola... E la Parola carne divenne» (1,1.14). La Parola trascendente si esprime e si rende udibile nella “carne” delle parole umane. Ora, tra le molteplici parole di Cristo uno spazio privilegiato occupano le ultime sette pronunciate mentre era crocifisso: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno... Donna, ecco tuo figlio... Ecco tua madre... Oggi sarai con me nel paradiso... Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?... Ho sete!... Tutto è compiuto!... Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».

Esse hanno ricevuto tante riprese musicali ma noi vorremmo riservare un’attenzione speciale al capolavoro di Franz Joseph Haydn. Si tratta di un’opera ripetutamente riproposta anche perché fu rielaborata per diversi approcci strumentali. Essa paradossalmente esalta le parole di Cristo senza le parole stesse ma con la sola sonorità musicale. Musica instrumentale sopra le sette ultime parole del nostro Redentore in croce, o sieno sette sonate con un’introduzione ed al fine un teremoto : tale è il titolo originario in italiano della composizione che Franz Joseph Haydn scrisse tra il 1786 e il 1787. Considerato il padre della sinfonia, della sonata e del quartetto, Haydn aprì la strada alla moderna musica strumentale. Per quanto riguarda la genesi di queste Sette parole lasciamo la parola allo stesso autore, secondo la testimonianza raccolta dal suo primo biografo, Georg August Griesinger: «Un canonico di Cadice mi chiese di comporre una musica strumentale sulle sette ultime parole di Cristo in croce. Si aveva, allora, l’abitudine nella cattedrale di Cadice di eseguire tutti gli anni, durante la quaresima, un oratorio il cui effetto era esaltato da alcune circostanze esteriori. Infatti le mura, le finestre, le colonne della chiesa erano rivestite di nero; solo una grande lampada sospesa al centro rompeva quella santa oscurità. A mezzogiorno si chiudevano tutte le porte e a quel punto cominciava la musica. Dopo un preludio appropriato il vescovo saliva sull’ambone e pronunciava una delle sette parole commentandola. Poi scendeva dall’ambone e si prostrava davanti all’altare. Risaliva di nuovo sul pulpito e vi ridiscendeva una, due, tre volte e così via. Ogni volta l’orchestra interveniva alla fine di ciascun sermone corrispondente alla parola di Cristo proclamata. Nella mia opera ho dovuto tener conto di questa situazione. Il compito di far succedere in sequenza sette “adagio”, che dovevano durare una decina di minuti, non era dei più facili. E io compresi subito che mi era impossibile rispettare i tempi prefissati».

In realtà, questa attestazione merita qualche precisazione. Non si trattava della cattedrale di Cadice (Cádiz), deliziosa punta spagnola sull’Atlantico, futura patria del musicista Manuel de Falla che qui nacque nel 1876, bensì della chiesa della Santa Cueva (o del Rosario), formata da due cappelle ellittiche, una sotterranea in una grotta naturale e l’altra in superficie con una cupola ornata da tre affreschi di Goya. L’opera orchestrale era stata commissionata a Haydn dal marchese di Valdes-Inigo che era canonico di quella chiesa e che volle anche un’introduzione ai sette “adagio” e un finale, il cosiddetto “Terremoto”. Le Sette parole furono eseguite, col rituale sopra descritto dallo stesso musicista, il Venerdì Santo 6 aprile 1787. Come si diceva, l’opera ricevette diverse trasformazioni. Lo stesso autore ricavò una versione per quartetto d’archi, pubblicata a Vienna nel 1787 e spesso eseguita anche ai nostri giorni. Egli, poi, approvò una riduzione per clavicembalo o fortepiano, ora spesso eseguita al pianoforte. Haydn non cessò, però, di lavorare su questa partitura a lui cara e, così, nel 1795-96 creò un oratorio in due parti intitolato Die sieben letzten Worte unseres Erlösers am Kreuze (“Le ultime sette parole del nostro Salvatore sulla croce”) che fu eseguito per la prima volta a Vienna il 26 marzo 1796. Da tutto questo fervore attorno al testo evangelico si comprende quanto fosse caro al compositore il soggetto da lui sviluppato con straordinaria potenza e bellezza.

Se è lecita una testimonianza personale, ebbi la fortuna per due volte di viverne il pathos profondo stando in una posizione privilegiata. Infatti, il 16 marzo 2000 nella basilica milanese di San Marco fui cooptato dal maestro Riccardo Muti con l’orchestra del Teatro alla Scala sia in una presentazione iniziale delle parole di Cristo, sia nella successiva proclamazione, stando tra gli orchestrali, del testo evangelico in apertura a ognuna delle sette sonate. L’esperienza fu ripetuta anche il 19 novembre 2000 con lo stesso organico nella basilica milanese di San Eustorgio e con un’intensa partecipazione emotiva mia e degli spettatori. È sorprendente la capacità di Haydn di conservare in ogni parte la ieraticità postulata dal testo evangelico, senza però mai cadere nell’uniformità, con un dosaggio di temi, di ritmi, di alternanze tra “maggiore” e “minore”. Una musicalità austera, eppure estremamente evocativa: si pensi solo ai “pizzicato” della parola di Gesù “Ho sete” che sembrano creare l’aridità di una gola secca e bruciante; oppure alla sordina imposta ai violini e l’eco dei corni che si allungano in una sorta di meditazione finale nell’ultima parola, “Padre, nelle tue mani...”. Impressionante è, infine, il famoso “terremoto” finale che sembra quasi far esplodere la tensione accumulata in un “fortissimo” do all’unisono, con l’intera orchestra coinvolta e quasi travolta. Un’ora e un quarto circa di musica suprema che giustamente è spesso riproposta come meditazione artistica e spirituale per la Settimana Santa.