Agorà

Itinerari. Alla riscoperta dei luoghi di Francesco

Massimiliano Castellani lunedì 4 aprile 2016
Seguendo Francesco. Dall’incanto mistico della tosca e petrosa la Verna alla silva e reatina Poggio Bustone, (borgo oggi forse più noto per aver dato i natali al cantautore Lucio Battisti), sono oltre 200 km di “cammino” percorrendo la consolare, la vecchia statale Flaminia. Un percorso dell’anima Sulle tracce di san Francesco (Il Mulino, pagine 148, euro 14) titolo omonimo del gustoso e peripatetico saggio a firma di Attilio Brilli e Simonetta Neri. È un viaggio alla “riscoperta” dei luoghi francescani, così come fecero illustri - e meno noti - viaggiatori agli inizi del ’900. Si deve a un gruppo di scrittori, artisti e intellettuali, in prevalenza stranieri, questo meraviglioso “salvataggio” dall’oblio in cui erano precipitati quei luoghi che, cambiando e talora cedendo - almeno parzialmente - ai tempi moderni, conservano comunque ancora l’impronta francescana. «Nessuno può sperare di conoscere san Francesco senza conoscere e amare i luoghi in cui visse», ha scritto il caposcuola della moderna storiografia francescana Paul Sabatier, indicando l’iter sacrale verso «questi piccoli romitori, abbastanza isolati perché vi si possa fuggire ogni distrazione, ma abbastanza vicini alla città per potervi andare a predicare, si trovano ovunque è passato Francesco». Al pastore protestante francese, la Verna parve «un immenso monolite caduto dal cielo, e andato ad arenarsi sulle alture del Casentino, a somiglianza dell’Arca di Noè sul monte Ararat». Dinanzi al maestoso Sasso Spicco, lo scrittore scozzese Joseph Forsyth nel suo viaggio in Italia, annota: «Qui regna il volto terribile della natura». Il drammaturgo americano Julien Green, conoscendo la storia delle stimmate ricevute dal Poverello di Assisi sul sacro monte, vide nell’abisso delle grotte in cui si rifugiò «rocce frantumate in cataclismi immemorabili» che, al cospetto di Francesco, «raffiguravano ai suo occhi le ferite di Cristo». Secondo la biografia di Tommaso da Celano, san Francesco riparò a la Verna nel 1224, assieme a pochi compagni perché «fossero custodi amorosi della sua quiete». Una quiete distolta da questo luogo che al poeta danese Johannes Jørgensen lasciò un senso di «oscuro e profondo». Quattro anni prima dell’isolamento eremitico, la quarantena de la Verna, e del mistero dell’«ultimo sigillo», affinché in modo misericordioso si compisse in lui la volontà del Padre celeste», Francesco al capitolo generale dell’Ordine aveva tuonato contro il nuovo indirizzo condiviso dalla maggioranza dei confratelli. Questi contravvenivano alla Regola dettata da Francesco che gli chiedeva espressamente «di non appropriarsi di alcun luogo, né di contenderlo ad alcuno». La delusione per non voler sposare in toto, come egli fece «sorella povertà», lo condusse allo sconforto. «D’ora in avanti sono morto per voi», proferì amaramente Francesco. Così, per volontà di papa Innocenzo IV quell’oscuro romitorio della Verna già dal 1250 venne proclamato luogo santo. Forse questo avrebbe immalinconito ancor più il Poverello. E quella santa melanconia si ritrova nei versi del poeta di Marradi, Dino Campana, salito fin lassù, al Sasso Spicco, per descrivere la «chiesetta francescana» e la «tristezza del chiostro: e pare il giorno dall’ombra, giorno piagner che si muore». La morte echeggia nell’eremo di Montecasale in Valtiberina, detta la «Verna in miniatura» che in una grotta conserva i teschi dei briganti («taglieggiatori dei viandanti»), qui ospitati da Francesco secondo un altro dettame fondante della Regola: «Accogliere con bontà chiunque verrà, da amico o nemico, da ladro o brigante». Nascondigli di preghiera, pertugi ammantati dal bosco in cui «insieme alle rocce, le foreste insegnano cose che non s’apprendano nemmeno dai maestri della scienza», ammonisce san Bernardo. Il più oscuro e nascosto dei luoghi francescani di Toscana restano le Celle di Cortona, a un’ora abbondante di cammino dalla città aretina. Talmente celate le Celle che nel suo ritratto del Poverello d’Assisi - fanno notare gli autori di Sulle tracce di san Francesco «se ne dimenticò persino un amante della Toscana come il cattolico Edward Hutton». Qui Francesco, di ritorno dalla Verna, fece sosta, diretto per l’ultima volta ad Assisi. Dopo aver abbandonato quella del padre, il mercante di stoffe Pietro di Bernardone, l’altra casa - «il primo ricetto o nascondiglio» - assisiate di Francesco divenne la grotta sovrastante la piccola chiesa di san Damiano, in mezzo agli «uliveti di Galilea». Dopo l’«uscita dal mondo», a San Damiano, Francesco diede prova di essere un restauratore, costruendo «pietra su pietra», la cappella e quel luogo di clausura delle Povere Dame, dove l’amata sorella Chiara visse per quarant’anni fino alla morte. Vite parallele e di penitenza quelle del Poverello e di Chiara d’Assisi e poi di tutti coloro che nei secoli varcarono l’Eremo delle Carceri dove ebbe sede il primitivo oratorio e la Grotta di san Francesco. Questa è la «tebaide eremitica del Subasio», collegata con il «tugurio», il lebbrosario di Rivotorto, non lontano da quella piccola porzione di terreno che diede origine letteralmente (il «pezzettino») alla Porziuncola. È qui che il 4 ottobre 1226 si concluse il cammino terreno di Francesco e del suo corpo malandato e non curato che soleva chiamare «fratello asino». Oggi questa magnifica chiesetta che conserva il bel quadro dell’Annunziata e una crocifissione “mutilata” del Perugino è incastonata all’interno della maestosa basilica seicentesca di Santa Maria degli Angeli. Siamo al centro dell’Umbria, nel cuore verde della spiritualità occidentale dove su suggerimento del Sabatier si spinse l’unica viaggiatrice straniera del ’900, Beryl De Selincourt. Accompagnata dalla fotografa Mildred Bicknell il loro reportage le portò a “riscoprire” sopra a Spoleto le grotte di Monteluco ove si fermò anche sant’Antonio da Padova, la Romita di Cesi e il convento fondato da Paolo da Foligno nel 1335. L’itinerario umbro si interrompe allo Speco di Narni, poi si entra nel Lazio nella Foresta, nell’«aspro eremo di Poggio Bustone» che affascinò Ernest Raymond e la Fonte Colombo dove, ricorda Guido Piovene arrivato nella Valle Santa, Francesco dettò ai suoi fratelli la Regola dell’Ordine. Quei fraticelli a lui cari, assieme ai pastori e i contadini del borgo sottostante al monte Lacerone, nel dicembre 1223 aiutarono san Francesco a celebrare il Natale di Greccio. Uno “spettacolo” che Edouard Schneider conoscitore del teatro e biografo di Eleonora Duse rivive descrivendolo estasiato: «La scena di Betlemme, improvvisata qui dal genio di Francesco è stata come una seconda nascita del cristianesimo».