Agorà

Verso le Olimpiadi. I Giochi ormai son fatti Ma Rio è una polveriera

Massimiliano Castellani, inviato a Rio de Janeiro mercoledì 3 agosto 2016
ll Pelope brasiliano spedisce cartoline variopinte da Copacabana.  Mirtilo si fa un tuffo in mare e poi va a stendersi in baia con vista sulla ragazza di Ipanema (Ippodamia) che danza la bossa-selfie. E poi di corsa con il perfido e geloso Enomao in fondo a San Conrado passando per il tunnel che sbuca al villaggio olimpico della Barra da Tijuca. Vista così, in chiave epica come l’avrebbe raccontata Apollodoro e non nell’era della caccia di Pokémon Go, questa rimane la cidade maravilhosa. Ma a guardarla bene è già un’altra Rio rispetto a quella dei Mondiali di calcio del 2014. Infrastrutture in ritardo, una quarta linea metropolitana ferma al palo e comunque incompleta, paludi, fili e nervi scoperti un po’ ovunque. Le gare per diciassette giorni distoglieranno da questi cattivi pensieri, ma non potranno cancellare il rischio reale di un maracanazo. Una disfatta socioeconomica, annunciata una volta chiusi i Giochi, è ciò che più preoccupa un intero Paese. È solo l’inizio di Rio 2016, la prima Olimpiade sudamericana, ma l’aria di questo autunno caldo (perfino il meteo è anomalo e spara afa fino a 28°) sa tanto di atmosfera da ultima spiaggia. Si respira un’aria soporifera, sicuramente meno olimpica rispetto alle ultime edizioni “2.0”, anche se il confronto con l’ultimissima, la regale e pre-Brexit “London 2012”, è improponibile. La migliore definizione del momento che sta vivendo la Rio olimpica l’ha data l’urbanista Paulo Mendes da Rocha affidandosi alla novella del più grande visionario argentino, il Manoscritto di Brodie, di Borges: «Rio si sente come l’ospite che è felice di essere ben ricevuto, ma capisce di essere prigioniero». Prigionieri dell’ennesimo braccio di ferro contro il gigantismo dei Giochi moderni, fenomeno che a Pechino 2008 toccò il vertice assoluto: preventivo di spesa quattro miliardi, saldo finale di oltre quaranta miliardi gettati dagli oscuri tycoon del Dragone.Il budget previsto alla vigilia di Rio 2016 era di 6,7 miliardi di euro, una follia anche per una delle potenze economiche in ascesa dell’asse Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), però a conti fatti è probabile che si sfori pesantemente fino a 10 miliardi. «Nessuna anomalia», confortano i pescecani della finanza pronti a soccorrere o annegare definitivamente la Rio in apnea. «Anche la wonderful Londra aveva visto lievitare le spese da 4,6 a 10 miliardi di euro», ma la sana e consapevole amministrazione della capitale del Regno Unito ha poi generato uno sviluppo economico per 12 miliardi. Lo stesso sviluppo di due miliardi che ha previsto Rio, ma sarà impossibile sintonizzarsi sulle stime di radio Londra che grazie ai Giochi del 2012 ha calcolato che tra il 2004 e il 2020 può sperare in una ulteriore performance pari a un business stellare tra i 36 e i 52 miliardi. L’economia di Rio e quella del Brasile non può sognare in grande perché procede a ritroso come un gambero sulla battigia di Botafogo: dopo la marcia trionfale la crescita del Pil si è dimezzata del 50%: da 7 punti agli attuali 3,5. E la stessa pasionaria Dilma Rousseff, il premier defenestrato il 12 maggio dall’impeachment-golpe, sentendo «aria contaminata» non presenzierà venerdì alla cerimonia d’apertura dell’Olimpiade. In caso di destituzione di Dilma, l’attuale reggente Michel Temer resterà in carica fino al 2019. «Momento di massimo razzismo. La peggiore atmosfera dai tempi della dittatura militare finita nel 1985», gli fanno eco i nostalgici del predecessore della Rousseff, Lula. Ma il lulismo al momento è fuori dai giochi di potere e i venti milioni di poveri che aveva strappato alla povertà rischiano di tornarci. “Mani pulite” in salsa carioca, Lava Jato, ha punto più della zanzara Zika: dalla Rousseff, al capo della camera Eduardo Cunha – sacerdote maximo della chiesa evangelica – passando per i manager bancari e quelli petroliferi del colosso Petrobras. Dinanzi a questo scenario apocalittico, rappresentano un pan di zuccherino quei centoventimila nuovi posti di lavoro, per lo più contratti a progetto, che ha portato Rio 2016. Dopo la tregua olimpica qui si torna alla solita guerra. La città ha fatto scattare l’allarme terrorismo per una presunta cellula legata al Daesh, ma la vera minaccia costante rimane quella della criminalità comune che ha mietuto 1.200 vittime per omicidio soltanto nel 2015. Il primo record da consegnare a chi arriva in questo inferno mascherato da paradiso sono le 18,6 vittime ogni centomila abitanti: Roma in confronto è un ridicolo “romanzo criminale” con il suo 0,90 omicidi. Deodoro, zona nord, uno dei quattro poli olimpici con Barra, Maracanà e Copacabana, è considerato il luogo più a rischio, un’autentica polveriera. Per questo il sindaco di Rio Eduardo da Costa Paes ha chiesto il massimo sforzo al Governo sul fronte sicurezza e la risposta è stata lo schieramento di 85 mila militari (4.500 riservisti), il doppio di quelli messi in campo a Londra. Ma qui i meninos de rua sparano già a sei anni per le strade delle oltre trecento favelas niente affatto bonificate, come promesso durante il Mundial. E la polizia fluminense che dovrebbe garantire l’ordine è un’altra minaccia con ottomila omicidi negli ultimi dieci anni e centinaia di bambini che sono stati fatti sparire, molti dei quali diventati merce di scambio nell’atroce traffico internazionale degli organi. Le forze militari per il lavoro straordinario che devono compiere in questo mese di agosto riceveranno compensi mai visti prima, 60 euro al giorno, ma c’è agitazione per i pregressi non pagati e sono in ritardo tanti degli stipendi pubblici legati a Rio 2016.Pagano i tagli finanziari che hanno avuto ripercussioni anche sugli stoici volontari delle Olimpiadi ridotti in corso d’opera da settantamila a cinquantamila (oltre trecentomila le richieste inviate da tutto il mondo). Meno volontariato, uguale meno posti numerati in 14 dei 32 impianti olimpici per i quali sono stati investiti due miliardi di euro. Il 40% provenienti da fondi pubblici – statali e regionali –, il 60% frutto di quei finanziamenti privati dei tanti “Pelope” sparsi per lo Stato di Rio. Del resto, anche sotto il Corcovado lo sanno, i Giochi nell’antichità cominciarono con la corruzione: quella di Mirtilo che guidava la biga di Enomao. Pelope vinse – con l’inganno – e così poté sposarne l’amata figlia Ippodamia. Solo organizzando i Giochi Pelope si salvò dalla maledizione di Zeus, magari Rio ha pensato di emularlo confidando nella clemenza del Cristo Redentore.