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Mostraci il tuo volto. Benazzi: «Religiosità popolare, relazione con Dio»

Roberto I. Zanini sabato 16 luglio 2022

Le mani di un pellegrino a Fatima con una candela e un rosario

Cosa c’entra il mito di Narciso col Volto di Dio e perché la religiosità popolare è da sempre la strada dei semplici che conduce all’incontro col Volto? Narciso e la fede del popolo: due temi collocati agli opposti. Nel primo la relazione è negata, nel secondo è fondante e sublimata. In mezzo c’è la questione del Volto che attraversa per intero le Sacre Scritture e se da una parte assume pieno significato nell’Incarnazione, dall’altra ci dice che quel Volto che così tanto desideriamo di rivedere faccia a faccia era per noi la normalità nel Giardino dell’Eden. Natale Benazzi è un editor di lungo corso e da più di qualche anno, ormai, è il responsabile del settore spiritualità delle edizioni San Paolo, autore egli stesso di numerose pubblicazioni per varie case editrici, fra le quali il romanzo L’ultima notte di Maria di Nazaret (San Paolo, 2020) e Guida ai miracoli d’Italia (Rizzoli, 2021). Una vita immersa nel pensiero teologico e spirituale, ma soprattutto nella mistica e nella religiosità popo-lare, che sono un po’ la bussola del suo modo di pensare e di vivere la fede e, ne è convinto, la chiave per tornare a mostrare vivo e reale il Volto di Dio nella nostra attualità. Parlare con lui di queste cose significa immergersi in un mondo in cui il sentire dei grandi mistici si fonde al gesto umile e concreto di chi ripone le sue speranze in una reliquia, di chi si inginocchia davanti a un’immagine del Sacro Cuore o di chi intraprende il Cammino di Santiago. «Accettare l’amore di Gesù e vivere nel suo amore significa distogliere lo sguardo da me stesso e disporre la mia vita alla relazione: vedere il suo Volto nell’altro. Esattamente quello che capita a Eva e Adamo nell’Eden, che vivono la pienezza della loro relazione fino a quando lo sguardo dell’uno per l’altra si alimenta dell’amore relazionale che è in Dio, ma la perdono quando scelgono di centrare l’amore in se stessi. Col peccato originale ci è diventato faticoso, come per Narciso, pensare che ci sia qualcuno a cui dare piena fiducia».

Ecco allora il senso pieno dell’Incarnazione...

L’Incarnazione è nel pensiero di Dio. Creazione e Incarnazione sono facce della stessa medaglia. Adamo ed Eva nel guardarsi vedono Dio ma nel momento in cui guardano se stessi l’immagine di Dio si frantuma. Que- sto è il problema nella coppia, nella vita relazionale. L’altro è colui che mi impedisce di amare me stesso. Una vera e propria perversione dello sguardo: ciò che mi è stato dato per stare nella relazione con Dio diventa il nemico di me stesso. Con il suo Volto Gesù continua a sottolineare a ciascuno di noi la scelta vitale dello stare in relazione.

Questo non vale solo per la coppia.

Ogni volta e in tutti i contesti in cui penso che Dio sia a mia immagine e non viceversa, pongo al centro me stesso e mi costruisco un nemico, perdo la pace interiore, mi espongo a una guerra. Per estendere il concetto: voler essere al centro della storia e pensare che la storia debba rispecchiare le mie idee è al cuore di ogni totalitarismo. Se invece pongo sull’altro uno sguardo relazionale, cioè vedo in lui il Volto di Dio, mi si aprono orizzonti pacificati. Purtroppo siamo poco abituati a questo, qualunque sia il contesto sociale e familiare, anche nella vita di Chiesa, nella vita comunitaria. Eppure solo nel Volto si realizza la pienezza della nostra umanità.

E la religiosità popolare?

Quando non è superstiziosa la religiosità popolare è raggiunta da un’immagine del Volto di Dio che le è stata consegnata dalla tradizione, dalla Parola, da secoli di preghiera, dalla Chiesa che, insieme, ne garantiscono la “diversità da me” e la capacità di mettermi in relazione con Dio.

Questo vale anche per le grandi apparizioni?

Certo. Prendiamo l’esempio di Lourdes. Quello che succede a Bernadette Soubirous è qualcosa che le sfugge completamente, che vive come qualcosa di immensamente più grande di lei, al di fuori del proprio controllo. Bernadette (così come i Pastorelli di Fatima) è l’inverso del narciso. Quando le viene fatta vedere la statua della Madonna, lei dice semplicemente che non è la sua Signora, ma non chiede che venga cambiata. Consegna agli altri la sua storia sapendo di non essere lei il centro di quella vicenda.

La religiosità popolare è fatta di umiltà e affidamento?

È fatta di preghiere semplici, di immagini immediate, di pro- cessioni, di pellegrinaggio, di gusto per il camminare insieme verso il santuario, verso Dio. A Medjugorje l’esperienza della salita insieme al colle delle apparizioni è essenziale, fondante. Il Cammino di Santiago obbliga a fare i conti con le persone che incontri, invita alla relazione, chiede di specchiarsi non in se stessi, ma nell’altro che cammina con te: l’ateo, il disperato che fa il Cammino perché non sa cos’altro fare, lo smarrito che va a Santiago perché non sa dove andare... Umanità che cerca relazione, che racconta la sua storia, che chiede la pace del cuore. Questa è la religiosità del popolo.

Sempre che non diventi folklore...

Il folklore falsifica tutto. Ma è facile da smascherare perché è anch’esso un inganno narcisista.

E la devozione per le immagini?

Da sempre nel cristianesimo le immagini parlano un linguaggio profondissimo. Basti pensare alla tradizione delle icone nella Chiesa d’Oriente o al valore delle immagini acheropite. Per questo possiamo dire che c’è un grave errore in tanta teologia degli ultimi 50 anni, che considera superficiale questo tipo di devozione indicando in se stessa la ricerca dell’autentica profondità di fede. Eppure basterebbe pensare alle pagine straordinarie di Karl Rahner sul Sacro Cuore. Giovanni Moioli, grande esperto di teologia spirituale, ha scritto testi fondamentali sui grandi temi della teologia popolare ricordando la centralità biblica del cuore di Dio. Ecco: chi si inginocchia davanti al Sacro Cuore, al Gesù della Divina Misericordia è persona che ha capito il fulcro del messaggio cristiano. È l’amore di Dio che mi ricorda che il figliol prodigo sono io, che lui mi attende e che per me c’è sempre la possibilità di tornare. Un tema prettamente popolare perché a tutti noi interessa nel profondo del cuore di essere amati, di sentirci amati.

Colpisce anche la devozione per le reliquie, la gente che fa la fila per sostare un attimo davanti alla tomba del Santo a Padova...

La religiosità popolare si manifesta attraverso i gesti. Chi fa la fila per toccare la tomba del Santo spesso con quel gesto consegna le sue ferite, tutta la sua speranza. In fondo cosa c’è di diverso dalla donna evangelica che ha perdite di sangue e giunge finalmente a toccare la veste del Signore? Le reliquie sono qualcosa di raggiungibile da tutti. Non hai bisogno di essere più intelligente, più acculturato. Il cuore si raggiunge nel gesto, nel sentimento, col cuore. Del resto, da sempre sulle reliquie dei santi si costruiscono le chiese, si celebra l’Eucaristia. Davanti alle reliquie ci si immerge nella preghiera dei santi, di milioni di cristiani prima di noi.

Come visitando la Santa Casa a Loreto o la Porziuncola o la casa di Maria a Efeso?

Sono luoghi in cui si respira il raccoglimento di un popolo, la forza di una santità consegnata anche all’ambiente.

Insomma, bisogna rivalutare la religiosità popolare?

È necessario approfondire questo grande tema e la verità che contiene, che spesso si fonde con la mistica, con la preghiera del cuore. La religiosità popolare cristiana è in strettissima relazione con l’Incarnazione, con la Resurrezione. Pensiamo alla Sindone, alla devozione per le immagini del Volto di Gesù, per il Volto Santo, per il Sudario di Oviedo, ai pellegrinaggi a Gerusalemme, sulle tombe degli apostoli... La devozione vissuta dal popolo è esperienza mistica, giunge al cuore del mistero. Se pensiamo che queste cose abbassino il livello della comunicazione del Vangelo siamo fuori strada, molto fuori strada.