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Cinema. Il film su Bergoglio: racconto senza retorica con diversi limiti

Stefania Falasca venerdì 27 novembre 2015
Davanti a un chiosco di caramelle il rettore del Collegio San Miguel, il gesuita Jorge Mario Bergoglio, e il vescovo di La Rioja, Enrique Angelelli, parlano a bassa voce. «Ho altri tre ragazzi, tre seminaristi… Ho bisogno di farli scappare dal Paese», dice il vescovo a padre Bergoglio dopo averlo informato dell’assassinio di due religiosi che operavano nella sua diocesi. È una delle asciutte sequenze che ci porta dritti nel pieno del buio della dittatura in Argentina in Chiamatemi Francesco.  Il film, che dagli anni giovanili ripercorre l’ampio arco di tempo trascorso a Buenos Aires fino alla loggia di San Pietro, evoca il percorso umano e spirituale di Bergoglio, attraversando i difficili anni della dittatura che lo vede come provinciale dei gesuiti e responsabile di un istituto dove nasconde seminaristi e giovani che sfuggivano dalla polizia diVidela. Dalla drammatica esperienza dei desaparecidos e del terrorismo di Stato agli anni Novanta e al suo impegno come sacerdote di strada, fino alla chiamata del cardinale Quarracino, arcivescovo di Buenos Aires, che gli chiede di diventare vescovo ausiliare e di occuparsi dei cura villeros. Seppure con diversi limiti, il racconto ha il merito di non aver ceduto rovinosamente alla fin troppo facile retorica. Non era del resto facile schivare i cliché celebrativi e della mitizzazione della sua figura, non raccontarne da turisti della storia il complesso contesto storico e sociale vissuto, e neppure comprendere le pieghe e i risvolti degli inferni e delle speranze attraversate che hanno portato alla maturazione una vocazione al servizio di Dio e del prossimo senza scivolare in agiografiche banalizzazioni. «Il mio modello – spiega il regista Luchetti – è stato The queen di Frears, ho cercato l’asciuttezza inglese». Asciutezza che si fa anche crudezza nelle scene che ricordano l’assassinio del vescovo Angelelli e le torture del regime di Videla, di un potere che manipola la fede per preservare una situazione di ingiustizia e di oppressione e dove la gran parte del film incentra l’agire di Bergoglio.  Intensa e veritiera appare la descrizione del suo rapporto sensibile e familiare con le figure femminili che hanno segnato quegli anni, in particolare Esther – ex insegnante che finisce vittima del regime – e la madre magistrato, che perde il posto per non piegarsi alle direttive dei militari. Efficace l’interpretazione di Rodrigo de la Serna, che con onestà ha dichiarato difficile il lavoro di avvicinamento alla figura fisica e interiore di Bergoglio. Chiamatemi Francesco sta per essere venduto in 40 Paesi, sia in versione cinematografica sia in versione televisiva, articolata in quattro episodi da 50 minuti. Martedì la proiezione in Vaticano per i senza tetto. Il Papa non ci sarà. Saranno i poveri a rappresentarlo nell’Aula Paolo VI.