Agorà

DIBATTITO. Quanto vale un’idea?

Leonardo Servadio giovedì 14 ottobre 2010
L’impressione è che in Italia si parli tanto di cultura, ma non si sia fatto ancora il punto su dove questa stia andando: così argomenta Marxiano Melotti, responsabile della segreteria scientifica della Fondazione per l’Istituto Italiano di Scienze Umane, nello spiegare le ragioni che hanno portato a convocare il convegno "Idee italiane" (Milano, domani e dopodomani, Auditorium Pirelli), rigorosamente riservato a una ristretta élite accademica. «Perché vi sono stati cambiamenti enormi - continua Melotti - alcuni evidenti, come quelli legati al consumo di massa della televisione e al suo uso politico, altri sotterranei, come quelli che riguardano  il sorgere di reti di interdisciplinarietà in campo scientifico; mentre si registra un certo scollamento tra mondo accademico e produzione culturale, che vorremmo cercare di superare, e un riavvicinamento tra i mondi della cultura laica e di quella cattolica, che vorremmo favorire». Così, all’insegna dell’interdisciplinarietà e del dialogo, al convegno intervengono, tra gli altri, lo storico Franco Cardini, lo scrittore Umberto Eco, il neuroscienziato Alberto Oliverio, il fisico e presidente del Cnr Luciano Maiani e il direttore dell’ "Osservatore Romano" Gian Maria Vian. E se la parte conclusiva del convegno è appannaggio di architetti e urbanisti (da Vittorio Gregotti e Franco Purini a Rafael Moneo e Joseph Rykwert), il focus dell’iniziativa ruota su un tema che a prima vista può apparire sconcertante: "Misurare la cultura" (curato dal sociologo Guido Martinotti e dall’economista Walter Santagata). Tanto sconcertante che è preventivamente insorto il matematico Giorgio Israel sul "Foglio" di ieri: «Le grandezze per cui non può darsi un’unità di misura riconosciuta universalmente, possono essere manipolate numericamente, ma non sono misurabili».Si può infatti dare un voto a un compito svolto a scuola, così come a una rapporto pubblicato da un ricercatore, o alla competenza di un operatore di un’azienda, ma non se ne potrà mai "pesare" la giustezza o l’efficacia in modo univoco. In tutti questi casi la valutazione, per quanto espressa in termini numerici, sarà sempre frutto di un giudizio soggettivo: ma, secondo Israel, proprio la soggettività disturba chi sogna che tutto sia «ridotto a valutazioni oggettive».Ma allora, che vuol dire misurare la cultura? «Il quadro -  risponde Guido Martinotti - mi sembra questo: sino a non molto tempo fa, un decennio o poco più, si riteneva che tra il mondo della cultura e il mondo del misurabile vi fosse un’assoluta incompatibilità; e proprio questo assunto, mescolato a una più generale ostilità verso la misurazione, si ripercuote nelle mancanze ravvisabili nel sistema educativo italiano. Ma occorre anche intendersi su che cosa si intenda per "misura", per non incorrere in luoghi comuni quali quello che vede opposti tra loro il "quantitativo" e il "qualitativo". La moderna statistica, distinguendo tra misure metriche e misure non metriche, ha fatto giustizia di questi stantii pregiudizi».Del resto, sostiene da parte sua Walter Santagata, la cultura «è un bene vario e ricco di accezioni, quindi oggetto di molteplici tipi di misurazione. Possiamo misurare la quantità di cultura prodotta, esportata o importata in un Paese; il valore aggiunto e il numero dei lavoratori impiegati nei settori culturali e creativi». Si può dar conto di una certa produzione di beni culturali (libri, riviste, film, spettacoli teatrali, opere d’arte), e d’altro canto si potrà misurare anche il loro consumo: per esempio, quanti libri sono venduti in un anno. Ma occorrerà anche tener conto di altri problemi: per esempio, ancora secondo Santagata, è noto che «gli italiani comprano molti libri, ma ne leggono pochi, mentre spesso la capacità "produttiva" di sale cinematografiche, teatri o auditorium non è completamente sfruttata». Sulla stessa linea, Martinotti riferisce che la frequentazione delle biblioteche è molto più diffusa nei Paesi del nord Europa o nel mondo anglosassone di quanto non lo sia qui da noi. E tutti questi sono tutti dati assoggettabili a una quantificazione degna di significato - per quanto si possa discutere sulla validità di ogni volume letto. Ma oggi ottenere un quadro statistico della produzione e del consumo culturale è uno strumento necessario per l’esercizio del governo: nel loro insieme, i beni originati dalla cultura sono una parte fondamentale dei beni prodotti e dei servizi offerti a livello nazionale. Una stima della commissione ministeriale che ha pubblicato il "Libro Bianco sulla creatività in Italia" colloca il peso delle industrie creative intorno al 9,3 per cento del Pil. Quindi anche in un campo etereo come quello culturale l’uso delle misurazioni si può rivelare utile. Per riferirsi a quanto scrisse sant’Agostino: noi non sappiamo che cosa sia il tempo, eppure lo misuriamo e su tale misura organizziamo la nostra attività. Forse il problema non sta tanto nel chiedersi che cosa possa o non possa essere misurato, quanto nell’usare con misura il concetto di misura...