Agorà

rivelazione. Quando la mafia tentò di pilotare il Festival

Gigio Rancilio giovedì 25 febbraio 2010
Chi vuole capire le magagne del Festival di Sanremo dovrebbe studiare l’edizione del 1978». Nei libri che raccontano la storia del Festival di Sanremo non c’è traccia né di questa frase né di questa storia. E nemmeno su internet. Eppure è una vera bomba.Tutto ha inizio il 2 settembre 1994 a Marostica, la sera prima della finale del Festivalbar. Sono quasi le 23 quando attorno al tavolo di un ristorante si siedono il patron Vittorio Salvetti, il suo autista, l’addetto stampa e un giovane cronista. Tutti mangiano con grande appetito, ma il motivo del loro incontro è un altro. Il cronista ha "sfidato" il patron, chiedendogli un’intervista sulle tangenti nel mondo della musica. Nelle mani non ha alcun taccuino, quindi sembra «disarmato». Ma sotto il tavolo ha un piccolo registratore accesso. Salvetti misura le parole. «Sì, ancora oggi (cioè due anni e passa dopo l’inizio di Tangentopoli - ndr) c’è gente che mi offre soldi per far passare un artista al Festivalbar, ma io rifiuto». Nomi? «Non sono mica pazzo». Ha mai avuto problemi? «Ricordo che quando la Rai mi affidò l’organizzazione del Festival della canzone napoletana, fui avvicinato da persone che mi dissero chiaramente che o facevo come volevano certi boss o avrei avuto dei guai. Presi l’aereo per Roma e rifiutai l’incarico». Le è mai capito niente del genere quando ha organizzato il Festival di Sanremo tra il 1973 e il 1978?La domanda del giovane cronista rimane per aria. Il patron tira un respiro di sollievo, si guarda in giro e poi attacca a voce più bassa. «Chi vuole capire le magagne del Festival di Sanremo dovrebbe strudiare l’edizione del 1978». Cosa accadde di così speciale? «Poco prima dell’inizio della gara mi ritrovai nell’hotel dove alloggiavo due signori. I quali mi spiegarono di appartenere alla famiglia Gambino-Genovese (allora tra le più potenti della mafia italo-americana) e che dovevo aiutare un loro artista in gara, altrimenti...». E lei cosa fece? «Presi tempo. A salvarmi fu la fortuna». Cioè? «Il loro protetto la prima sera cantò così male che mi fu facile, tornato in albergo, spiegare a questi signori che se l’avessi fatto vincere l’Italia si sarebbe rivoltata. E magari qualche giudice avrebbe messo il naso nella cosa». Sta dicendo che solo per una stecca la mafia non decise un vincitore del Festival Sanremo? «Te l’ho detto. Chi vuole capire le magagne del Festival di Sanremo dovrebbe studiare l’edizione del 1978». Tutte le altre edizioni, quindi, sono immacolate? A quest’ultima domanda Vittorio Salvetti non rispose mai. Ma dalla sua bocca partì una risata lunga e potente.Il 4 settembre 1994 a pagina 18 Avvenire pubblicò l’intervista al patron intitolandola: «Salvetti: Festivalbar a rischio tangenti». Lui si infuriò come una belva. Minacciò il giovane cronista. Ma quando seppe che aveva registrato tutto, lasciò perdere. Per due anni non si incontrarono. Poi, all’improvviso, Salvetti gli telefonò. «Ti ho perdonato perché hai avuto coraggio. Ti invito a pranzo». Fu un incontro bellissimo. Purtroppo, due anni dopo, il patron morì. E il cronista non ricambiò mai il pranzo.