Agorà

Anniversari. Quando il Pac scelse Rouault

Luigi Marsiglia martedì 22 aprile 2014
La mostra si svolge nel limpido e arioso Padiglione dell’arte contemporanea, il primo del genere sorto in Italia nel dopoguerra con precisa caratteristica di edilizia museotecnica, geniale creazione dell’architetto Ignazio Gardella», così si esprimeva non senza una punta di orgoglio Lino Montagna, all’epoca assessore all’educazione del comune di Milano, nella presentazione della personale di Georges Rouault con cui, il 22 aprile 1954, veniva inaugurato in via Palestro il Pac. Ed era vero: per la prima volta si realizzava un edificio studiato per le esposizioni estemporanee del XX secolo, quando di solito nel Bel Paese le collezioni erano perlopiù ospitate in palazzi storici, pieni di fascino, ma datati o non adatti alle moderne esigenze museali e a un numero crescente di visitatori. Non a caso la scelta, per dare vita a questo nuovo polo culturale, era caduta su Milano la quale, negli anni frenetici del "boom" economico, si apprestava a divenire sia il motore industriale che la capitale morale della Penisola.Il segnale della ripresa, dopo le terribili devastazioni della guerra, veniva dato anche dal luogo prescelto per la costruzione del Pac, ossia le scuderie di Villa Belgiojoso distrutte dal bombardamento del 1943, lo stesso che aveva colpito la Scala e il centro storico della città. Già nel ’47, le macerie annerite accanto a Villa Reale venivano simbolicamente individuate per ospitare il futuro spazio della Galleria d’arte moderna dedicato al contemporaneo. Il progetto di Ignazio Gardella, responsabile del ripristino del Museo d’arte antica del Castello Sforzesco, prevedeva sull’area trapezoidale delle ex scuderie un edificio a due piani dalla parte che guardava sul parco, mentre dal lato di via Palestro si presentava con un solo piano e una teoria di finestre cieche lungo la linea superiore: nasceva così il Pac. Il vero artefice teorico della nuova costruzione era il professor Costantino Baroni, direttore dei Musei milanesi, il quale appena terminato il conflitto aveva sollevato il problema di una struttura ad hoc dove esporre, a rotazione, le collezioni civiche del Novecento e dove allestire le mostre temporanee patrocinate dal comune. Il Provveditorato alle opere pubbliche della Lombardia stanziava, per il Pac, ventotto milioni di lire: una somma considerevole, che doterà però Milano di uno spazio all’avanguardia a livello europeo.L’inaugurazione del Padiglione si svolge non senza uno strascico di polemiche in larga parte pretestuose. Occorre, per comprenderne la portata, disegnare la situazione politica e culturale dell’Italia del dopoguerra. La divisione del mondo in blocchi (quello occidentale e quello sovietico) si ripercuote anche sulla società italiana, dove si fronteggiano soprattutto due partiti: il Pci e la Dc. Il Pac doveva essere ultimato entro il 1953, in tempo per ospitare la mostra di Picasso proveniente dalla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, organizzata da Guttuso, dal senatore del Pci Eugenio Reale e da Kahnweiler, mercante di Picasso. Ma l’edificio non è ancora completato e la personale del padre del Cubismo viene dirottata a Palazzo Reale e inaugurata il 20 settembre 1953. Il taglio del nastro al Pac avviene sette mesi dopo, con la mostra del «maggior pittore d’arte sacra del nostro secolo», ovvero Georges Rouault. I giornali, soprattutto gli organi dei partiti di sinistra ma non solo, intravedono in questa scelta una risposta culturale cattolica alla precedente presenza del comunista Picasso a Palazzo Reale.Il giorno della cerimonia d’apertura, Leonardo Borgese dalle pagine del Corriere della Sera, scrive: «Per conto nostro, temiamo che a proposito di Rouault i giudizi italiani saranno generalmente assai guardinghi e moderati… Della pittura il meno che si possa dire è che spesso appare assai rozza, tutta tenuta a forza di grossi neri e di impasti inariditi che dovrebbero però rammentare le antiche vetrate e i mosaici». E Guido Ballo, sull’Avanti: «Cento dipinti sono troppi: ci accorgiamo che questo maestro senza dubbio inquietante e spesso suggestivo, finisce col ripetersi. La sua fantasia appare poco varia: anche la tavolozza acquista, negli accordi, un meccanismo che diventa un mestiere accorto». Mentre Mario de Micheli tuona dalle colonne dell’Unità: «Il Comune di Milano, come antidoto alla mostra di Picasso, ha organizzato l’esposizione del pittore francese Georges Rouault nel nuovo Padiglione d’arte contemporanea di via Palestro: contro l’artista materialista il pittore spirituale, contro il creatore di Guernica, del Massacro in Corea, della Guerra e la Pace, l’autore del Miserere e delle immagini sacre. Che questo sia stato il segreto intento dei clericali milanesi è fuori dubbio: basta scorrere i fogli di propaganda che sono stati diffusi in occasione della mostra».Giudizi poco generosi, che non tengono conto della portata rivoluzione della pittura di Rouault, talmente unica, visionaria e aspra da scuotere le coscienze e lasciare perplessi anche molti cattolici. L’artista, che conduce uno stile di vita quasi ascetico e il cui esegeta critico è l’Abbé Morel, ha all’epoca ottantatré anni e si spegnerà a Parigi quattro anni dopo, nel 1958. La Biennale di Venezia del ’48 gli ha riservato un’intera sala e, oltre ovviamente ai detrattori estetici o per partito preso, conta molti estimatori che ne apprezzano la figura e l’arte.La prima mostra del Pac chiude i battenti l’11 luglio 1954; dopo due mesi e diciannove giorni, più di ventiduemila visitatori si sono recati in via Palestro: un successo che va oltre le aspettative degli organizzatori. Merito senz’altro di Rouault e della sua pittura d’impatto figurativo; e merito dell’edificio di Ignazio Gardella, che ancora oggi rappresenta una finestra tutta milanese sull’arte contemporanea.