Agorà

IN VIAGGIO TRA LE MOLECOLE. Quando il chimico è un buongustaio

Luigi Dell'Aglio martedì 24 maggio 2011
Il suo primo esperimen­to di chimica lo compie a sei anni, in seconda elementare. La maestra dà il tema da fare a casa: 'Il mio piatto preferito'. E lui lo svolge presentando la ri­cetta completa dell’uovo al burro. «Quella era chimica autentica – spiega oggi - – perché la gastronomia è u­na forma complessa della chimica organica». Nel suo compito scolastico il ragaz­zo indica gli ingredienti, i gradi di calore necessari per la cottura, i tempi di e­secuzione. E registra anche «l’apprezzamento analiti­co» del piatto finito. Che ha materialmente rifatto più volte, ma per portarlo alla perfezione. La maestra stenta a credergli; poi sco­pre che questo suo alunno cucina e mette in tavola ci­bi che vengono mangiati con grande gusto. Oggi il professor Attilio Del Re, già ordinario di Biochimica all’Università Cattolica di Piacenza, è lo scienziato conosciuto in Italia e all’estero per aver posto la chimica al servizio di una ga­stronomia 'democratica': cibi sani, appetito­si, di alto livello, nutrienti, leggeri nella dige­stione, ma facili da preparare e alla portata di tutte le famiglie. Nei Paesi poveri, anche se il cibo non manca più come un tempo, spesso l’alimentazione, sbilanciata, è ancora causa di malnutrizione. Alla cena di gala della 'So­cietà Italiana di Chimica Agraria' e del '14° International Symposium Pesticide Chemi-­stry', il professor Del Re e i suoi collaboratori approntano un menù di cibi «ottimati», e l’in­dice di gradimento è alto. Fra i numerosi o­spiti i docenti e i ricercatori di molte univer­sità italiane e straniere. Professor Del Re, lei è l’inventore dei cibi «ot­timati ». Di che cosa si tratta?«Chiamiamo ottimata (il neologismo è regi­strato) una ricetta vagliata con un nostro strumento informatico che la adatta a un i­deale nutrizionale. Scegliamo di solito ricette della cucina tradizionale, in particolare quel­la storica italiana. Ma il modello è lo stile ali­mentare mediterraneo, che, come dimostra­no venti anni di ricerche in tutto il mondo, è il più salutare. A Nairobi, il 16 novembre scorso, la cucina mediterranea è stata proclamata dall’Unesco Patrimonio Immateriale dell’Umanità». Considerato che la chimica porta con sé un’idea di sofisticato, di non naturale, lei ha messo in conto una certa istintiva resistenza da parte dei consumatori?«All’inizio abbiamo sbattuto la testa contro la diffidenza del pubblico. Perciò la parola «ottima­to» la usiamo soltanto nelle relazioni tecniche, mentre nei discorsi di tutti i giorni parliamo di optimo cybo. Le nostre ricette sono del tutto na­turali, frutto della migliore gastronomia popolare italiana, e inoltre non hanno nulla della cucina Attilio Del Re dietetica oppure ospedalie­ra. E poi è bene chiarire un concetto: la chimica è la trasformazione di molecole in altre molecole. Durante la cottura, il calore modifi­ca le molecole degli ingre­dienti e rende commestibili molti alimenti: chi vorreb­be mangiare una patata cruda? La scienza-arte del cucinare è una branca della chimica organica, che gli uomini praticano da quan­do cuociono le carni, forse da un milione di anni. Da più di due secoli la chimica è diventata la Chimica (cioè una scienza) e oggi sappiamo cucinare come prima, ma in più sappiamo quali molecole si formano (e da quali) quando cuocia­mo il risotto alla milanese». Insomma l’alta qualità ga­stronomica deriva anche dal rigore scientifico di o­gni ricetta?«Quando realizziamo le nostre ricette, sempre pro­vate una a una, le confron­tiamo con le ricette tradi­zionali da cui derivano. Gli assaggiatori non sanno in anticipo a quale tipologia appartiene ciò che mangia­no ma, di regola, alla fine premiano le ricette ottima­te più delle altre. Alla peg­gio, pronunziano un giudi­zio di parità». Le ragioni del successo?«Una, soprattutto: l’organi­smo umano è sensibile all’equilibrio tra proteine, grassi e carboidrati e preferisce gli ali­menti che li conten­gono nelle esatte proporzioni di cui ha bisogno». La conseguenza delle vostre intui­zioni è che i benefi­ci di una cucina ge­nuina, economica e non complicata di­ventano accessibili a tutti.«La nostra proposta ha un valore etico: grazie all’ottimazione, possiamo migliorare la qua­lità della vita di tutti, nei Paesi poveri (dove l’alimentazione è scarsa, ma soprattutto squi­librata) e nei Paesi ricchi (dove le malattie del benessere possono derivare dall’eccesso di cibo). In questo momento è in missione in Congo una nostra ricercatrice, Giovanna Bo­sto: sta raccogliendo informazioni su che co­sa e su quanto mangiano le popolazioni loca­li. La malnutrizione sembra dovuta soprattut­to a scelte alimentari errate. Una questione di cultura, insomma. Speriamo di riuscire a pro­porre, nei prossimi mesi, piatti equilibrati da realizzare con derrate locali, riconoscibili co­me alimenti congolesi, facili da cucinare ed economici».