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MUSICA E POTERE. «Quando i Berliner si vendettero a Hitler»

Pierachille Dolfini giovedì 4 agosto 2011
La foto in bianco e nero che vedete è datata 15 novembre 1933. Ritrae la vecchia Philharmonie di Berlino. Sul palco l’orchestra di casa, i Berliner philharmoniker, pronti per un concerto. Sin qui nulla di strano. Se non fosse  per la grande svastica che, incorniciata di fori, sovrasta l’orchestra. E per quell’oratore davanti al podio del direttore che altri non è che Joseph Goebbels, ministro per l’Educazione del popolo e la Propaganda di Adolf Hitler. Inaugura la Camera della cultura del Reich. E i Berliner sono la colonna sonora dell’evento. Di più: sono l’orchestra del Reich.A indagare il passato dell’orchestra tedesca, che molti avrebbero voluto dimenticare, è Misha Aster (storico canadese che vive a Berlino) in un volume, L’orchestra del Reich, che arriva in Italia pubblicato da Zecchini (pagine 339, euro 25). Un’inchiesta che «svela» il patto stretto dai Berliner con il potere. Tutto ha origine da problemi di soldi più che politici. Perché l’orchestra nata nel 1882, in quel 1933 che vide la nomina di Hitler a cancelliere del Reich non se la passa bene. Una gravissima crisi economica si trascina dagli anni Venti e ne minaccia la sopravvivenza: ha spese per un milione di marchi e i finanziamenti non bastano. I creditori bussano quotidianamente alla porta. Goebbels lo sa bene. Per questo gioca le sue carte. Nel libro, non ci sono giudizi. Solo fatti. Scovati in documenti degli archivi di Stato, tra le carte dei Berliner e nelle raccolte private dei musicisti. Per raccontare la storia di uno "sfruttamento reciproco". Quello del Reich che, come aveva intuito Goebbels, poteva usare i Berliner come uno strumento di propaganda nel mondo e di rafforzamento dell’identità nazionale, specie attraverso i concerti trasmessi alla radio, in patria. E quello dei Berliner che consegnandosi al potere potevano garantirsi la sopravvivenza.Certo, il prezzo da pagare è stato alto. In termini di autonomia, innanzitutto, perché gli orchestrali, «da sempre imprenditori di se stessi, diventavano dipendenti pubblici con l’esenzione dalla leva militare». Anche i vertici sono di nomina statale: unico privilegio che i Berliner mantennero era la scelta del direttore musicale. Inutile dire che il repertorio doveva parlare assolutamente tedesco. «Ma soprattutto l’orchestra era a disposizione del Reich, presenza fissa ai raduni di partito a Norimberga, ai compleanni del Führer, ai raduni della gioventù nazista». Oltre che prestigioso biglietto da visita da esibire all’estero o in occasione di grandi eventi come le Olimpiadi di Berlino del 1936. Un prezzo, che, però, non sembrava pesare ai musicisti, autonomi dal Nazionalsocialismo se è vero «che solo uno su cinque aveva la tessera di partito». Così come non l’aveva Wilhelm Furtwängler, direttore dei Berliner dal 1922 al 1945 (ricoprirà l’incarico anche dal 1952 al 1954, anno della sua morte, quando cederà il podio a Herbert von Karajan che, a differenza di Furtwängler, la tessera del partito nazista l’aveva presa). Figura non del tutto amata dai nazisti, ma utile al disegno di Goebbels in quanto privilegiava il repertorio tedesco mettendo sui leggii Beethoven, Bruckner, Brahms, Wagner e Strauss.Anche in questo caso, evidenzia, Aster, «ci fu un rapporto di reciproco sfruttamento: Furtwängler in cambio di prestigio, visibilità e eccellenti retribuzioni si prestava agli scopi politici del regime. Non prendendo però mai posizioni politiche. Tant’è vero che quando fu chiesta l’espulsione dall’orchestra di quattro musicisti ebrei il direttore si oppose adducendo motivazioni artistiche sulla qualità dei musicisti».I Berliner, ma soprattutto Furtwängler pagarono questi dodici anni a servizio del Reich. Il direttore, accusato dagli americani di aver sostenuto il regime e di aver fatto propaganda antisemita, subì un processo, ma venne dichiarato innocente. Non bastò perché dovette rinunciare al podio della Chicago symphony per il boicottaggio minacciato da prestigiosi sponsor e da musicisti ebrei.I Berliner sono sopravvissuti. Seppur lentamente, hanno ripreso a suonare nel mondo. Ma in molti, specie nel lungo periodo che sino al 1989 vide Karajan sul podio (dopo di lui venne Claudio Abbado, dal 2002 al timone c’è Simon Rattle), preferirono dimenticare la cosa.