Agorà

Cinema. Principesse tra sogno e business

Alessandro Zaccuri venerdì 6 dicembre 2013
Le principesse non sono soltanto un problema Disney. Posto che siano un problema, è chiaro. Parrebbe di sì, stando alle reazioni che Frozen il regno del ghiaccio sta suscitando in mezzo mondo. È il nuovo cartoon Disney, appunto, e mette in scena l’ennesima "principessa", secondo il piano di marketing lanciato ormai un decennio fa dalla multinazionale dell’intrattenimento che, non a caso, vanta in catalogo classici come Biancaneve e i sette nani (1937) o La bella addormentata nel bosco (1959). L’obiettivo dichiarato è il pubblico delle bambine, per quanto in Frozen – come già tre anni fa in Rapunzel – abbondino le gag e le scene d’azione fatte apposta per evitare che i ragazzini debbano vergognarsi della loro eventuale presenza in sala. Funziona? Funziona benissimo, come dimostrano i dati del primo week end americano del film: dei 93 milioni di dollari incassati, infatti, il 43% sono stati sborsati dai maschietti.Bene, si potrebbe dire, il rischio sessista è superato. Come se non bastasse, del resto, gli sceneggiatori hanno pensato di sfruttare un classico argomento femminista, quello della "sororanza", con la perfida (ma non troppo) Elsa redenta dall’amore della sorella Anna. Bene, obiettano le critiche più agguerrite, ma poi finisce sempre che si va a nozze con il principe.Ora, a parte il fatto che il legame tra sorelle è al centro di un altro dei film in uscita in questi giorni (Blue Jasmine di Woody Allen), non è che quello delle principesse sia un copyright esclusivo della Disney. A modo suo, anche la "ragazza di fuoco" Jennifer Lawrence, protagonista della serie Hunger Games, è una principessa guerriera, non troppo lontana dal modello telefilmico costituito dalla bellicosa Xena. Certo, c’è il dettaglio che Katniss – così si chiama il personaggio della saga fantapolitica nata dai libri di Suzanne Collins – è una "principessa del popolo", ma in fin dei conti, tra un ammazzamento e l’altro, anche lei "vuole la favola".Riconosciuta la citazione? Pretty Woman, anno 1990, Julia Roberts è la prostituta di buon cuore che non si accontenta del vantaggioso contratto stipulato con il milionario Richard Gere. Vorrebbe che un cavaliere arrivasse al galoppo per salvarla dal drago della vita di strada. Sarà un caso, ma già allora a produrre era la Disney, per il tramite della consociata Touchstone. Allora è un vizio, si dirà. Molto diffuso, nel caso, se si pensa che perfino la Carrie Bradshaw di Sex and the City – la "donna liberata" per eccellenza, impersonata da Sarah Jessica Parker – non vede l’ora di portare all’altare il suo Mr Big. Con tanto di vestito bianco, nonostante l’esorbitante giravolta di avventure sentimentali pregresse.Il dubbio, insomma, è che il reame delle principesse stia a metà strada fra le innegabile esigenze del mercato globale dell’intrattenimento e un modello femminile tutt’altro che minoritario nella gran parte delle società occidentali. Del resto, anche nel più libertario degli esperimenti Disney, la Ribelle targata Pixar, la combattiva adolescente Merida se la deve vedere con una regina madre che resta un’icona di charme fino in fondo, anche quando si decide a tirare con l’arco insieme con la figlia. Gratta gratta, il più femminista di tutti sembra proprio il vecchio Hans Christian Andersen: la sua La Regina delle Nevi (alla quale Frozen è molto lontanamente ispirato) è un raggelante ideale di autonomia perfetta. Se ne ricordò, tra gli altri, Clive Staples Lewis per la figura della Strega Bianca, interpretata da Tilda Swinton nella versione cinematografica delle Cronache di Narnia..