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Venezia. Il premio Bresson, Gianni Amelio e la sua passione per il cinema

Angela Calvini lunedì 4 settembre 2017

“Se mi vedesse mia madre. Era la mia più grande sostenitrice. Un giorno mi diede un grande schiaffo perché le avevo detto di voler vendere le mie riviste di cinema. Dovevo dare un esame e non avevo i soldi per sostenerlo. Mi disse che non mi dovevo permettere, perché non bisogna mai separarsi dalle cose che si amano. L’università, la laurea e il pezzo di carta sono sempre inferiori alla passione. E la mia era il cinema”.

Con queste parole il regista Gianni Amelio ha ricevuto commosso ieri il Premio Robert Bresson alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dalle mani di monsignor Giovanni D’Ercole, vescovo di Ascoli Piceno e Presidente della Commissione Episcopale per le Comunicazioni Sociali della Cei. Il prestigioso riconoscimento è stato assegnato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo, presieduta da don Davide Milani, e dalla “Rivista del Cinematografo”, con il patrocinio della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede e del Pontificio Consiglio della Cultura. Alla cerimonia, condotta dalla giornalista Tiziana Ferrario, hanno partecipato anche il Direttore della Mostra del Cinema Alberto Barbera e il Presidente della Biennale di Venezia Paolo Baratta.

“Truffaut diceva che il cinema di Bresson lo può fare solo Bresson. Ed è vero. Però tutti possiamo capirne la lezione ed essere suoi allievi: l’uomo deve essere il centro di ogni riflessione”, ha detto ancora Gianni Amelio che ha ricevuto il premio con la seguente motivazione: “Negli ultimi trentacinque anni, Gianni Amelio ha percorso e rivisitato i generi, si è sottratto al “pensiero unico” della commedia all’italiana nella sua fase declinante verso la farsa e si è misurato spesso con la matrice letteraria, da Sciascia a Ermanno Rea, da Camus a Pontiggia, ogni volta restituendone il senso in una chiave personale e non pedissequa. Nel corpus di Amelio i temi della famiglia (il conflitto padri/figli e le assenze/presenze intergenerazionali) e delle migrazioni, da “Lamerica” a “Così ridevano”, acquistano un primato scevro dalle ideologie e dalle contingenze della cronaca. Egli coglie un disagio carsico lungo il ’900 e oltre e rivela la potenza (ri)generatrice dell’esodo, di chi si mette in viaggio in cerca di una nuova Terra promessa, sotto il segno di una stella che forse non c’è più, ma brilla nella notte dei popoli”.