Agorà

LA PREDICHE DI SPOLETO/5. Perdone, vertice della fede

Giancarlo Maria Bregantini lunedì 8 luglio 2013
Carissimi/e,                   Vi parlo con trepidazione, sia per l’elevatezza del Festival dei Due Mondi che per la delicatezza del tema che mi è stato affidato. Un tema, del resto, sempre più attuale. Perdonare, preciso già da subito, che significa contribuire al sogno che Dio ha per ciascuno. Abbracciare questo disegno che ci vuole rinnovati nell’Alleanza con Lui. Tutti abbiamo da perdonare e tutti abbiamo da chiedere perdono. Poiché come dice san Paolo “Dio ha incluso tutti quanti nel numero dei peccatori per poter estendere a tutti quanti la sua misericordia” (Rm,11,32). Portiamo tutti la ferita della disobbedienza. Ma attraverso il perdono, capiremo, che è possibile guarire e liberarci dai lacci dell’offesa, di ciò che è contrario alla nostra dignità. E’ bella anche la coincidenza col clero; infatti, nella mia arcidiocesi di Campobasso-Bojano, abbiamo scelto le “opere di misericordia spirituale”, come itinerario per vivere il dono della FEDE. Grazie dell'invito cortese con una lode ai relatori.In queste sette "balze”, vi si sente il tocco più intimo del Vangelo e ne percepisco il segno prezioso per accostarci alla beatitudine della Misericordia. Quello stile delicato, amabile, chiaro che Gesù sempre usava con la sua gente, "nel consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti".Tutte preziose, intrecciate una nell'altra.Vera strada di perfezione spirituale ma anche di crescita sociale e sviluppo culturale. Parlano sia al mondo dei credenti in Cristo che a tutti gli uomini di buona volontà!Presento il mio intervento suddiviso in tre livelli: spirituale, culturale e sociale.Essi sono interconnessi in modo armonioso. A noi, anche con questi begli incontri, tocca svilupparne tutta la forza di una tradizione antichissima, sempre viva e attuale. Da riscoperta. E’, infatti, nel profumo di una gioia delicata e sottile che viene a galla nel cuore sentire che le "cose antiche”, rilette alla luce delle sfide presenti, altro non sono che “gioielli ripuliti e vigorosi” nella loro bellezza, che hanno fatto a loro volta belle le nostre nonne e ora che rendono ancora più luminose le nostre ragazze di oggi.E' il dono della SAPIENZA! Perché la Sapienza “trasferendosi nelle anime sante, forma gli amici di Dio e i profeti” (cfr.Sap.7,27)Tre questi doni effusi perché diventino impegni, ecco la quinta opera di misericordia spirituale: Perdonare le offese.E' l'unica che non guarda a persone. Ma si sofferma su una cosa: l'offesa. E' più vasta. Non ha confini. Non si limita ad una categoria. perchè copre ed investe il cuore di tutti noi. Giorno per giorno. Perché il perdono è di fatto decisivo e discriminate nella costruzione della società e della famiglia. Perché parte dal cuore e parla al cuore! "Cor ad cor loquitur", come amava dire San Francesco di Sales.Per questo, suddivido il mio dire in tre parti:- il cuore del perdono, che è scoprire il cuore di Dio;- i passi del perdono, che ci aiutano a vivere un itinerario;- le mani del perdono, che attualizzano l'arte del perdonare.La parola "perdono" infatti è sovrana nel Vangelo e nella vita di fede di chi sperimenta l'amore infinito di Dio. E’ una parola che scorre per il mondo. In modo spesso silenzioso. Ma sempre efficace. Dove c’è perdono c’è un fiore che sboccia. C’è il bene che vince sul male. Quando fiorisce il perdono, infatti, nella notte più buia, arde come fiaccola, una speranza che viene posta al timone della storia per condurre la nave della propria vita oltre le acque amare e tempestose dell’offesa, nel porto della pace. Esiste poi nel perdono una premura, ossia una sorte di “cura per l’altro” di una gratuità disarmante, che fa appello, non alla sfida dell’orgoglio, ma a quella debolezza che, come indica san Paolo, è la vera, necessaria forza per superare ogni forma di riverenza verso sentimenti refrattari e ostili. Siamo chiamati e, grazia alla figliolanza divina, anche dichiarati idonei alla grandezza del perdono per lottare contro la “desertificazione spirituale” che tende ad intaccare il senso di comunione. Il perdonare è allora l’apice per il credente. E’ l’azione umana che più di tutte corrisponde a quella divina. Prima parteIL CUORE DEL PERDONO(perché perdonare)Il progetto d'amore di Dio Padre, il suo cuore è ben evidenziato nel celebre prefazio nella seconda preghiera Eucaristica della riconciliazione, che così recita:“Riconosciamo il tuo amore di Padre quando pieghi la durezza dell’uomo e in un mondo lacerato da lotte e discordie, lo rendi disponibile alla riconciliazione. Con la forza dello Spirito, tu agisci nell’intimo dei cuori, perché i nemici si aprano al dialogo, gli avversari si stringano la mano e i popoli si incontrino nella concordia. Per tuo dono, o Padre, la ricerca sincera della pace estingue le contese, l’amore vince l’odio e la vendetta è disarmata dal perdono!”.Ma quanta strada ha fatto l'umanità in questo duro ed esigente ma così liberante cammino sulla strada del perdono! Ed in ogni passo, in ogni tappa, l’umanità è cresciuta. Si è liberata dalla tragedia della vendetta, della teorizzazione positiva della guerra (anche se ci resta nel cuore come tragica "follia!"), dalla pena di morte!Ed ora, proprio partendo dal perdono delle offese, abbiamo nuove impegnative mete da raggiungere, come la verifica e il miglioramento del sistema carcerario, la progressiva eliminazione dell'ergastolo, nuovi spazi di riconciliazione in famiglia, una modalità rispettosa della politica e del sindacato la forza della non-violenza .... la custodia del Creato! Tutti temi che, in breve, affronteremo al termine, come un mandato sociale di questa riflessione sulle opere di misericordia spirituale.Si ode ancora, in certi ambienti la violenta voce ed il grido impazzito di Lamech in Genesi 4,23-24: "Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura; un ragazzo per un livido. Sette volte sarà vendicato Caino ma Lamech settanta sette volte!". L'occhio per occhio è una conquista.L'umanità è partita da qui!Ma parte ancora  da qui, quando si distruggono paesi interi per una faida implacabile, come ho visto in certi paesi della Calabria. O quando si teorizza la guerra, il dominio di pochi su milioni di poveri, quando si subisce, una volta costretti, la corsa agli armamenti (compresi quella verso l'acquisto in tempo di crisi di un centinaio di aerei F-35 !)Ma la storia non si è fermata al grido di Lamech.Ha camminato, con tappe sempre più belle e luminose. Piene. Mature, che hanno trasformato il deserto in giardino. E proprio dalla Calabria, ho appreso per indicare così uno stile di cammino verso il perdono. Là dove più grande è il peccato, più grande ancora è la misericordia (cfr. Romani 5,20).La Bibbia ci rivela questo cuore. Cuore di Padre. Che in Cristo Gesù si     è fatto "carne", stile innovativo di cambiamento. In quel celebre "Occhio per occhio e dente per dente... ma IO VI DICO di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra. E a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringe a fare un miglio, tu fanne due con lui. Da a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle". (Mt. 5,38-42).Quel "…MA IO VI DICO...!" ha sempre inquietato il cuore dell'umanità tutta. Perché è il riflesso del cuore stesso del Padre!... tra le sbarre ...L'ho imparata in carcere la più grande lezione sul perdono. A contatto con gente di grosso spessore delinquenziale, nel carcere di Crotone, da giovanissimo prete, ho sentito durissimo l'impatto con il male, con le offese, con le ferite del lebbroso, con cui anche San Francesco si è scontrato. E come lui, anch'io, dopo i primi mesi di facile entusiasmo, volevo scappare e restituire a Mons. Giuseppe Agostino il mio mandato. Ho una venerazione per questo "mio" vescovo: mi ha ordinato diacono, prete e poi vescovo nella stessa cattedrale di Crotone e mi ha seguito con cuore grande lungo tutti i passi del mio servizio.Davanti al male, mi prese ben presto un senso vivo di ripugnanza. Simile a quello dl San Francesco davanti al fetore del lebbroso. Ma fu qui, proprio qui che il Signore mi ha illuminato, con un brano biblico evangelico che completa esattamente quello che sopra vi ho letto, in Matteo 5,43-48: “Siate simili, siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Perciò amate i vostri nemici!”Fu un memoriale. Improvvisamente mi si aprirono gli orizzonti. Perché non guardavo più la bravura o no dei figli di Dio, ma il cuore gratuito del Padre, che, gratuitamente, donava a me e a tutti il suo sole e la sua pioggia. Non c’era merito. Non c’era ricchezza per conquistare la bontà del padre. Ma ci era donata gratuitamente, oltre e senza i nostri meriti. Cadeva la logica, spesso così discriminante e distruttiva, del merito. Per essere sostituita dalla grazia. Cioè dalla logica del gratuito, che costruisce rapporti completamente opposti e liberanti.Il gratuito divenne così per me la base spirituale e teologica della riconciliazione. Perché è dentro quel sole e quella pioggia, donati gratuitamente, che mi sentivo amato. Quei segni quotidiani si fecero segno di un orizzonte vastissimo. Che non discriminava più nessuno in base al suo passato, ma misurava invece i cuori dall’amore ricevuto. Non da quello donato o corrisposto.Il sole mi parlava così di riconciliazione. Perché mi sentivo, io per primo, non più amato perché bravo. Ma ero spinto ad essere migliore per la forza di questo amore gratuito, donato ogni giorno, oltre i meriti.Diveniva possibile amare persino i nemici, non perché lo meritassero, ma per aver sempre più davanti ai nostri occhi il volto misericordioso del Padre: “siate simili al Padre vostro celeste, siate misericordioso come il Padre vostro celeste (Lc. 6,36).Perfetti come lui, nella misericordia. Per essere “perfetti” dentro relazioni liberanti.E con il sole e la pioggia, ecco la contemplazione della gratuità assoluta, nello stile di Cristo sulla Croce, come ci è narrato dai vangeli e plasticamente offerto dalla prima Lettera di Pietro (2,21-25): “Anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme. Egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca. Insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta. Ma si affidava a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue pieghe siete stati guariti!”.    Quel suo esempio di servo innocente, mite, solidale, efficace, fattosi medico per le nostre ferite, divenuto pastore e guardiano delle nostre anime...mi aiutò ad affrontare il male in tutta la sua virulenza, a non trarmi indietro, a non fuggire.Ma il sole e le braccia aperte del Cristo divennero sempre più la misura dell’amore riconciliato e riconciliante.… sul divano di casa …E c'è un altro episodio nella vita di Gesù che fonda e motiva questo cammino sulle strade della GRATUITA'.E' infatti questa la via che porta al perdono delle offese. La gratuità è l'atmosfera in cui può realmente maturare la forza del perdono. Non uno sterile volontarismo né un facile buonismo. Perdonare è eroico, difficilissimo.Vertice di un lungo cammino. Non si improvvisa, né mai si compie con superficialità. Ma è sempre generato dentro un ambiente di forte "ri-conoscenza".Come esprime Gesù, in quella accogliente ma rigida casa di Simone nel racconto di Luca 7,36-50.Una casa che si fa specchio del nostro quotidiano modo di giudicare cose e persone. Bella, accogliente, luminosa. Perfetta quella casa. Ma gelida. Perché quando entra una donna, una peccatrice molto nota, tutto è in imbarazzo disdicevole. Non doveva permettersi di interrompere un'atmosfera così soft. Da élite! “Ma come si permette!”Simone ragiona ancora come tutto l'antico Testamento.Come noi, che calcoliamo il quanto, il se, il perché!Gesù risponde con uno stile rivoluzionario. Una “paraboletta” che da sola spiega come sia possibile perdonare: “Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Ma non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?”.Qui il gioco è chiaro. Se ti senti in debito con Dio perché ti ha condonato 500, allora ragioni con queste larghe misure. Altrimenti, resti nella logica ristretta dei 50 denari. Il calcolo frena sempre il perdono. Lo impedisce. Con mille ragioni interiori, culturalmente valide: “non tocca a me, lei è più giovane ... che ho fatto di male ... ma si rende conto di quello che ha detto ...!”.Se invece scatta in te il “ricordo” dei 500 denari che gratuitamente ti sono stati dati e condonati, senza tuo merito, poiché non avevi nulla da restituire, allora il tuo cuore si apre al perdono. E guardi a quel sole che splende su tutti, a quella pioggia che irriga gratis il tuo campo. Scopri cioè la gratuità di Dio Padre. Anzi, Gesù rincara la dose in modo volutamente didattico. E ci inchioda nel nostro comodo perbenismo: “Vedi questa donna ... tu non mi hai dato l'acqua per i piedi ... tu non mi hai dato il bacio ... tu non mi hai dato il profumo! Lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime ... non ha cessato di baciarmi i piedi e mi ha cosparso il capo di profumo!”.Quella casa è la nostra società. La nostra casa, le nostre comunità cristiane. Tutto dipende da quel calcolo: se 500 o 50 denari!Una consapevolezza che scalza ogni nostra resistenza.Da qui, da questa casa, da quel divano puoi rileggere tutto il Vangelo e la nuova proposta di Gesù che ha il suo vertice sulla CROCE, dove Gesù tra le sue meravigliose sette Parole inserisce quella più decisiva: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. (Luca 23,34). Seconda parteI PASSI DEL PERDONO (come perdonare)Certo, non sempre è facile ricordarsi di questa “gratuità”.La riceviamo gratis. Ma ecco che ce ne dimentichiamo molto presto. Come quel servo, che “appena uscito” incontra un altro servo come lui! E che fa? Dimentica e si fa subito vendicativo. Per pochi euro. Nulla a confronto con l’immenso debito che gli era stato, gratuitamente, condonato.Dimentica. (cfr. Matteo 18,15-35)..Non è un peccato. Ma è, di fatto, la fonte di tutti i peccati!Tutto sta nel saper "custodire il nostro cuore". Ecco come scrive Frate Francesco ai suoi frati: La pace che annunziate con la bocca, abbiatela ancor più copiosa nei vostri cuori. Non provocate nessuno all’ira o allo scandalo, ma tutti siano attirati alla pace, alla bontà, alla concordia dalla vostra mitezza. Questa è la nostra vocazione: curare le ferite, fasciare le fratture e richiamare gli smarriti. Molti infatti, che ci sembrano membra del diavolo, un giorno saranno discepoli di Cristo!” (Leggenda dei tre compagni. FF 1469).Cioè un cuore citato più di novecento volte nella Bibbia, luogo dei sentimenti e sede delle grandi scelte della vita. Spazio di ideali alti ma anche campo di zizzania pericolosissima.Dipende da come lo educhiamo, da come lo viviamo e  lo sappiamo gestire.Quando escono le Intenzioni cattive, le relazioni si guastano. I ponti si spezzano, la zizzania guasta il buon grano.E’ uno scivolare progressivo verso questo baratro, per la forza del peccato che distrugge strade e case con la violenza del terremoto, portatore di morte e di paura. Spesso questo scivolare è progressivo. Sottile, quasi inavvertito.Ecco alcuni gradini, che mi sono studiato, frutto di lunga esperienza con la gente, specie nei dialoghi, nelle udienze e nelle confessioni con i fedeli.1.    si inizia con una selezione accurata degli amici, alcuni ben scelti alcuni ed altri accuratamente scartati. Con un cuore che li evita, dentro e fuori. Perché ci siamo fatti un’immagine esagerata di noi stessi, come annotava san Paolo: Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi (Romani 12,3).2.    La selezione accurata degli amici porta spesso al saluto negato. E’ un gesto tristissimo, che anche nei nostri ambienti clericali diviene cuore chiuso, porta sbattuta in faccia, tempo negato, ostilità. Dietro c’è quasi sempre un’idea comoda di un Dio che mi premia. La concezione meritocratica della vita provoca disastri terribili. Ci siamo creati un Dio che seleziona, premia i migliori,  scarta i poveracci! Tutto l’opposto della gratuità del Padre che dona la pioggia e il sole oltre i nostri meriti, sui buoni e sui cattivi!3.    Da qui, da questo cuore chiuso è facile che sgorghino l’invidia e la gelosia, che sono le vere male piante del male, che infettano le nostre comunità. Spesso proprio operando là dove c’è il bene, dove c’è l’azione di Dio. Ma non la si vede, la si nega, si è contenti del fallimento altrui, si critica e si caccia pericolosamente chi da fastidio oppure crea pericolose concorrenze.4.    Si passa poi, sempre precipitando spesso senza avvedersi del pericolo, al precipizio della calunnia e delle lettere anonime, del dispetto aperto e delle intimidazioni. Giochi terribili, che chiudono il cuore e lo stringono, impedendogli di aprirlo all’altro. Chiusure che sono l’opposto della riconciliazione. L’odio è coltivato.5.    Infine, l’altro è eliminato. In certi ambienti, in modo fisico, per opera della mafia. In altri, con un’operazione più sottile, ma che è ugualmente terribile, perché elimina moralmente. Si pensi alle faide, agli incendi provocati, alla distruzione del buon nome, alla durezza di rapporti economici che giungono fino alla guerra aperta.E’ terribile leggere quello che scrive san Francesco da Paola, nelle sue lettere, lui che ben conosceva certe dinamiche della nostra gente: “il ricordo della malvagità (subita) è infatti ingiuria, colmo di follia, custodia del peccato, odio della giustizia, freccia rugginosa, veleno dell’anima, dispersione della virtù, tarlo della mente, confusione dell’orazione, lacerazione delle preghiere fatte a Dio, abbandono della carità, chiodo infisso nelle nostre anime, peccato che non viene mai meno e morte quotidiana!” (Liturgia delle ore, II, p. 1539).Sono quattordici puntualizzazioni, che vanno una ad una ben considerate, perché sono il grande freno alla pratica della riconciliazione.Con un cuore così, che conserva nella sua storia il ricordo delle offese subite e dei mali avuti con la stessa pericolosità con cui si trattiene nel corpo una freccia rugginosa, che crea subito il tetano...allora non c’è più speranza di riconciliazione.Ecco perché ho visto in terra di Calabria paesi distrutti dalle faide. Giovani uccisi al ritorno del funerale appena celebrato di altri giovani portati al cimitero. Ragazzi distrutti fin nelle lontane Americhe, per lo stesso spietato desiderio di vendetta. Ed anche certi funerali, dentro la logica delle faide, li ho presenti come i momenti più tristi della mia vita di prete e di vescovo. Musi duri, impietriti, con vuote parole di speranza e di perdono!Anzi, se posso dire una nota particolare, forse tagliente, aggiungo che questo sentimento della vendetta regna soprattutto nel cuore delle donne e  delle mamme. “Mentre la mafia è questione di uomini, le faide - annotavo - sono gestite dalle donne!”.Dire questo, non è un giudizio. Ma un’analisi, che richiede a noi di ritrovare spazi per una cultura alternativa di riconciliazione all’odio. Proprio tramite le donne, le suore, le mamme!E allora, che fare? E’ impossibile aprire il cuore’ E’ impossibile la riconciliazione? E’ un’utopia il perdono? Si potrà ancora recitare il Padre nostro? NO!Anzi, proprio da certe situazioni di morte e di uccisione, ho imparato la strada irta ma liberante del perdono.E sono proprio certe famiglie della Calabria colpite seriamente nel tessuto delle loro relazioni materne o fraterne che mi hanno insegnato a percorrere questo itinerario, che vi offro con delicatezza e sommo rispetto del vostro cammino.Lo suddivido in cinque tappe, come cinque sono i gradini che ci portano alla morte.1) Le  ferite vanno subito ripulite dalla sporcizia, altrimenti fanno cancrena. Così le ferite della vita, vanno subito contestualizzate, con l’uso della ragione. Oltre l’emotività stretta di quel momento, di offesa o di dolore o di sconcerto. Ci dobbiamo cioè liberare dalla paura del passato. Perché è la gestione del passato che ci crea grossi problemi. Il passato, infatti, può essere una zavorra che ci fa precipitare oppure una tavolozza di colori vivissimi che compongono l’arazzo del presente. Tutto sta nel saper gestire la nostalgia, sentimento sottilissimo ma pericoloso. La nostalgia, infatti, ha radici profonde nel tuo passato, ma produce frutti acerbi per il tuo presente. Come vincere la nostalgia? Di certo, non tagliando i legami con il tuo passato, con la parrocchia o diocesi precedente. Il passato non si può mai cancellare. Ma va gestito bene con intelligenza ed acutezza. E l’unico modo è trasformare la nostalgia in benedizione. Perché entrambe, nostalgia e benedizione, hanno le radici ben salde nel passato. Ma mentre la nostalgia produce frutti acerbi, la benedizione porta frutti dolcissimi. E il presente è rivitalizzato dal passato, che si fa risorsa e appunto tavolozza di luce e di colori.2) La preghiera. Non è sempre facile compiere questo passaggio. Ecco perché san Paolo, scrivendo ai Filippesi (cfr 1,3-11) crea un simpatico quadrilatero: ricordo, ringrazio, prego e amo. Sono i quattro verbi che racchiudono questo processò interiore spirituale e culturale della purificazione della memoria, tanto richiesta dal Papa Giovanni Paolo II, nella sua celebre liturgia di inizio quaresima, nell’Anno santo, quando con coraggio immenso, tra tanti dubbi e diffidenze, osò chiedere perdono dei mali della chiesa nostra compiuti lungo i secoli. La preghiera resta in questo contesto la grande arma del perdono. Senza preghiera, senza il cuore rivolto alla croce di Gesù, a quelle parole di grazia dettate dal cuore trafitto d’amore di Gesù...non è possibile pensare al perdono e alla riconciliazione. Qui si colloca la grande passione positiva dell’intercessione.  Basti rileggere certe pagine di Bonhoeffer, per sentir vibrare questo dono immenso, passo concretissimo che porta alla riconciliazione, pratica che diviene poi quotidianità nel tessuto relazionale delle nostre parrocchie e comunità. Intuizioni bellissime, che si raccolgono nel famoso detto che Bonhoeffer sintetizza così: O una comunità cristiana vive dell’intercessione o perisce! Non posso giudicare o odiare un fratello per il quale prego, per quanta difficoltà io possa avere ad accettare il suo modo di essere o di agire! Il suo volto, che forse mi era estraneo o mi riusciva insopportabile, nell’intercessione si trasforma nel volto del fratello per il quale Cristo è morto, nel volto del peccatore perdonato..E conclude con questo monito, attualissimo: Non esiste antipatia, non esiste tensione e dissidio personale che, da parte nostra, non possa essere superato dall’intercessione..bagno di purificazione, cui il singolo e il gruppo devono sottoporsi ogni giorno!(cfr La vita comune, Brescia 1969, pp. 130-133).Ma ancora prima, nel tessuto meraviglioso dei Padri della Chiesa, si innesta una bella espressione di Aristide, che nella sua apologia scrive che  Non vi è nessun dubbio: è a causa della intercessione dei cristiani che il mondo sussiste! (Apologia, XVI,1). E’ lo stile di Abramo, che fa suo il peccato di Sodoma e strappa a Dio la riconciliazione. 3) Il terzo gradino è rappresentato da una buona confessione, ai piedi di Gesù. Cioè da un prete che ti sa accogliere, amare, aprire il cuore al volto di misericordia di Cristo Gesù. Che fa come il Padre del figliol prodigo. Che gioisce per te che ritorni, più che per tutti gli altri figli. In una gioia condivisa dalle amiche di casa, per la dracma ritrovata! E’ proprio nel dono diretto della confessione che entra in gioco l’antidoto all’invidia e alla gelosia.Si chiama con una parola meravigliosa: emulazione.Cioè il rincorrersi nel bene, con mete sempre più alte, dove vedi il progresso dell’altro e non ne resti segnato in negativo. Il dono sacramentale si fa allora capacità di sanare il cuore e purificarlo. Con la emulazione, viviamo nel cuore nostro quello che diceva san Gregorio Nazianzeno, a proposito della sua amicizia serena con il grande Basilio. Entrambi studenti all’università di Atene, annotava che “ci guidava la stessa ansia di sapere, cosa tra tutte eccitatrice di invidia; eppure tra noi nessuna invidia, si apprezzava invece l’emulazione. Questa era la nostra gara: non chi fosse il primo, ma chi permettesse all’altro di esserlo”! (Liturgia delle Ore, I, p. 1144).4) Ma non basta nemmeno un buon prete sulla strada irta del perdono. Perché il cuore nostro non trova pace, se ferito mortalmente. Occorre allora, accanto alla confessione e ad un sacerdote bravo, una comunità accogliente, capace, aperta, che stima e sostiene. Una comunità carica del dono che realmente risana queste nostre tristi ferite del male e dell’odio. Cioè capace di esortazione.Così si inanellano provvidenzialmente queste tre caratteristiche: l’intercessione, la emulazione e la esortazione.Qui il modello è Barnaba (figlio dell’esortazione!), colui che diviene autorevole testimone di libertà dal peso delle proprietà, poste davanti agli apostoli con grande generosità e poi si fa apostolo di riconciliazione con Saulo, proteggendolo e richiamandolo nel cerchio dei discepoli ad Antiochia. Diviene  mediatore. Sa dire le parole giuste al momento giusto. Sa riammettere i feriti nel cerchio della comunità. Sana realmente le ferite.E’ Barnaba il grande modello di un cammino di riconciliazione nelle nostre concrete realtà comunitarie.Lui vede il bene che c’è ad Antiochia, (dove è autorevolmente inviato) e se ne rallegra. Lo evidenzia, lo magnifica. Opera un’azione preziosissima di stima. E quella comunità è accolta tra le comunità ed il bene confermato. Pone le fondamenta della fedeltà, parola chiave per l’anno sacerdotale di qualche anno fa.Pensate se fosse sua la lettera agli Ebrei? Che bello, perché è una grande omelia, che mille volte adopera il termine “esortazione”.E quando un prete sa esortare, compie il frutto più grande nel cammino della riconciliazione.5) Ed ecco, il vertice di questo cammino, fatto di mente che risana, di preghiera che eleva il cuore, di confessione che lo purifica e di esortazione che lo rilancia.Che succede? Succede che con chi ha compiuto questo meraviglioso cammino di grazia è ora in grado di essere un ministro di consolazione.Che vuol dire?Chi nel suo cuore è stato capace di perdonare, lui sì che lo può insegnare ad altri. Pensate ad una mamma che ha perdonato nel  cuore, pur tra mille lacrime, colui che le ha ucciso il figlio. Nessuno meglio di quella mamma sa essere strumento di consolazione. Anzi, uso il termine ministro, volutamente.Certo, il prete nel sacramento, si fa lui solo ministro di perdono sacramentale.Ma anche quella mamma sa essere più di ogni altra “ministro di consolazione”.Questo è dunque il cammino, l’itinerario del perdono.Parola grande che poi, nel quotidiano, si coniuga in una prassi pastorale che ci coinvolge tutti in un cammino di perdono. Per divenire: purificazione della memoria, intercessione, emulazione, esortazione, consolazione.La pregnanza di questa parola ci permette di dire che ognuna di esse è come un antidoto al veleno dell’odio e della vendetta.Quell’opera tramite la meritocrazia, la diffidenza, la gelosia, la calunnia e la morte.Questa, la riconciliazione, diviene profumo di grazia, nelle cinque parole alternative: memoria purificata, intercessione fraterna, confessione ed emulazione al bene, esortazione accompagnatrice, consolazione risanatrice. Terza parteLE MANI DEL PERDONO (verso chi)La valenza sociale del perdonare le offese è immensa.Dove infatti c'è perdono, ivi c’è giardino, crescita, profumo di benedizione. All'opposto, dove non c’è perdono, avanza il deserto e tutto si chiude, si blocca.E come il perdono è il gesto che più ci rende vicini a Dio Padre, cosi il perdono è il segno più vero della nostra dignità di uomini.Nel perdono, mirabilmente, si intrecciano cosi cielo e terra, Dio e Uomo, umiltà e grandezza.Presento qui ora, per cenni, una serie di prassi di riconciliazione.1.    In una COMUNITA', la prassi della riconciliazione va ben preparata ed incarnata, in gesti di dolcezza reciproca. La revisione di vita e la conseguente correzione fraterna costituiscono uno stile di forte aiuto nel perdono. Senza, è facile sparlare e conservare il cuore chiuso.Con la correzione fraterna, si vive lealmente una nuova atmosfera di riconciliazione. E’ fatta di due momenti: incoraggiare il fratello per i tanti doni che lui possiede. Ma poi saper anche richiamarlo, benevolmente, con voce amabile, sui difetti e limiti evidenti.Paradiso ed inferno: come li chiama Chiara Lubich!Sedersi di frequente, ascoltare con calma le ragioni del fratello o della sorella, incontrarsi pur nella durezza del momento ... tutto questo favorisce grandemente la gioia del perdono. Con un monito: non devo incontrare il fratello per aver ragione o per “cantargliene quattro...!”. NO! Allora, il fossato si trasformerà in voragine. Sempre più grande l'incendio della divisione crescerà.Perdonare le offese allora diventa stile di fiducia. Preceduto da quel gesto della preghiera di intercessione di cui si è parlato sopra.Gesù è molto chiaro: “Se un tuo fratello commette una colpa, va e ammoniscilo tra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni; se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea. E se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pubblicano e un pagano” (Mt.18, 15-17). Le tre fasi completano quell'itinerario che sopra abbiamo tracciato.2. - Ed un discorso analogo lo possiamo fare per la FAMIGLIA. Il “sedersi”, con calma, con tempo adeguato, con un cuore di fiducia, permette di sciogliere in anticipo molte “offese”. E se parole ci sono state, spesso per paura inconscia, anche allora, anzi proprio allora è fecondo guardarsi negli occhi. Con fiducia. Senza “mordersi” del tutto.3.- Ma lo spazio sociale in cui la forza del perdono si rivela “rivoluzionaria” è di certo il mondo del carcere.Ne parlo con riconoscenza. Poiché mi ha plasmato quella dura esperienza. Dandomi un modo nuovo di vedere la vita. Non dalla parte di chi ha solo 50 monete da farsi condonare, ma ben 500. E ne conserva intatta riconoscenza, che si fa amore. Maggiore di ogni altro. Perché più segnato dalla gratuità.La nostra riflessione suggerisce queste indicazioni. Precise e concrete:a) Il carcere va visitato di più. E' un luogo educativo terribile ma eloquente. Creando un ponte tra carcere e società. Cosi quest'opera di misericordia si lega a quella del “visitare i carcerati”. Sullo stile di Matteo 25.b) Vi sia un crescente impegno da parte di tutti per creare occasioni di lavoro esterno. Come la utilizzazione saggia e metodica delle pene alternative. Qui si vede la forza di una società che non crea il carcere per vendicarsi, ma per correggere!c) Infine, perdonare le offese significa chiedersi, come società, se abbia ancora senso l'ergastolo! E come la società ha maturato la coscienza positiva dell’eliminazione della pena di morte, così crescerà, se nelle carceri, in matricola, non si leggerà più sui cartellini: “Fine pena: MAI !”. Mai più questa scritta. Proprio per la forza del perdono delle offese ricevute.4.- A livello culturale e scolastico, il perdono delle offese comporta una diversa riflessione sulla realtà della guerra. Già don Milani ci ha aiutato a rileggere la storia dalla parte dei “vinti”. E non dei vincitori, che ci fanno guardare con occhi di potere ogni scelta. Ed è prezioso nella scuola chi ci aiuta a perdonare le offese.Si provi, ad esempio, l'anno prossimo, nel ricordo della guerra tremenda del 1914-18 a non dire più la “grande guerra!”. Proviamo invece a chiamarla “la inutile strage!”, come fece nel 1917 quel sant'uomo che tanto soffrì nel suo cuore che è stato papa Benedetto XV! Tutto cambia se la si legge così, con prospettive diverse!5.-  Il perdono delle offese in dimensione politica e sindacale assume una forte valenza positiva. Si tratta di utilizzare un saggio consiglio che viene espresso nella “Laborem Exercens” di papa Giovanni Paolo II: non lottare “contro”, ma sempre lottare “pro”! (cfr.n.17).Questo stile di fiducia, di dialogo, d’incontro, di stima tra maggioranza e minoranza all'interno dei consigli comunali, il parlar bene, il tendere tutti uniti al costruzione del Bene Comune ... tutto questo è applicazione sociale all'opera di misericordia del perdono.6.- Culturalmente, il perdono porta ben presto ad uno stile di vita basato sulla NON-VIOLENZA. Una prassi decisiva per l'umanità. Come non ricordare un'amara riflessione di don Milani: “Mentre in Europa s’inneggiava per Hitler, in India milioni di poveri seguivano Gandhi!” Contemporanei erano. Ma che differenza. L’India insegna, poiché ha imparato da chi il Vangelo, specie il perdono, l’ha letto con ammirazione!7.- Infine, c’è una nuova dimensione del perdono sulla strada della Riconciliazione. E' la custodia del creato!Quanto ci insegna questo Papa Francesco, nella parola “custodia”. E' una nuova inattesa, meravigliosa applicazione del perdono. Spesso questo Creato lo abbiamo violato, sporcato, inquinato! Ora tocca a noi “sanare le ferite da noi create”. Perdonare e farci perdonare le offese create alla Terra, alla Natura. Cioè all'opera di Dio.Si pensi alla sofferta vicenda dell'eternit, che coinvolge un po’ tutti, ma soprattutto città dove veniva prodotto. La recente condanna di alcuni imprenditori ci chiede di apprenderne la lezione. Le notizie sulla pericolosità dei prodotti vanno diffuse in tempi utili, anche se tali notizie mettono in crisi spesso i profitti, poiché la persona vale più del denaro!Le ferite inferte vanno sanate! Il perdono chiede una riparazione. A tutti i livelli!ConclusioneUna riflessione lunga ma coinvolgente. Commovente in certi passaggi. Perché ci sono lacrime grandi e amare nel nostro cammino di umanità.L'obiettivo, infatti, è quello di “ammassare carboni ardenti sul capo del tuo nemico”, come ci esorta San Paolo nella lettera ai Romani, al termine del capitolo 12. Perdonare le offese non è un’azione passiva, ma uno stile attivo. Deve tendere al cambiamento di chi ha offeso! E lo si deve fare con le parole che sempre Paolo ci dice: “Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere; comportati così e lo farai arrossire di vergogna!” (Rm.12, 20).Mai allora rifiutarci al perdono. Il perdono va concesso e accolto! Sempre! Il Perdono non è un comportamento né va limitato ad un atto occasionale. Il perdono vero è un cammino!E’ il cammino dei figli di Dio, di ogni creatura assetata di pace.Perdonare è rispondere a Dio nel modo più alto e puro che abbiamo a disposizione.Diffondiamo il dono del perdono fino e oltre i confini della terra perché ci ricorda la mistica Hadewijch D’Anversa che “L’anima è una via per il passaggio di Dio nella libertà delle sue profondità; e Dio è la via per il passaggio dell’anima nella sua libertà”. Questa libertà è il perdono. Buon cammino a tutti