Agorà

INTERVISTA. Sacchi: povero calcio che non fa squadra

Massimiliano Castellani venerdì 9 ottobre 2009
Se esistesse un “Ministero per lo sport di squadra” la nomina a ministro spetterebbe all’Arrigo Sacchi da Fusignano. Il Coni non per niente l’ha appena chiamato a far parte di un’apposita commissione per gli sport di squadra che ora vanta una «triade», composta dai preparatori atletici Elio Locatelli e Antonio La Torre. «Andremo in giro per le federazioni a verificare le singole problematiche e ad ascoltare i pareri dei giovani allenatori», spiega Sacchi che ci tiene a fare «i commplimenti per la vittoria degli Europei alle ragazze della pallavolo».L’oro della squadra di Barbolini non cancella però la crisi generale. Come mai l’Italia zoppica nelle discipline di squadra?«Perché questo è un Paese alla ricerca della propria identità che pensa solo individualmente e non ha ancora imparato a muoversi in maniera collettiva, come deve fare una squadra vincente. Per superare la crisi, dobbiamo smetterla di considerare la furbizia una virtù e l’arrangiarsi un’arte: il perfezionismo deve battere il nostro pressappochismo radicato».Nel calcio siamo campioni del mondo, eppure questo “perfezionismo” non si vede.«Una delle tante contraddizioni italiane ci dice che storicamente il meglio lo tiriamo fuori quando siamo “sotto scandalo”. È stato così nell’82 e la storia si è ripetuta ai Mondiali del 2006. Ci esprimiamo ai massimi livelli se c’è da spazzare via la vergogna, l’invidia e la ripicca internazionale... Ma non si può mica sempre vivere nello “Stato di massima allerta” per mantenere uno sport in salute...».Tastando il polso attuale del calcio azzurro come sta?«La Nazionale è lo specchio di quello che esprime il campionato, quindi una realtà in cui dominano gli isterismi, la violenza, i debiti delle società, gli stadi fatiscenti. E allora penso che dobbiamo dire già grazie a Lippi per quello che di buono riesce a tirare fuori da uno scenario simile».Lei sta con Lippi anche per il “caso” Cassano?«Questa aspirazione popolare di vedere Cassano convocato è negativa per il giocatore, per il ct e soprattutto per la squadra. Per ascoltare l’onda emotiva del popolo, al Milan quando impazzava la “Gullitmania”, commisi uno dei miei errori più gravi...».Fece giocare Gullit su pressione di Silvio Berlusconi?«Mai avute simili pressioni da parte di Berlusconi, al quale peraltro neanche piaceva Gullit... Nonostante non avesse disputato un minuto dall’inizio della stagione e il Milan aveva vinto tutto ed era in finale di Coppa Campioni e in piena lotta per lo scudetto, a Verona feci giocare Gullit e perdemmo partita e campionato. Però per il popolo Gullit doveva giocare... Questo per dire che l’ignoranza diffusa è quella di concepire il calcio come uno sport individuale, mentre le fortune di quel Milan a volte potevano farle anche i Colombo e i Mannari, dei coristi discutibili, ma calati all’interno di una grande orchestra».Quindi i solisti Cassano, Gullit, Van Basten spesso danno più guai che gioie alle orchestre?«Lippi non discute sul talento di Cassano, ma ragiona giustamente sulla necessità di avere dei “giocatori totali” in ogni ruolo, che siano disposti a seguire le sue regole e una certa cultura del lavoro. Van Basten recentemente mi ha detto: “Da quando alleno capisco quanti problemi le ho dato...”. E io gli ho risposto: mai quanti i problemi che mi hai risolto».Il suo Cassano a Usa ’94 però non era forse Robero Baggio?«Può darsi, ma a Roberto parlai chiaro e gli chiesi: quanti palloni tocchi in media ogni partita con la tua squadra? Lui mi rispose un tot e io allora gli dissi: con noi ne toccherai 3-4 in più, a patto che ti metta al servizio della squadra e questo porterà dei vantaggi non solo a te, ma a tutto il gruppo. Abbiamo perso il Mondiale per quel rigore...».Quello fu un duro colpo al sacchismo che però ha rivoluzionato il calcio con il “Milan degli immportali”.«World Soccer, la bibbia del calcio, ha scritto che quel mio Milan dell’88-’89 è il primo club di sempre, la quarta squadra della storia dietro a tre nazionali: Brasile ’70, Ungheria ’53 e Olanda ’74. Ma il complimenti più belli li ho ricevuti al Parma. Un Giorno la Gazzetta di Parma titolò: “Ora il Teatro Regio si è trasferito al Tardini”. E poi quando i tifosi ci accolsero dopo la sconfitta di Cremona: avevamo perso il campionato di B, ma loro avevano apprezzato il nostro bel calcio. Un miracolo nel Paese in cui conti solo se arrivi primo».Quella era la regola del Milan di Berlusconi.«Non nego che quando sono arrivato al Milan Berlusconi pensava a una squadra di “11 ballerine”, poi però ha capito il mio progetto, l’ha rispettato e sostenuto con l’entusiasmo e il carisma che a mio parere lo rendono un fuoriclase».Il fatto che adesso si sia allontanato è una delle cause della crisi del Milan?«Io ho conosciuto il Berlusconi che mi diceva: “Dopo la mia famiglia viene il Milan, quindi Sacchi mi chiami quando vuole...”. Ci sentivamo telefonicamente due volte al giorno per scambiarci sempre delle opinioni preziose. Se Berlusconi lasciasse il Milan sarebbe un danno per tutto il calcio. Per capire la crisi del Milan attuale bisogna rifarsi alla storia del club e alle sue tre fasi cruciali».E quali sarebbero?«La prima in cui Berlusconi privilegiava il gioco e la squadra: quindi investimenti mirati, ma contenuti e con ritorni importanti come la vittoria delle due Coppe Campioni dell’89 e del ’90. La seconda fase fu quella dei giocatori di richiamo e quella gli è costata molto in termini economici, ma i risultati sono comunque continuati ad arrivare. La terza è quella odierna, in cui il club che più di ogni altro in Italia ha saputo guardare al futuro, non riesce più a rinnovarsi».Povero chi sta in panchina?«Leonardo si trova a lavorare in un contesto di depressione e con una squadra ancora vecchia. La mia all’inizio aveva un’età media di 25 anni, e 3 stranieri su una rosa di 22 giocatori. Oggi il Milan ha una media di 32enni e insiste a puntare su giocatori di nome in piena fase discendente». Vista da qui sembra la fine...«E invece no perché il Milan ha già avuto in passato dei momenti neri come questo ed è riuscita a venirne fuori con la capacità unica che hanno loro di valorizzare le risorse umane e le competenze a disposizione».Intanto chi vince e fa la storia del calcio italiano, ieri era Sacchi e oggi Mourinho. Due allenatori che non sono stati calciatori.«Una volta alla Bocconi gli studenti mi chiesero: “Ma come fa uno che non ha giocato a calcio ad insegnarlo a dei campioni?”. E io secco: “Non mi risulta che per essere dei buoni fantini bisogna essere stati dei cavalli”. Il pregiudizio si vince con le idee, spesso i grandi giocatori non riescono a trasmettere altrettanto bene come in campo le loro conoscenze. Mourinho non ha giocato, ma è intelligente e le sue interviste non sono mai banali. Il suo calcio però, tranne al Porto, non è mai stato molto bello a vedersi».L’Inter vincerà ancora lo scudetto senza problemi?«Il campionato può perderlo solo in due casi: se disperde tutte le energie nella Champions o se una parte del gruppo non risponde con le stesse motivazioni del passato. La motivazione è la benzina, senza quella non si può far correre neppure una Ferrari».