Agorà

PROVOCAZIONE. Pollicino si educa da sé: le favole bocciano l’interventismo pedagogico degli adulti

Luigi Ballerini giovedì 24 maggio 2012
Dobbiamo necessariamente far cadere una certa idea di inettitudine dell’infanzia. Incredibile come talvolta l’adulto si permetta di utilizzare il termine «bambino» in tono dispregiativo, quando ad esempio dice: «Non fare il bambino!». Questa frase viene per lo più indirizzata agli adulti (in senso sempre dispregiativo), ma a volte la si sente attribuire anche ai bambini stessi. Roba da non credere! I bambini degli inetti? Pensiamo alle fiabe classiche! Un esempio per tutti è Pollicino: viene abbandonato dai suoi, eppure non solo l’orco non se lo mangia, ma addirittura il piccolo la spunta su di lui e su sua moglie. In più Pollicino (che è un bambino che sta bene) trova il modo per accumulare un tesoro e non coltiva per nulla l’idea di vendicarsi dei suoi che l’hanno abbandonato. Piuttosto torna a casa con il denaro e rende ricchi tutti. Molta tradizione fiabesca va in questa direzione: viene rappresentato un bambino che se la sa cavare bene, che ha una sua maturità e addirittura porta un vantaggio all’adulto (la fiaba infatti spesso inverte la situazione che riteniamo più ovvia: è l’adulto che ci guadagna dal rapporto con il bambino). Possiamo concludere che i bambini partono maturi. Sono cosciente che questa affermazione può stupire e forse indispettire molti, infatti va contro tutta quell’imponente e radicatissima corrente di pensiero che li considera dei contenitori vuoti da riempire, delle tabulae rasae su cui scrivere. Anche la scuola purtroppo li vede spesso secondo quest’ottica. E siccome sono così privi di tutto, gli adulti – genitori, amici, insegnanti, educatori – ritengono che i bambini vadano stimolati in continuazione con giochi didattici, Dvd educativi o giochini che non abbiano come scopo in primis quello di divertire, ma stimolare abilità e competenze. Rispetto all’idea di stimolare i bambini, il pensiero non può non correre agli esperimenti di fisiologia del secolo scorso, quelli in cui a una rana morta o mezza stecchita veniva dato uno stimolo, elettrico, per suscitarne e studiarne le contrazioni. Il bambino non ha bisogno di stimoli, semmai ha bisogno di spunti di pensiero. Non dobbiamo stimolarli continuamente. Ma a noi piacerebbe se ci riservassero un simile trattamento? È completamente diverso sollecitare associazioni spontanee, offrire qualcosa – giochi, ma soprattutto idee – di cui il bambino possa farsene qualcosa in proprio mettendoci del suo. A volte si tende a riempire il bambino di spiegazioni o indicazioni o comandi con un fine totalizzante. Si pretende di essere esaurienti. Si cerca di spiegare tutto, con la tentazione di creare un piccolo enciclopedico. Altro invece è suggerire qualcosa che a noi interessa e lasciare al bambino che se ne faccia qualcosa lui. Senza avere rispetto del fatto che il bambino è in grado di pensare in proprio, si tende in molti casi a dire tutto, anche ciò che è inopportuno perché non richiesto. Il troppo del dire rivela l’angoscia dell’adulto. Dobbiamo piuttosto permettere al bambino di trarre lui le sue conclusioni. Spunti di pensiero sono ad esempio i giudizi che mamma e papà si scambiano fra loro, quelli che lui ascolta senza essere direttamente coinvolto. Questi diventeranno poi oggetto della sua successiva elaborazione, fatta in proprio e condivisa con i grandi se li valuterà all’altezza di ricevere le sue confidenze. Spunti di pensiero sono quei suggerimenti che lasciano aperto il «valuta anche tu», «vedi se ti piace», «e tu che ne dici?». Esiste ad esempio un buon modo di dire al bambino «arrangiati!» che non è affatto indice di abbandono, ma va in questa direzione amorevole, ossia: «Pensaci un po’ tu. Se ti servo io sono qui, ma vedi se vuoi provarci prima tu». Lo si può dire ad esempio ai piccolini per l’acquisizione della piena autonomia motoria e ai più grandi anche per favorire le loro iniziative nel reale. Ritenere che il bambino sia un otre vuoto da riempire è misconoscere la sua competenza di partenza, in quanto capace di pensare una legge per il proprio moto, orientato all’ottenimento del piacere e all’allontanamento del dispiacere. Il bambino non è affatto infantile, è l’infantilismo dell’adulto che lo riduce a un essere incompetente bisognoso di tutto.