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IL CASO. RaiUno la polemica investe il reality con profughi e vip

Ilaria Sesana martedì 6 agosto 2013
​Raccontare in prima serata la vita e i drammi dei rifugiati. Questo l’obiettivo di  The Mission il reality show “umanitario” che andrà in onda in prima serata su Rai Uno il 4 e l’11 dicembre. Protagonisti otto vip (tra cui Albano Carrisi, Michele Cucuzza, Barbara De Rossi ed Emanuele Filiberto) che andranno a operare per 15 giorni nei campi profughi di Sud Sudan, Mali e Congo. Un format confezionato con la collaborazione dell’Acnur (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati) e della ong Intersos per «sensibilizzare il pubblico sulla realtà delle missioni umanitarie», si legge in un comunicato Rai. «L’opinione condivisa da molti è che si parli troppo poco delle crisi umanitarie – spiegano da Intersos – l’umanitario è sempre rimasto nelle ultime pagine dei giornali quotidiani». Nel dubbio tra oblio e reality la ong ha scelto di accettare la sfida «per dare riconoscimento a queste persone, in particolare ai rifugiati».Malgrado le buone intenzioni non sono mancate le critiche, concentrate soprattutto il format scelto per il racconto, ovvero la formula del reality show. «Temiamo la sofferenza sbattuta in prima serata. L’uso, nel vero e proprio senso della parola, di storie e persone», commenta Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir). E se è vero che in Italia si dovrebbe lavorare per cambiare il modo in cui i media comunicano il tema delle migrazioni forzate, bisogna evitare di «abbassare il livello del modello di comunicazione per trovare spazi». Durissimo il commento di Guido Barbera, presidente del Cipsi (coordinamento che unisce oltre 40 associazioni di solidarietà internazionale) che parla di spettacolo «al limite della pornografia umanitaria. La realtà in cui vivono quotidianamente centinaia di milioni di persone non può essere presentata come un gioco». Il rischio, secondo Barbera, è che i rifugiati finiscano con il fare da sfondo a «semplici performance paternalistiche dei vip. C’è poi il tema etico della pubblicità – aggiunge – quali sono i ricavi stimati dalla Rai per la vendita di spazi pubblicitari durante questo reality?»Del resto per conoscere le dure condizioni di vita di profughi e rifugiati non serve nemmeno andare fino in Africa: ogni giorno, il Centro Astalli di Roma presta accoglienza a centinaia di profughi, molti dei quali giovanissimi afghani. «Il pericolo – spiega il direttore, padre Giovanni La Manna – è di provocare l’emozione dello spettatore per il solo tempo della visione, poi si cambia canale e si passa ad altro». Facile suscitare le emozioni di “pancia” e magari spingere «la signora benestante» a donare due euro per i poveri profughi afghani. «Ma come mai la stessa signora che incontra gli stessi ragazzi fuggiti dal loro Paese che dormono alla stazione Ostiense non si commuove più?», chiede il sacerdote. Dure critiche arrivano anche dalla rete: Claudia Mocci, 26 anni, è una volontaria che ha trascorso sei mesi in Ciad e a settembre tornerà nel Paese africano. Nei giorni scorsi ha scritto una lettera, pubblicata dal sito di Volontari per lo sviluppo: «Credo sia importante raccontare e descrivere quello che succede nei campi profughi – spiega –. Ma non concordo con la prassi di mostrare la sofferenza per avere un ritorno». La giovane cooperante sottolinea l’importanza di una narrazione diversa, più rispettosa dei diritti di uomini, donne e bambini che hanno perso tutto:«Perché proprio il reality?», si chiede. Il dibattito cresce anche su Twitter, dove nelle ultime ore si sta moltiplicando l’hashtag #nomission per chiedere alla Rai di sospendere la trasmissione e invitare a firmare la petizione sulla piattaforma change.org. «Fermiamo questo scempio – si legge nel testo della petizione – chiediamo alla Rai, all’Acnur e a Intersos di annullare questa operazione lesiva della dignità umana».Risponde alle critiche Emanuele Filiberto che definisce «utile e interessante» il programma. «Non vedo dov’è la strumentalizzazione, piuttosto – aggiunge – è strumentale la polemica di chi parla senza aver visto e capito cos’è il progetto. Tra l’altro non c’è nessun premio in palio nè un cachet, io non ho preso un euro. Non solo, ma tornando mi sono impegnato a sostenere due progetti per i bambini soldato in Congo».