Agorà

Visioni italiane. Piscitelli, dentro la notizia

Giuseppe Matarazzo domenica 23 agosto 2015
Capire cosa c’è dietro. È questa la molla che spinge il giovane fotoreporter napoletano, Giulio Piscitelli, classe 1981, a girare l’Italia e il mondo per raccontare la notizia. Con quest’ansia di conoscenza, nel 2011, ha raggiunto la Tunisia, per guardare con i suoi occhi quello che avveniva, avviene al di là del Mediterraneo, mentre qui assistiamo – fra l’accoglienza e le polemiche – all’arrivo di migliaia di disperati con i barconi che approdano a Lampedusa, quando riescono a farlo, o raccogliamo le vittime di tragici naufragi. «Sono stato nei campi, nel deserto, ho seguito le loro rotte, fino all’imbarco ». Piscitelli è salito a bordo di un barcone della speranza, macchina fotografica al collo, con un centinaio di migranti e ha attraversato con loro il Mare “Nostrum”. «Ventotto ore di navigazione in condizioni estreme, vivendo quello che vive questa massa enorme di persone disposta a tutto pur di lasciarsi alle spalle i drammi della propria terra. È stata l’esperienza più incredibile della mia vita». Si ferma. Poi riprende: «Mi ha fatto vedere le cose da un altro punto di vista, il loro. Nei loro occhi c’era la paura, la speranza, la voglia di cambiare, la sorpresa di poter arrivare in un nuovo posto. E ricominciare. Alcuni erano preparati, avevano provato altre volte, erano stati rimpatriati e ci riprovavano, perché vale la pena provarci, sempre. C’era chi arrivava davanti alla barca, metteva i piedi in acqua e restava lì, immobile, spaventato, di più, terrorizzato da quell’enorme scatolone d’acqua da affrontare di notte. C’era chi veniva dall’interno e vedeva il mare per la prima volta. E si arrendeva, dopo aver fatto chissà quale viaggio. È stata dura, la traversata. Un viaggio nel buio, fra le onde, senza poterci muovere. Fino all’approdo, liberatorio. Quando sono in giro nella mia città, nelle nostre città cerco quei volti. Nei loro occhi rivedo quello che hanno passato. E tanta umanità». L’immigrazione è uno dei grandi temi dell’attualità italiana ed europea. Piscitelli lo ha affrontato in maniera capillare negli ultimi anni, andando al cuore del problema. In Tunisia, ma anche in Siria, in Afghanistan e nei Balcani. Lo intervistiamo al rientro da un reportage in Serbia, sulla rotta dei nuovi flussi migratori proprio siriani e afghani. «C’è un passaggio molto consistente, non se ne parla, ma la situazione è grave. Da questa via arrivano intere famiglie con bambini piccoli. Se decidi di affrontare un viaggio del genere significa che non hai altra scelta. Non hai altre opzioni. Per questo mi infastidisce la faciloneria con cui si semplifica spesso in Italia come in Europa, il dramma dell’immigrazione. Non guardiamo oltre i numeri, non andiamo al cuore del problema, dove tutto inizia, anche a un’ora e mezzo d’aereo. In Siria quelle persone scappano da qualcosa di inconcepibile. L’unico modo per continuare a vivere è scappare. E questo è». Un barcone della speranza con 120 persone viaggia verso Lampedusa, in mezzo al Mar Mediterraneo (2011). Dal libro «Il racconto onesto», Contrasto. Piscitelli si confronta con il mondo dell’informazione. L’approccio con la fotografia è giornalistico: «Prima credevo fortemente nella possibilità del giornalismo di cambiare le cose, orientare le scelte della politica. Adesso, non so. Mi chiedo quanto il nostro lavoro influisca e determini le scelte. Se è utile... Le foto del Vietnam determinarono un movimento di massa e scelte politiche negli Usa e nel mondo. Quanto le nostre foto dei barconi o quelle della Siria, o dell’Ucraina, hanno influenzato le scelte politiche, le azioni dei potenti della Terra e dell’opinione pubblica?». Ed eccoci al punto, al senso di un mestiere, quello del fotoreporter nella “società dell’immagine”. «C’è una bulimia di immagini – dice Piscitelli –, non c’è dubbio. Ma non è solo un problema di quantità. È anche di qualità, di velocità, di modalità di fruizione. Prima si comprava un giornale, si leggeva con attenzione un reportage e ci si soffermava sulle foto. Oggi la tendenza è a inondarci di pillole di notizie, soprattutto nei siti, a riempire le gallery di così tante immagini che poi scorriamo velocemente senza pensare, senza fermarci, senza alcuna empatia. Le immagini non sono fotografie, sono dei... selfie. Non c’è un passaggio di conoscenza, non c’è il senso di un racconto, di una testimonianza, ma solo un freddo e veloce flusso di informazioni. E su questo tutti gli operatori della comunicazione dovrebbero riflettere». Piscitelli percorre la sua strada, lavora molto con i giornali esteri e continua ad andare con coraggio lì «dove la notizia avviene ». Lo ha fatto per il tragico terremoto dell’Aquila come i tanti fatti della sua stessa Napoli. Il lavoro sulle migrazioni s’intitola From There to Here (alcune foto sono state raccolte nel volume edito da Contrasto, Il racconto onesto, a cura di Goffredo Fofi, pagine 376, euro 24,90). Da lì a qui. «Mi ha insegnato che è fondamentale dare il “benvenuto” all’altro, e prima di alzare muri, aprirsi all’incontro, allo scambio di conoscenza, al confronto». Gli altri, che sono anche nel nostro paese, nelle nostre città. Le differenze e le discriminazioni “interne”. Come il gap che separa Sud e Nord. «Noi meridionali abbiamo grandi colpe. Non sono i soldi che mancano, ma le idee. Anche nel mio lavoro, ho imparato che ci vuole una idea, un piano, un progetto prima di partire. Ma la mancanza di infrastrutture, di collegamenti è un problema “paese”. Perché al Nord sì e al Sud no? Per colpa di chi?». Piscitelli ha una formazione sociologica. Ha scelto a 28 anni di dedicarsi alla fotografia, «fotografando ». Il racconto di strada e sociale. «La fotografia ti impone di essere lì dove avviene la notizia. E io voglio esserci. Per capire cosa c’è dietro».