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Archeologia. Pisa, con il Museo delle navi torna repubblica marinara

Andrea Fagioli domenica 16 giugno 2019

L’allestimento del nuovo “Museo delle navi antiche” di Pisa

Un ritrovamento casuale. Il blocco dei lavori alla ferrovia. L’inizio di un processo di ricerca e di restauro lungo vent’anni. Era il 1998 quando alla periferia di Pisa, verso il mare, gli scavi per la realizzazione di un centro di controllo per la linea ferroviaria Genova-Roma, a fianco della stazione di San Rossore, portarono alla luce numerosi manufatti di legno. Gli archeologi chiamati sul posto capirono che si trattava di un ritrovamento eccezionale. Erano i resti di una nave romana. Pochi metri più sotto ne vennero fuori altri. Relitti in ottimo stato di conservazione, con i loro carichi di prodotti commerciali e le testimonianze della vita a bordo. Finiti sotto l’argilla dopo una delle tante alluvioni che periodicamente colpivano quel territorio all’epoca romana caratterizzato da un delta fluviale complesso, con l’Arno e il Serchio che sfociavano allora nello stesso punto dando origine a un bacino naturale e di conseguenza a una zona portuale con imbarcazioni alla fonda. Il cantiere della ferrovia si trasformò ben presto nel Cantiere delle navi antiche di Pisa, un centro dotato di laboratori, depositi e strumentazione che ha visto assieme al Ministero per i beni e le attività culturali la collaborazione di decine di istituzioni universitarie e di ricerca italiane e straniere con un ricco ed eterogeneo gruppo di professionisti.

Alla vigilia di San Ranieri, patrono di Pisa, la storia dei ritrovamenti e dei restauri segna una tappa fondamentale: l’inaugurazione del “Museo delle navi antiche” allestito negli splendidi ambienti degli Arsenali medicei nel Lungarno Ranieri Simonelli. A tagliare il nastro, è stato il ministro Alberto Bonisoli. Il sindaco Michele Conti parla di un progetto ambizioso e lungimirante che trasformerà l’area degli Arsenali nel maggior polo di attrazione turistica dopo Piazza dei Miracoli. Quello che era il punto di accesso in città delle navi, ancor prima dell’epoca della Repubblica marinara, dovrebbe diventare «il segnavia di tutti gli itinerari turistici di Pisa, verso la Torre pendente da un lato, verso i musei e le bellezze dei Lungarni dall’altro». Andrea Muzzi, soprintendente Archeologia, belle arti e paesaggio di Pisa e Livorno, rivendica il fondamentale apporto del Ministero per un investimento che comunque considera contenuto: 17 milioni di euro in vent’anni comprensivi dei cinque per il recupero della struttura a la creazione di quello che viene definito il «Museo archeologico che mancava a Pisa». Con il responsabile del progetto e direttore scientifico Andrea Camilli, che ci accompagna nella visita in anteprima, percorriamo i cinquemila metri quadri di superficie attraversando le otto aree tematiche e le 47 sezioni in cui è divisa l’esposizione. Si parte con la storia della città di Pisa tra archeologia e leggenda, fino alla fase etrusca prima e romana poi, conclusasi con l’arrivo dei Longobardi. Si prosegue con un focus sul rapporto della città con l’acqua, dalle catastrofiche alluvioni all’organizzazione del territorio tra canali e centuriazioni, fino a toccare il Porto di Pisa e tutta l’intensa attività produttiva cittadina.

Dalla ricostruzione dei cantieri si passa poi all’esposizione integrale delle navi, che occupa due campate degli Arsenali. Sono sette le imbarcazioni esposte databili tra il III secolo avanti Cristo e il VII secolo dopo, di cui quattro sostanzialmente integre: l’ammiraglia Alkedo da 12 rematori, un grande traghetto fluviale, un secondo barcone con ponti e albero ben visibili e una piccola imbarcazione per il trasporto merci. A queste si affiancano altre navi parzialmente recuperate e la ricostruzione di una porzione del cantiere di scavo. Seguono le sezioni che raccontano le tecniche di navigazione con un piccolo planetario per conoscere come gli antichi si orientavano con le stelle, mentre un tabellone elettronico degli arrivi e delle partenze racconta le principali rotte dei porti del Mediterraneo. Il percorso espositivo si conclude con un excursus sulla dura vita di bordo, sia per i marinai che per i viaggiatori, dall’abbigliamento ai bagagli, fino alle abitudini alimentari, ai culti e alle superstizioni. Non mancano curiosità e sorprese come il ritrovamento di un unguento per combattere tosse e raffreddore: una sorta di Vicks Vaporub dei tempi che furono. Ma anche giochi per bambini e per adulti, compreso un dado truccato. Durante i lunghi viaggi si giocava forse d’azzardo e qualcuno faceva il furbo. L’importante era riuscire a passare il tempo, sempre che le onde non complicassero tutto. Anche San Paolo, con sequenze cinematografiche degli Atti degli apostoli, contribuisce a far capire quanto disagevole fosse viaggiare per mare. Camilli parla con entusiasmo di museo-laboratorio, in continua trasformazione, nel quale ci si può anche divertire. C’è infatti grande attenzione all’aspetto didattico e ludico. Il giaccone del marinaio, opportunamente riprodotto, lo si può indossare. Un attaccapanni è lì a disposizione. C’è una ricerca su linguaggi accessibili e diversificati, adatti a tutti. Le didascalie sono ridotte al minimo, così come il ricorso al multimediale. Qua e là compaiono antichi libri con pagine plastificate in modo da essere tranquillamente sfogliati. Il visitatore non si deve comunque distrarre. La stessa illuminazione indirizza lo sguardo. Mentre un’opportuna volontà di conservare la struttura degli Arsenali ha spinto a mantenere in alcune sale le celle dei cavalli imponendo una narrazione in microcapitoli, quasi a piccoli passi. Ma questo è anche il bello di un museo che alterna appunto ambienti e spazi diversi per un unico racconto.