Agorà

Intervista. Piero Tosi una vita da Oscar

Fulvio Fulvi lunedì 14 luglio 2014
Quando, il 2 marzo, è salito sul palco del Dolby Theatre di Los Angeles per ricevere il meritato Oscar alla carriera, Piero Tosi non ha versato nemmeno una lacrima. Non era impassibile, beninteso, ma di piangere proprio non gli è venuto. «Perché gli attori e i registi premiati nei festival lo fanno? – si chiede con ironia  il grande costumista –. Io sono grato ai colleghi inglesi e americani che hanno puntato sul mio nome per la prestigiosa statuetta ma non saprei proprio manifestare alcun giubilo in un luogo del genere...».Eppure di premi il fiorentino Tosi, 87 anni, ne ha avuti tanti: 9 Nastri d’argento, 2 David di Donatello, 2 Bafta Awards a cui si aggiungono le 5 nomination all’Oscar per i migliori costumi in altrettanti film. È stato lo "stilista di scena" dei più grandi capolavori di Luchino Visconti (Il Gattopardo, Bellissima, Ludwig, Rocco e i suoi fratelli, Morte a Venezia, ma anche di Franco Zeffirelli (La traviata, Storia di una capinera), Pier Paolo Pasolini ( Medea), Mauro Bolognini, Vittorio De Sica e di tanti altri mostri sacri del cinema. Un simbolo dell’Italia nel mondo, testimone della vera "grande bellezza"  del nostro Paese. Oggi si conclude con successo la mostra che il Festival dei Due Mondi di Spoleto, grazie anche all’impegno della Fondazione Carla Fendi, gli ha dedicato. "I due mondi di Piero Tosi": disegni, fotografie, filmati d’epoca, musiche, video e splendide creazioni realizzate per il mondo del cinema e per quello del teatro lirico in un’emozionante esposizione nell’ex Museo Civico spoletino e nella chiesetta di Santa Maria della Manna d’oro in piazza Duomo. Sessant’anni di storia dello spettacolo.Maestro, c’è un abito del cuore tra i tanti che lei ha confezionato, un costume "difficile" che le ha dato soddisfazione?«Quando si lavora non si pensa mai a questo. Li rifacessi oggi, con l’esperienza acquisita, li cambierei tutti...Però, quello di Angelica nel Gattopardo mi impegnò molto: il personaggio, interpretato da Claudia Cardinale, doveva essere sopra le righe, rappresentare una metamorfosi da ragazza paesana a raffinata signora. Era pericoloso, si poteva cadere nel banale... ma alla fine la bellezza di Claudia ha risolto tutto».Come si lavorava con Visconti? È vero che era un regista pignolo fino all’esasperazione?«Non è vero quello che si diceva: camicie di seta con le iniziali nei cassetti del principe di Salina-Burt Lancaster non le ha mai richieste... Nell’Ottocento le camicie erano inamidate e lui questo lo sapeva. Sono bugie enormi, Luchino voleva solo quello che era necessario. Sarebbe stato uno stupido a pretendere di più. Pover’uomo, quante ne ha dovute incassare».Nella 57esima edizione il Festival dei Due Mondi celebra la sua arte di costumista. Ma lei era venuto qui anche nel 1957, quando tutto cominciò, per collaborare con Giancarlo Menotti...«Sì, ero all’inaugurazione. Il Festival è stato come una bomba esplosa in mano a tutti. È stato un bel rischio: Spoleto è bellissima ma per arrivarci c’era solo una stradina in bilico tra rupi e in mezzo alle montagne. Ma stranamente l’evento ha attaccato subito ottenendo un successo popolare e mondano, con i nobili umbri e romani che hanno ben accolto le proposte di Menotti, il quale ha portato qui il meglio del mondo. Ma non c’era nulla. Ricordo Laura Betti che si vestiva e si truccava in macchina. È stata un’avventura gioiosa. Bravo Menotti che ha saputo reggere. Adesso, forse, manca un po’ di mondanità, un ingrediente che paga in termini di immagine».La crisi in Italia travolge anche l’arte e la cultura. Come se ne esce, a suo parere? «Esiste una cecità completa. Vedo un futuro allarmante per i giovani. I ragazzi che escono dalla Scuola di Cinema nella quale insegno tornano a fare, col diploma in tasca,  i baristi e i camerieri... Non girano più i soldi, ci vorrebbe un maggiore interesse del governo per la cultura e lo spettacolo. I produttori cinematografici non rischiano più come accadeva tra gli anni ’50 e i ’70: allora bastava avere buone storie, dei personaggi robusti e si investiva senza timore».Ma non è che oggi, oltre ai soldi, al cinema mancano anche le idee? «No, non credo. Ci sono registi molto validi, come Olmi e Amelio, e anche i giovani sanno fare proposte interessanti».E anche per il teatro è una questione di mancanza di risorse economiche?«Sì, le piccole compagnie chiudono e le tradizioni si spengono. Non c’è denaro da spendere per il teatro e il teatro muore: è un processo lento e inesorabile. Non nascono più nuovi scenografi, costumisti... mancano le occasioni per creare nuove personalità». Neanche la moda si salva, secondo lei?«Io credo che la moda italiana sia ancora un punto di riferimento, anche se un po’ intiepidito. Ma il settore è in declino in tutto il mondo perché non vestirsi è diventata un’abitudine diffusa. Oggi per strada, a Roma come a Milano, si vede troppa gente in jeans e maglietta. Una volta non era così, ci si teneva a vestirsi bene, a presentarsi bene... La moda sembra invece che esiste solo se fa clamore, se è stravagante, e basta. Si veste male. Pensi che ho visto gente che va a teatro con gli scarponi da montagna. Ma ogni luogo ha una sua dignità. Se si continua così sarà fatale... Si perde il significato delle cose».