Agorà

Letteratura. Il secolo di Peter Weiss, voce critica della Germania

Marino Freschi martedì 22 novembre 2016

Lo scrittore e drammaturgo tedesco Peter Weiss (Potsdam, 8 novembre 1916 – Stoccolma, 10 maggio 1982)

Come ogni scrittore politicamente impegnato, Peter Weiss (1916-1982), di cui ricorre il centenario della nascita, è stato un testimone vigile, incorruttibile di questo ’900 tormentato: un protagonista appassionato, generoso, partigiano, sempre pronto alla lotta, alla polemica. Inoltre, come tanti altri intellettuali tedeschi di origine ebraica, anche lui si sentì stretto nell’atroce morsa tra l’odio per il regime disumano del Terzo Reich e l’amore per quella sua lingua tedesca, così dolce, espressiva di sapienti ironie e struggenti intimità. Emigrato a Stoccolma da Berlino – via Lugano (dove fu sostenuto paternamente da Hermann Hesse) e Praga – fu costretto ad assistere impotente allo sterminio a opera dei nazisti. Solo tardivamente cominciò a liberarsi dall’angoscia (quella che spinse al suicidio Paul Celan, Primo Levi e tanti altri "superstiti" dell’Olocausto) con la scrittura. Nel 1961 compose uno dei più bei libri del Novecento: Congedo dai genitori, dove riecheggia l’archetipo ebraico della fuga, della diaspora in lande remote, insieme con una raffinata adesione allo sperimentalismo novecentesco, alla poetica della memoria, con l’intensa rievocazione del tempo perduto. Sulla polarità "Esperimento e Impegno" si svolge da domani al 26 novembre un convegno internazionale all’Università di Ferrara a cura di Matteo Galli e Marco Castellari (che si può seguire in videostreaming). L’esilio connota tutta l’amarezza della sua prosa di raggelante, toccante solitudine, nonché la rabbia del suo teatro impegnato. È dagli anni ’60 che, per rompere il cerchio ferreo dell’isolamento, affiora in Weiss l’esigenza estetica ed etica di un confronto con la tragica situazione politica del dopoguerra evocata in due drammi potenti, che entrano di diritto nella storia del teatro contemporaneo: Marat-Sade (1964) e L’istruttoria (1965), in cui Weiss, erede ideale di Brecht, si emancipa dal teatro epico del maestro col dramma storico e inoltre percorrendo un suggestivo sentiero di attualizzazione, con la proposta di un teatro documentario con L’istruttoria, ricavata da un abilissimo montaggio dai protocolli giudiziari di un celebre processo contro i criminali nazisti. La scelta di Weiss è quella audace della denuncia: con lui rivive la tensione rigeneratrice del j’accuse zoliano, pervaso da un’irrefrenabile vocazione sperimentale a tutto campo, dalla pittura al disegno, dalla scrittura al cinema. La sua è una voce scomoda, fuori campo, fuori dalle due Germanie, nel suo definitivo esilio svedese. Né si poteva pretendere da Peter Weiss altro atteggiamento oltre quello suggerito dalla sua consapevolezza morale di rappresentare e tutelare i diritti dei calpestati, degli inermi e infine del proletariato del terzo mondo. Ma l’ultimo Weiss aveva corretto la rotta, riconoscendo il limite storico dell’ideologia marxista, da cui si stava emancipando con un’opera di grandiose proporzioni: un immenso affresco tra il romanzo e il saggio, ricavato dalla propria esperienza poetica e storica: l’Estetica della Resistenza. Sono pagine, fitte di rievocazioni e di meditazioni, che rappresentano il suo lascito spirituale ancora da valutare nella sua globalità e il convegno ferrarese costituirà una preziosa occasione per un bilancio della sua attività estetica e politica. Come Brecht, il drammaturgo "impegnato" Weiss, dopo l’immensa fortuna degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, conosce oggi una sorta di rimozione, ma solo temporanea, ché il suo teatro ha una vitalità che prescinde dall’attualità politica. Inoltre vi è un Weiss elegiaco, quello di Congedo dai genitori e Punto di fuga del 1962, che s’inseriscono nella tradizione più vitale della letteratura tedesca, quella che va dai romantici a Heine e giunge fino a Hesse, che protesse e incoraggiò il giovane esule, accogliendolo generosamente nella sua casa in Ticino. Ed era, questa, una profonda affinità di due solitari e di due ribelli che conferma la sottile natura lirica di Weiss.