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FUKSAS. Le periferie? Salve con l’agopuntura

Leonardo Servadio mercoledì 23 gennaio 2013
​La schermata del sito mostra un planisfero e in ogni continente ci sono tanti punti, più o meno densi. Mostrano le architetture realizzate da Massimiliano Fuksas nel mondo: «Mi aiuta a sentire che la mia patria è ovunque - esclama il noto progettista -  Ma, più che per la presenza delle mie opere, per quel che ho imparato dagli altri. Persone e popoli diversi, so che siamo tutti uguali...»Ma c’è il problema del «genius loci»: costruire ovunque, portare ovunque un approccio progettuale...«Checché se ne dica, non è una novità. San Pietroburgo è stata praticamente realizzata da architetti italiani, e questo non le impedisce di essere una città autenticamente russa. L’influenza di Palladio si è allargata in tutto il mondo, il suo trattato è stato fondamentale per le scuole di architettura fino al ’900. In Inghilterra e in America ci sono numerosissime architetture palladiane, anche recenti. Lo stesso si può dire dell’architettura romana o ellenistica, per non parlare dell’architettura benedettina o dello stile gotico, o del barocco che sono diventati linguaggi universali. Non lo "stile internazionale", non la "globalizzazione" hanno inventato gli scambi e le contaminazioni tra luoghi anche lontani: è sempre stato così. Come la ricerca scientifica vive di continui interscambi tra tutti i paesi, lo stesso avviene per l’architettura, che tra l’altro è in parte arte, ma in parte anche soggetta a influssi della tecnologia e della scienza. E poi i luoghi sono in continuo cambiamento, a volte drastico. Foreste diventano deserti e deserti foreste: il contesto non è mai rigido. Gli architetti che lavorano nel mondo non possono cambiare abito mentale ogni volta che vanno in un altro paese. Se un giapponese progetta in Europa, resta pur sempre giapponese... Così anche l’architettura aiuta la reciproca conoscenza tra i popoli e il loro affratellamento».Le periferie, piatte e indistinte, ovunque uguali: ha qualche idea su come migliorarle?«Smettere di chiamarle "periferie": considerarle invece "città". Nel centro storico di Roma abitano 127 mila persone, e nelle sue periferie oltre due milioni. A Parigi, città di circa 11 milioni di abitanti, nove milioni stanno fuori della cerchia storica: "extra moenia" come dicono. Dov’è dunque la "città"? Per me è chiarissimo: è dove abitano le persone. Il giudizio estetico corrente critica il centro commerciale, al paragone con la bottega e il negozietto che nel centro storico consentono ancora rapporti umani... Ma bisogna anche fare i conti con i numeri. In una città di cinque milioni di abitanti attraversata da grandi flussi di persone è difficile mantenere l’organizzazione tipica della cittadina da 30 mila abitanti. Nei nuovi quartieri i centri commerciali, diventano anche occasioni di incontri: e si organizzano per favorirli. Così accanto al megastore nascono i bar e altri luoghi di incontro».C’è che propone interventi di "agopuntura urbana" per migliorare le periferie.«Ne parlavo già 30 anni fa: è meglio lavorare con l’agopuntura che con l’atomica. Piccoli interventi che danno un senso e un’organizzazione ai quartieri: un’aiuola in uno slargo, persino un balcone fiorito... Il problema è quello della massa critica: una città di due milioni di abitanti ha bisogno di interventi proporzionati. I grandi flussi, le persone che si spostano per lavoro da zone residenziali lontane - e la crisi economica aumenta il pendolarismo - generano nuove necessità».Lei ha realizzato molte opere a Parigi.«La più recente è la sede degli Archivi Nazionali di Francia, a Pierrefitte St. Denis: è il primo edificio dell’Eliseo fuori dal centro storico. Se si realizzano opere importanti e alte, luoghi di cultura quali biblioteche, teatri, centri di ricerca... le nuove aree cittadine ne vengono nobilitate. E poi fondamentale è il tema dei trasporti».Parigi è un buon esempio?«Rispetto a quanto si vede in Italia, può esserlo. Le periferie sono servite di solito da trasporti che le collegano al centro, così chi deve andare da una, a un’altra zona  periferica, deve compiere spostamenti radiali, a triangolo: prima verso il centro e poi da questo alla sua destinazione. A Parigi intendono realizzare la grande cintura metropolitana per collegare tra loro i più nuovi insediamenti esterni. Uno strumento indispensabile perché la periferia sia veramente città: se si hanno amici in zone lontane e non vi sono trasporti diretti, è inevitabile "vedersi in centro"; se vi sono collegamenti diretti, ci si può incontrare altrove. La città è fatta dalle persone prima che dagli edifici. Se c’è armonia tra le persone, questa si riflette anche negli edifici».L’architettura non può incidere su questo? «La cosa più importante è l’educazione. Certo, un tessuto urbano mal fatto può favorire l’emarginazione, ma non generarla. E l’architettura buona non è mai frutto del solo progettista, che dispone solo della propria creatività: vi concorrono il committente e il costruttore, coloro che decidono se, quando e dove costruire, e con che progetto. L’architettura è per eccellenza arte comunitaria».