Agorà

Olimpiadi 2024. Parigi, partecipare non basta più

Daniele Zappalà giovedì 29 ottobre 2015
Iniziamo con Parigi il viaggio nelle 5 città candidate ad ospitare le Olimpiadi del 2024. Dopo le altre sfidanti, Los Angeles, Amburgo e Budapest la serie si chiuderà con Roma.
Perché affidarsi a un’agenzia di comunicazione se i braccialetti “Paris 2024” può concepirli l’asso trentunenne Luc Abalo, duplice oro olimpico della pallamano nel 2008 e nel 2012? E perché non scommettere fin da subito sulla banlieue nord, quella tragica dei roghi del 2005, come sede multietnica dell’auspicato villaggio per gli olimpionici di ogni contrada? Di trovate simili, destinate a mostrare l’autenticità e l’apertura del progetto parigino, gli strateghi dello sport francese ne hanno vagliate già tante, comprese quelle probabilmente ancora in serbo in attesa del momento più propizio. E dallo scorso giugno, quando la candidatura è divenuta ufficiale, promettono che questa volta sarà quella buona, dopo una serie di tentativi sfortunati (Lilla nel 2004, Parigi nel 2008 e 2012, Annecy per i Giochi invernali del 2018). Ampio uso ha già fatto Parigi del celebre principio “l’importante è partecipare”, che il barone Pierre de Coubertin riprese da un sermone pronunciato in America. Per motivarsi e convincere, i precetti più gettonati sono adesso “sbagliando s’impara” o “chi la dura la vince”. I fasti d’inizio Novecento si allontanano sempre più. Eppure, Parigi non ha scelta. L’eredità decoubertiana rimane il punto di partenza obbligatorio di ogni iniziativa olimpica transalpina. Nel 1900, fu grazie al barone che la Ville Lumière si aggiudicò praticamente d’ufficio l’onore di aprire il primo “secolo olimpico” della modernità, in concomitanza con l’Esposizione universale. E nel 1924, i delegati del mondo intero cedettero nuovamente, offrendo alla Francia un altro privilegio coi fiocchi, oltre che con gli anelli: lo stesso anno, Olimpiadi a Parigi e prima edizione invernale della storia a Chamonix, ai piedi del Monte Bianco. Quell’anno, Parigi bruciò sui nastri di partenza proprio Los Angeles e Roma, oltre a due città, Amsterdam e Praga, geograficamente vicine alle altre odierne concorrenti Amburgo e Budapest. Ma come fare in modo che nel 2024, esattamente 100 anni dopo, la storia si ripeta? Se c’è una lezione che i commissari parigini assicurano di aver imparato a memoria, soprattutto dopo il braccio di ferro perduto di soli 4 voti con Londra per l’edizione del 2012, è che l’energia per organizzare i Giochi deve erompere dal basso, ovvero dal movimento sportivo di base. Simbolicamente, a giugno, sono stati dunque degli sportivi a lanciare la candidatura presso la sede del Comitato olimpico. L’indirizzo, avenue Pierre de Coubertin, evocava ancora i tempi eroici. Ma protagonisti della cerimonia, più che i dirigenti federali, erano 150 atleti talora già medagliati ai Giochi, come la nuotatrice Laure Manaudou, la spadista Laura Flessel, il judoka Teddy Riner, l’astista Renaud Lavillenie, detentore dall’anno scorso del nuovo record del mondo indoor (6,16 metri) che ha spodestato il leggendario ucraino Sergej Bubka. L’astista francese ha lanciato una promessa solenne: «Se abbiamo i Giochi, posticiperò il ritiro per farne parte». Mentre la Flessel, medagliata 5 volte, assicura di voler «lavorare anche per i giovani che hanno bisogno di essere fieri». Nell’agosto 2003, i Mondiali di atletica erano stati un indiscutibile successo organizzativo. E quell’esperienza resta un ottimo biglietto da visita in mano al Comitato transalpino. Sempre sul piano strettamente sportivo, i francesi assicurano che circa l’80% degli impianti esistono già. E per non scontentare il Midi, Marsiglia è già designata per accogliere le prove di vela. Inoltre, più in generale, Parigi cercherà di enfatizzare il proprio status di capitale europea dei congressi, degli eventi espositivi e del turismo, con infrastrutture all’altezza dei grandi flussi di visitatori. Ma questo non basterà. E Denis Masseglia, presidente del Comitato olimpico nazionale, ha ribadito così la questione chiave: «Speriamo che molti francesi condivideranno questo sogno». Una scommessa non da poco, se si pensa che Parigi non ha necessariamente bisogno dei Giochi per brillare su scala planetaria. E una certa sazietà da grandi eventi potrebbe, quindi, lasciare tiepidi i parigini in occasione delle visite dei delegati del Cio. Anche se il sindaco Anne Hidalgo, di origine spagnola, spera di scongiurare il pericolo giocando la carta d’attualità del multiculturalismo: «Vogliamo enfatizzare l’unità e la solidarietà di questa città cosmopolita. Sarà una delle chiavi per vincere». Non si è invece finora troppo sbilanciato il presidente socialista François Hollande, promettendo una candidatura «esemplare sul piano ambientale, economico e civico». Il costo previsto della campagna di sensibilizzazione è di 60 milioni di euro. Ma a livello politico, c’è pure chi rema contro, a cominciare dal “tribuno rosso” Jean-Luc Mélenchon, l’ex candidato all’Eliseo della sinistra radicale che critica i costi, l’utilità e i possibili inconvenienti urbani del progetto: «Faccio notare che la Grecia, sotto un governo di destra, ha commesso la stupidaggine di accogliere i Giochi. Oggi, si possono visitare delle rovine riempite d’erba». E scalpitano pure i Verdi della capitale, per i quali «non sono state date tutte le garanzie e i costi fin qui evocati, soprattutto quelli per i Giochi stessi, 4,5 miliardi di euro, sono sottostimati». La tregua olimpica, insomma, non ha ancora contagiato Parigi.