Agorà

Anniversario. I duecento anni di Pio VII, il papa che affrontò i “tempi nuovi”

Filippo Rizzi sabato 19 agosto 2023

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Amava definirsi «Vicario del Dio della pace» per come seppe da buon monaco benedettino – seppur per natura e indole si sentisse “sottratto” al mondo – tutelare i diritti della Chiesa dalle prepotenze di Napoleone ma anche delle corti europee. Ma fu soprattutto un Pontefice che si trovò gettato quasi “catapultato” nella bufera dei moti impetuosi provocati dalla Rivoluzione francese e dalle guerre napoleoniche e chiamato poi a vivere con lungimiranza e rettitudine la fase della Restaurazione e il ritorno dell’Ancien Régime dopo il Congresso di Vienna del 1815.

In questa immagine densa e forse romantica si staglia la solenne figura del servo di Dio papa Pio VII (1742-1823), al secolo Barnaba Gregorio Chiaramonti, che proprio il 20 agosto di 200 anni fa, 81enne, si spegneva a Roma dopo un pontificato durato ventitré anni e mezzo (1800-1823): tra i più lunghi nella storia della Chiesa dopo quello del beato Pio IX, Leone XIII, san Giovanni Paolo II e dell’amato predecessore, cesenate come lui Pio VI, al secolo Giovanni Angelo Braschi, il vescovo di Roma ritenuto “martire” dall’agiografia del suo tempo perché morì prigioniero di Napoleone a Valence in Francia il 29 agosto 1799.

Dal 15 agosto 2007 la Congregazione (oggi Dicastero) delle cause dei santi, a nome della Sede Apostolica, ha concesso il “nulla osta” all’introduzione del processo di beatificazione di Pio VII. Attore della causa è la diocesi di Savona-Noli: una scelta simbolica e non casuale perché in questo angolo del ponente ligure papa Chiaramonti soggiornò in quanto “prigioniero” di Napoleone per quasi 3 anni dal 1809 al 1812. Il 31 ottobre 2021 si è tenuta nella cattedrale Nostra Signora Assunta di Savona, alla presenza del vescovo Calogero Marino e del postulatore don Giovanni Margara, la cerimonia della prima sessione della fase istruttoria della causa di beatificazione di papa Chiaramonti.

Ma chi era questo austero benedettino esperto di arti e di teologia, bibliofilo per inclinazione naturale, formato in una cultura giansenista ma non ostile per questo ai temuti gesuiti? Barnaba Chiaramonti nacque a Cesena il 14 agosto 1742. All'età di 14 anni entrò nel monastero di Santa Maria del Monte nella sua città natale, prendendo il nome di Gregorio. A 23 anni il 21 settembre 1765 fu ordinato sacerdote. Divenuto professore di teologia, cominciò a insegnare nei complessi monastici dell'Ordine benedettino a Parma (San Giovanni Evangelista) e a Roma. Nel febbraio 1775, con l'elezione a pontefice del concittadino Giovanni Angelo Braschi, fu nominato priore dell'abbazia di San Paolo fuori le mura a Roma: un luogo a cui Chiaramonti rimase sempre legato per tutta la vita e forse anche per questo gli fu tenuto nascosto dai suoi più fidati collaboratori della Curia romana – tre settimane prima della morte – il gigantesco incendio che il 16 luglio 1823 devastò l’amata basilica papale.

Il 16 dicembre 1782, Pio VI lo nominò vescovo di Tivoli: nella piccola città laziale, famosa per i suoi siti e le memorie archeologiche, Chiaramonti non solo mostrò doti di buon pastore ma si manifestò ai suoi fedeli come un vescovo attento alle prescrizioni del Concilio di Trento. Il 14 febbraio 1785, a soli 42 anni fu creato cardinale e destinato a vescovo di Imola, dove rimase per 15 anni; qui accolse tanti ex gesuiti che dopo la soppressione della Compagnia del 1773 non sapevano dove svolgere il loro ministero sacerdotale. Certamente degna di nota fu l’omelia della notte di Natale del 1797 in cui non solo non stigmatizzò il nuovo regime napoleonico ma si mostrò disposto al dialogo. In quell’intervento, come ha spesso sottolineato nei suoi studi lo storico Mario Rosa, intravide un possibile punto di incontro tra «cristianesimo e democrazia rivoluzionaria».

A segnare il destino del religioso benedettino fu il Conclave (1 dicembre 1799-14 marzo 1800) nell’isola di San Giorgio a Venezia sotto ospitalità degli Asburgo d’Austria perché Roma era occupata dai francesi. Il Sacro Collegio cardinalizio dopo centoquattro giorni scelse come successore di papa Braschi proprio lui, Barnaba Chiaramonti.

I primi atti del ministero petrino di Pio VII fu di trovare una via di conciliazione col regime bonapartista. Nel 1801 Pio VII sottoscrisse con Napoleone il famoso Concordato: un atto che permise, in un certo senso, il “ristabilimento” del cattolicesimo in Francia. E nel 1804 questa “intesa” culminò nella consacrazione di Napoleone I da parte del Papa nella chiesa di Notre-Dame a Parigi.

Tra i gesti più simbolici del suo pontificato vi fu quello di far tornare dalla Francia in Vaticano il corpo di Pio VI e di presiedere in San Pietro i solenni funerali (17-18 febbraio 1802). Un evento unico quello di un Papa che celebra i funerali del suo predecessore che si è ripetuto solo recentemente, più di due secoli dopo, il 5 gennaio scorso, quando Francesco ha voluto presiedere sul sagrato di San Pietro la messa e il rito esequiale per il papa emerito Benedetto XVI.

Solo poco tempo dopo il clima di conciliazione che Chiaramonti aveva tentato di instaurare con Napoleone vacillò velocemente: il Concordato fu spesso violato dalla Francia e il 17 maggio 1809 vi fu da parte di Napoleone l’annessione all’Impero di ciò che rimaneva dello Stato Pontificio (Umbria e Lazio). E certamente memorabili furono in quel frangente le parole lapidarie, pronunciate dal Palazzo del Quirinale ormai in mano ai francesi, con cui Pio VII salutò quel sopruso: «Non debemus, non possumus, non volumus»: non dobbiamo, non possiamo e non vogliamo.

Da quella data cominciò per lui la via dell’esilio dalla sede petrina prima a Savona (1809-1812) e poi a Fointainebleau (1812-1814). E poi ancora il rientro a Savona nel 1814 per volere di Napoleone prima della sua liberazione e il trionfale ritorno a Roma. In quello stesso anno decise la ricostituzione della Compagnia di Gesù (soppressa nel 1773 da Clemente XIV) con la bolla Sollicitudo omnia ecclesiarum. Sempre in quegli anni soppresse la tortura e i diritti feudali dimostrando che la “Restaurazione” non poteva rappresentare un ottuso ritorno al passato. Negli anni finali del suo regno (1814-1823) fu proseguita la risistemazione “neoclassica” di Roma avviata con il concorso di Canova e Valadier (basti pensare al Pincio e a piazza del Popolo). Sempre papa Chiaramonti offrì nella Città eterna anche generosa ospitalità in «un autentico spirito di misericordia» come ha sottolineato recentemente il postulatore don Giovanni Margara, alla madre e alla famiglia di Napoleone, che nel frattempo aveva dovuto intraprendere la via dell’esilio verso Sant’Elena.

A 200 anni dalla sua scomparsa rimane ancora attuale il giudizio del suo maggiore biografo, lo storico Philippe Boutry: «Papa delle rivoluzioni, Pio VII attraversò nel pieno del suo svolgersi la storia dell’Impero napoleonico e della Restaurazione di Metternich, affrontò la prova dei cinque anni di prigionia con una disposizione d’animo provvidenzialista che implicava, da parte sua, fermezza sul piano dei principi, fedeltà all’eredità ricevuta e rassegnazione alla volontà divina. In questa luce, nei suoi gesti di fierezza come pure nelle sue esitazioni, egli appare il Papa dei “tempi nuovi”».