Agorà

La scoperta. Otranto, il mosaico è Divino

Alessandro Zaccuri domenica 27 settembre 2015
Satana ha tre volti, questo lo sappiamo. E anche la lonza «leggera e presta molto» è proprio come ce la immaginiamo quando leggiamo il primo canto dell’Inferno. Più in là ci sono i peccatori tormentati dai serpenti, c’è perfino il pozzo nel quale i dannati finiscono a testa in giù. Niente di strano, se questa fosse un’edizione illustrata della Commedia dantesca. Si tratta, invece, dell’imponente mosaico che il prete Pantaleone porta a termine nella cattedrale di Otranto nell’anno 1165, esattamente un secolo prima della nascita del poeta. Possibile che sia soltanto una coincidenza? Una serie di coincidenze, anzi. A porsi la domanda è stato, più di mezzo secolo fa, il sacerdote pugliese Grazio Gianfreda, morto nel 2007 all’età di 94 anni dopo essere stato a lungo parroco della stessa cattedrale idruntina. Appassionato di storia locale e autore di numerose pubblicazioni, tra cui un poema in tre cantiche ispirato al mosaico di prete Pantaleone, monsignor Gianfreda ha avuto l’indubbio merito di cogliere e analizzare nel dettaglio le non poche similitudini tra questo capolavoro del Medioevo figurativo e il poema di Dante, senza mai formulare un giudizio definitivo. Tant’è vero che il suo più fortunato saggio sull’argomento, ora riproposto nell’edizione riveduta dal nipote, monsignor Quintino Gianfreda, si intitola semplicemente Suggestioni e analogie tra il Mosaico di Otranto e la Divina Commedia (Grifo, pp. 124, euro 10: per informazioni www.edizionigrifo.it). Resta il fatto che le analogie ci sono, e le suggestioni sono molto numerose. A cominciare da quelle che riguardano la storia editoriale del libro, apparso per la prima volta nel 1964, in tempo per il duplice centenario dell’anno successivo (completamento del mosaico e nascita di Dante), rivisto nel 1966 anche sulla base delle lusinghiere recensioni ricevute e di nuovo aggiornato nel 1974. Quella attuale è dunque la quarta versione, edita in concomitanza di un altro doppio anniversario (850 anni del mosaico, 750 dalla nascita del poeta).

La lonza, una delle «tre fiere» descritte anche da Dante all’ingresso dell’inferno.L’impianto, in ogni caso, è rimasto immutato. Per monsignor Gianfreda l’opera di Pantaleone corrisponde all’estrema manifestazione dell’Impero bizantino, con il quale Otranto, «Gibilterra adriatica», intrattiene da sempre rapporti strettissimi. Nei secoli successivi si afferma invece la “Cristianità” europea d’Occidente, che ha in Dante il suo più grande interprete. Un dialogo tra giganti, dunque, che non esclude il contatto diretto. Nulla vieta, ipotizza con discrezione lo studioso, che le vicissitudini connesse all’esilio da Firenze abbiano portato il poeta anche in Meridione. Magari proprio a Otranto, dove avrebbe potuto ammirare il famoso mosaico e trarne ispirazione per i suoi versi. Non diversamente dalla Commedia, infatti, la decorazione della cattedrale presenta uno schema tripartito, nel quale hanno fondamentale importanza le raffigurazioni di Inferno e Paradiso. In un caso come nell’altro, inoltre, l’immaginario biblico si contamina con quello pagano o comunque secolare (celebre, a Otranto, il ritratto di rex Arturus, vale a dire re Artù). Ma a colpire di più sono le rispondenze puntuali. In entrambe le opere, per esempio, si dà spazio a un “antinferno” dove si incontrano «tre fiere» di esplicito valore allegorico: lonza, leone e lupa. Nel mosaico, annota Gianfreda, la lonza sembra sostituita da un orso, salvo riaffiorare – riconoscibilissima – in un’altra scena dell’opus tessellatum. All’aspetto tripartito di Satana si è già accennato, così come al pozzo ad apertura circolare nel quale sprofondano i simoniaci. La sovrapposizione in ogni senso più impressionante è quella tra i canti XXIV-XXV dell’Inferno, nei quali è descritta la punizione dei ladri in Malebolge, e la porzione del mosaico in cui spadroneggiano i serpenti: un dannato viene morso a «l’una e l’altra guancia», un altro viene azzannato alla nuca, non manca neppure l’inquadratura che pare alludere alla mostruosa metamorfosi incrociata tra rettile ed essere umano. Certo, in quest’ultima occasione Dante si pone in dichiarata emulazione rispetto a Ovidio e Lucano, e anche in altre circostanze il ricorso a una fonte comune (la Scrittura, anzitutto, oltre ai bestiari e alle fantasiose relazioni di viaggio medievali) potrebbe in qualche misura giustificare le assonanze tra la Commedia e il mosaico di Otranto. Tutto questo, però, non sminuisce affatto la consonanza colta con esattezza da monsignor Gianfreda: siamo davanti a due “opere mondo” che non solo si prefiggono il medesimo scopo, ma lo raggiungono con strumenti del tutto analoghi. Il motivo per cui questo accade potrebbe essere nascosto nei meandri ancora inesplorati della biografia di Dante. O forse è una dimostrazione del fatto che, pur restando lontana da Bisanzio, Roma non ne è mai stata davvero separata.