Agorà

ANTICIPAZIONE. Omero e Montale, i libri di Barsotti

Serafino Tognetti martedì 14 febbraio 2012
Non si può parlare delle fonti di don Divo e ignorare la sua biblioteca. Don Divo si costruì e si costituì in tanti anni una preziosa biblioteca, luogo per lui vitale, che al termine della sua vita ammonterà a circa 12.000 volumi. Acquistava personalmente i libri, li leggeva sottolineandoli, facendo anche dei brevi commenti negli spazi in margine. Amava entrare in dialogo con gli autori che via via andava conoscendo e studiando. Non era di quelli che vanno a prelevare il testo nelle sale di una biblioteca per poi riporlo, una volta letto, nello scaffale con un certo distacco; non esageriamo se affermiamo che i libri che andava acquistando diventavano per lui quasi come dei figli. E i figli non si possono prestare ad altri: rimangono tuoi. Egli pertanto non acquistava mai dei libri se non quelli che veramente lo interessavano; e, per questo, quello che comprava leggeva. Don Divo lesse moltissimo. Passava ore e ore immerso nella lettura. Lettura e preghiera furono senza dubbio le attività portate avanti da lui con maggiore continuità e profondità di coinvolgimento. Per conoscere Barsotti, e farsene una idea giusta, è dunque fondamentale accostarsi alla sua biblioteca ed entrare, così come oggi possiamo, nel mondo delle sue letture. Prima del “cosa”, è importante però capire “come” don Divo leggeva. Ciò che più lo interessava era entrare in contatto vivo con i diversi autori. Tante volte dichiarò che gli interessava più sant’Agostino che i suoi trattati teologici, più san Tommaso che la "Summa theologiae". È evidente che, cercando di entrare nel cuore dell’autore attraverso la lettura, egli poi ne capisse anche meglio gli scritti, con logica circolare: conosco il testo, arrivo all’autore, capisco meglio il suo messaggio. È doveroso parlare allora, più che di autori, di “amicizie spirituali”. Egli sentiva l’urgenza di stringere amicizie spirituali con coloro che gli parlavano di Dio o, meglio, lo aiutavano ad addentrarsi di più nel Mistero, anche se non necessariamente dovevano essere autori spirituali.
Per questo egli sentiva la necessità di entrare in rapporto di amicizia non solo con i teologi, gli scrittori ecclesiastici e i santi, ma anche con i letterati, i poeti, i filosofi, i musicisti, i pittori, compresi i peccatori e gli atei. Nel diario ci si imbatte spesso in lunghi elenchi di nomi di scrittori, che egli conosceva e con i quali aveva da tempo aperto un colloquio spirituale. Tra essi, nomi famosi come Omero, Sofocle, Virgilio, Dante, Shakespeare, Goethe, Dostoevskij, Manzoni, Balzac, O’Neill, Verga, eccetera, ma anche meno conosciuti come Li Po, Wang Wei, Hardy, Murasaki, e artisti e poeti quali Brecht, Neruda, Eliot, Kafka, Rilke, Montale, Chagall, Cervantes, Bach, Giotto… Il bisogno che don Divo aveva di leggere era consequenziale a quello di conoscere la realtà con gli occhi di questi grandi pensatori e artisti, per fare poi le proprie sintesi e trasformarle in vita propria. «L’uomo ha bisogno meno di mangiare il pane che i libri – affermava don Divo –; io non riesco a capire come si possa vivere senza sentire la necessità di studiare, di conoscere». Entrare in contatto con i Padri, i santi, gli uomini di genio, era addirittura più necessario che relazionarsi con il prossimo: «L’importanza che hanno le letture non l’hanno la conversazione e il rapporto personale». Anche se poi, evidentemente, era nel rapporto di carità con le persone in carne e ossa, che la ricchezza proveniente dalle letture diveniva vita. Per questo motivo non si può dire che egli ebbe dei veri e propri maestri. Anzi, don Divo stesso mette in guardia chi volesse fare una ricerca sulle sue fonti. Don Divo leggeva, pensava e scriveva, per poi prendere atto che altri, nello stesso tempo ma molte volte con altra formazione e in altri luoghi, diceva più o meno la stessa cosa, senza che vi fosse dipendenza reciproca. «Mi ricordo lo stupore che ebbi quando conobbi i libri di Durrwell – scrive don Divo all’amico don Emilio Grasso –: mi sembrò di averli scritti io stesso, tanto quel pensiero esprimeva in modo più sistematico quello che io avevo già scritto o pensato». Prima del Concilio Vaticano II don Divo aveva meditato e scritto, per esempio, sul valore della liturgia come accesso al mistero di Dio, o anche sulle religioni non cristiane come "praeparatio evangelica", o sui sacramenti della Chiesa come cammino di divinizzazione dell’uomo, o ancora sulla divina Rivelazione nelle sue fasi progressive. Su tali temi, sviluppati poi nella riflessione conciliare e resi patrimonio comune della Chiesa di oggi, egli trovò allora sintonie, più o meno profonde, con pensatori che andava conoscendo attraverso le letture e con i quali stabilì presto rapporti personali di dialogo epistolare e di incontri diretti; e parliamo di Henry de Lubac, Louis Bouyer, Jean Danielou, Hans Urs von Balthasar. Per questo motivo gli scritti di don Barsotti mantengono intatta ancora oggi, a distanza di cinquant’anni, una loro originalità. La libertà del suo pensare e del suo dialogare con interlocutori di tale livello, che stimava e amava, rimase comunque intatta fino alla fine, tant’è che su alcuni di essi, quali von Balthasar e lo stesso Durrwell, non mancava di esprimere perplessità su alcuni punti della loro teologia. Assolutamente in sintonia Barsotti si trovava con quei teologi che denunciavano il penoso divorzio tra teologia e spiritualità. Su questo punto probabilmente furono gli scritti del cardinal John Henry Newman quelli che apprezzò di più, ma anche Romano Guardini fu da lui letto con interesse.