Agorà

LONDRA 2012. Il fuoco olimpico spegne i Riot

Paolo Lambruschi mercoledì 8 agosto 2012
​Sulla Green way, la via principale di Forest Gate, pieno East End, appena sbucati dalla fermata del metro di Upton park sei nella città mondo. Alle spalle del quartiere olimpico, l’unica vetrina inglese è l’Edinburgh pub, punto di ritrovo del West Ham, la squadra di calcio dei londinesi più poveri. Gli altri cento negozi sono pakistani, arabi, africani, indiani e bangla, gli ultimi due a comprensibile distanza dai pakistani...  Si può trovare a prezzi scontati il miglior abbigliamento etnico, il Corano e il tasso di cambio del Taka - la valuta del Bangladesh -, spedizionieri che riescono a mandare di tutto nei villaggi più sperduti dell’India, macellerie halal e gioiellieri degli Emirati arabi. A mezzogiorno passeggiano bionde dell’est e teenagers nere accanto a donne velate o col volto coperto, che spingono passeggini ascoltando musica dalle cuffiette e ragazze che tengono lo sguardo basso quando incontrano un uomo, ma parlano in perfetto inglese al telefonino. In questo miscuglio di razze e culture, mai integrato sotto la patina di tolleranza, scoppiarono giusto un anno fa i riot, i saccheggi e i disordini nelle zone meridionali e orientali della metropoli per propagarsi fino a Oxford Circus, il centro scintillante ed esclusivo. I saccheggiatori partirono da questi quartieri dopo l’uccisione da parte della polizia in circostanze mai chiarite del 29enne Mark Duggan, ma l’intento non era chiedere giustizia, quanto prendere dai negozi quello che non si poteva acquistare. Le tensioni covano sotto la cenere. Anche il sindaco di Londra Boris Johnson ha ammesso che le cause della violenza non sono state rimosse. Si riferiva al circolo perverso disoccupazione, emarginazione e povertà che lascia i ragazzi in balia delle gang dove trovano protezione, senso di appartenenza e un coltello in tasca. Nei quartieri che circondano il parco olimpico il tasso di disoccupazione è al 40%.Accanto al tempio sikh spicca la vecchia scuola cattolica di San Bonaventura, dove studiò Jermain Defoe - calciatore della nazionale olimpica britannica - e che ospita una piccola Gmg olimpica, “The Joshua camp”. In questi giorni centinaia di volontari, da qui, hanno dato vita a una vera e propria azione missionaria nell’East End che inizia nel primo pomeriggio con lo sport e prosegue alla sera con la preghiera nelle chiese, aperte per l’adorazione eucaristica fino alle 23. «Al pomeriggio accogliamo un’ottantina di ragazzi dagli 11 ai 16 anni – spiega William, capo animatore –, tutti con situazioni di disagio e potenziali membri di gang. Appartengono a tutti i gruppi etnici e alle fedi religiose, non facciamo distinzioni. Si gioca a uno sport olimpico, come basket o volley, però le medaglie le diamo alla squadra più leale e corretta».Al campo ieri si è aggiunta suor Catherine Mary, al secolo Kirsten Holm, francescana del Rinnovamento e nazionale olimpica statunitense di pattinaggio, nei 1500 e 3000 metri skeet ai Giochi invernali di Nagano, nel 1998. Dieci anni fa, dopo una laurea in arti visive, prese i voti e, oggi, lavora con i poveri nel nord dell’Inghilterra, a Leeds. «È importante che ci siano testimoni credibili di valori come quelli dello sport, gli stessi valori della vita. Lo dirò in questi giorni ai ragazzi nell’East end. Lo sport che preferisco? Ho poco tempo per allenarmi, mi piace soprattutto il ciclismo».A San Francesco d’Assisi, parrocchia del villaggio olimpico e a Santa Caterina da Siena a Bow, zone infestate da bande, molti vanno ad assistere alle gare dai maxischermi, soprattutto i più giovani in preda alla febbre olimpica. Sorprendente l’interesse per la preghiera. La formula è quella di “Nightfever”, nata alla Gmg di Colonia nel 2005, che consiste nell’aprire le porte della chiesa e invitare la gente a entrare per la preghiera eucaristica.«I musulmani spesso passano davanti alla parrocchia e gridano insulti – spiega Lucy Mackain Bremner, missionaria laica della Comunità Emmanuel –, oppure i teppisti vengono a scrivere graffiti sui muri. Noi dialoghiamo, parliamo di Dio e molti ragazzi di famiglie islamiche sono entrati di sera in chiesa, in silenzio. Da quando è in vigore la tregua olimpica non sono più avvenuti atti di violenza. La polizia ci ha comunicato che in questi giorni nell’East End la pace è tangibile. La gente spera che dopo i Giochi arrivi il lavoro, dopo che hanno portato negozi e servizi di trasporto». La pace nell’East End è fatta di tante cose, una è cominciare a rispettarsi da bambini su un campo di gioco.