Agorà

Pesaro. Oggi il Rossini opera festival sceglie l'essenziale

Pierachille Dolfini mercoledì 12 agosto 2020

La “platea” di piazza del Popolo a Pesaro per il Rof

Intorno a piazza del Popolo la vita prova a riprendere. Bar e negozi aperti, la passeggiata che porta al mare è frequentata, ma non affollata come al solito. Perché a Pesaro (come dappertutto) qualcosa è cambiato. Qui il coronavirus ha colpito pesantemente, specie all’inizio della pandemia con contagi e vittime. E l’estate della città marchigiana non è la stessa di sempre. Anche l’estate musicale che a Pesaro da quarantuno anni è tutta del Rossini opera festival, nato per celebrare il genio di casa, che ha sempre qualcosa da dire con le sue note. Anche in questa ripartenza. Una parola (una musica) che è tutta dell’anima. Non poteva che essere così. Perché ci si guarda dentro in momenti come questi. E si guarda (inevitabilmente) in alto. « Agnus Dei qui tollis peccata mundi miserere nobis » la richiesta di pietà dell’uomo che si rivolge a Dio nel momento del dolore. « Agnus Dei qui tollis peccata mundi dona nobis pacem » l’invocazione accorata di pace di chi cerca di guardare con serenità al tempo che verrà. Parole e note che si levano dal cuore di Pesaro.

Da piazza del Popolo, appunto, il teatro all’aperto dell’edizione 2020 del Rof (ridisegnata completamente salvando il salvabile e aggiungendo appuntamenti tutti nel rispetto del distanziamento sociale), che non ha voluto partire senza prima rendere omaggio alle vittime della pandemia, ma anche a tutti gli operatori che si sono messi al servizio della collettività, medici e infermieri, volontari della Protezione civile. Molti di loro sono seduti in platea: posti distanziati e mascherine indossate sino a non si raggiunge il proprio posto, un grande spazio per l’orchestra in modo che ogni musicista sia seduto al proprio leggio. La statua di Rossini a osservare da una nicchia del palazzo delle Poste. Uno sguardo dentro, per trovare la forza per rialzarsi. E uno in alto, verso un cielo limpido di stelle. Che sono poi le due dimensioni, quella orizzontale e quella verticale, appunto, che Rossini mette nella sua Petite Messe solennelle, datata 1863, quando le opere liriche sono ormai un lontano ricordo. La dimensione umana, umanissima di chi guarda alla propria vita e cerca di lanciare lo sguardo oltre, a una dimensione trascendente per provare a “guadagnarsi” il paradiso. Come scrive lo stesso Rossini una volta scritta l’ultima nota della partitura. «Buon Dio, ecco terminata questa mia piccola messa. È una musica benedetta quella che ho appena fatto o è solo della benedetta musica? Ero nato per l’opera buffa, lo sai bene. Poca scienza, un poco di cuore, tutto qua. Sii dunque benedetto e concedimi il Paradiso».

Risuona come ouverture del Rof 2020 la Petite Messe solennelle, preghiera per chi non c’è più, ringraziamento per chi si è speso per gli altri. Risuona nella sua versione più intima e raccolta, quella originale per due pianoforti ed harmonium. Quasi scarna. La sensazione è quella di una rinuncia all’effetto per concentrarsi sull’essenziale, sulla capacità della musica di farci riflettere sul nostro presente ed aprirci, allo stesso tempo, una finestra sul paradiso. Come capitato in piazza, all’anteprima del Rof quando Pesaro si è raccolta per un minuto di silenzio per pensare a chi non c’è più. «Un omaggio doveroso che abbiamo realizzato molto volentieri come anteprima dell’edizione 2020 del Rossini opera festival quando il Comune ci ha chiesto un concerto per ricordare le vittime », spiega il sovrintendente Palacio. Tocca poi alla musica. Alessandro Bonato affonda le mani nell’impasto musicale di Rossini, guida un’esecuzione tesa e a tratti commovente della Petite Messe solennelle. Lo assecondano il coro del Teatro della Fortuna di Fano, il trio di strumentisti (Giulio Zappa e Ludovico Bramanti ai due pianoforti, Luca Scandali all’harmonuim) e il quartetto vocale di solisti, Mariangela Sici- lia, Cecilia Molinari, Manuel Amati, Mirco Palazzi. Concentrati e intensi (e amplificati vista la collocazione all’aperto) nel restituire la musica/preghiera di Rossini. Perché il vero significato di questa Petite Messe solennelle, al di là del piacere artistico/estetico di ascoltare una partitura ispirata, era tutto nel ritrovarsi e fare memoria, nello stringersi dopo settimane di distanza e ripartire. E anche l’emozione che ha increspato la voce di qualcuno dei solisti non era fuori luogo.

Intense Mariangela Sicilia e Cecilia Molinari, la prima commovente con la sua voce screziata nel Crucifixus del Credo e nell’O salutaris hostia, la seconda capace di porta dentro lo sguardo di speranza nell’Agnus Dei finale. Più emozionati, invece, gli uomini, quasi trattenuti nel dispiegare le loro (bellissime) voci, Mirco Palazzi nel Quoniam del Gloria e Manuel Amati al quale, quasi a freddo, tocca l’impervio Domine Deus (montagne russe per il tenore rossiniano) che il cantante pugliese (reduce da un malessere) porta a casa lottando e rendendolo, dunque, ancora più umano. E lo sguardo ripiegato non manca poi di alzarsi. Di cercare un motivo per andare avanti. In quell’O salutaris hostia( che non è parte dell’Ordinarium della Messa, ma che Rossini inserisce nella sua partitura) che spalanca all’uomo, già qui e ora, «le porte del Cielo».

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