Agorà

INTERVISTA. Leo Nucci: «Verdi va portato ai giovani»

Pierachille Dolfini giovedì 10 ottobre 2013
Fa un certo effetto sapere che stasera, lui che da sempre è una delle voci verdiane per eccellenza – basti pensare ai 22 ruoli in 46 anni di carriera o al fatto che tra poco taglierà il traguardo delle 500 recite di Rigoletto – non sarà su un palco a festeggiare. Sarà in platea, al Municipale di Piacenza, per la prova generale di Luisa Miller. Sempre Verdi, naturalmente. Ma questa volta Leo Nucci, smessi i panni del vecchio Miller, indosserà quelli del regista. «E per la mia prima volta dietro le quinte ho scelto di dirigere un gruppo di giovani cantanti, molti dei quali hanno da poco compiuto vent’anni».Come ha raccontato ai ragazzi, maestro Nucci, la grandezza di Verdi?Facendoli lavorare su quello che ancora oggi, al di là della musica eccellente, ci fa amare questo compositore, la sua umanità. Mi ci sono confrontato sempre, ogni volta che ho portato in scena un suo personaggio. Ed io, credente, mi sono trovato a fare i conti con il Verdi non credente e ho trovato comunque un uomo di una grandissima spiritualità. Era un burbero per la sua visione della vita. Ma aveva un cuore dove c’era posto per tutti: ha costruito ospedali, ha realizzato la Casa di riposo per musicisti, è sempre stato vicino ai coltivatori delle sue terre. Diceva: «Dalle mie terre gli uomini non emigrano». Perché erano terre dove l’umanità veniva prima di tutto. Una lezione per il nostro oggi, di fronte alle tragedie dell’immigrazione.

E Verdi come ha riversato questa umanità in musica?

Portando nelle sue opere i valori della sua gente. «Sono un contadino delle Roncole» diceva di sé. Un uomo della terra con i valori della terra. Si alzava alle 5 della mattina e andava a visitare i suoi campi. Burbero, dicevo. Questo suo lato lo si ritrova nella "Vendetta" di Rigoletto, quella che il pubblico mi chiede sempre di bissare. Mi sono domandato il perché. Per sentire il la bemolle? Non proprio. Ma forse perché tutti abbiamo qualche scheletro nell’armadio da esorcizzare, vedendolo sul palco e magari dando la colpa, come fa Rigoletto, alla maledizione. Ecco la grandezza di Verdi che ci stana con la sua musica. Per questo certe attualizzazioni registiche appaiono forzate.

Quindi niente «Rigoletto» in jeans…

La regia la fa già Verdi nelle sue partiture, nel suo fare prima di tutto teatro. Per questo occorre il massimo rispetto per un autore che dice «Guardiamo al passato se vogliamo andare avanti». Verdi è stato l’unico a innovare davvero il melodramma. Prima di lui i ruoli erano codificati: il tenore innamorato del soprano ostacolato dal baritono. Il maestro, invece, porta tutti i personaggi allo stesso livello, comprimari compresi, perché tutti sono importanti in quanto portano un po’ di umanità. Peccato che il Verismo non ha saputo far sua questa lezione tornando indietro. E anche per questo mi tengo stretto il mio Verdi.

Anche perché i ruoli per baritono sono profondi e carichi di umanità.

I grandi padri raccontati da Verdi. Penso a Rigoletto, Nabucco, penso a Luisa Miller dove i protagonisti sono due padri, uno espressione del potere che si perpetua, Walter, l’altro, Miller, della libertà e della speranza. Nelle sue parole vedo una eco di quelle che quotidianamente va ripetendo papa Francesco.​