Agorà

Novecento in versi. Il secolo d'oro della Polonia

Maurizio Cucchi giovedì 29 dicembre 2016

Zbigniew Herbert

La poesia polacca del Novecento ha dato esiti straordinari, per complessità di pensiero e forma, per l’elevato livello intellettuale e di ricerca. Lo conferma in pieno la recente pubblicazione degli ultimi versi di Zbigniew Herbert, L’epilogo della tempesta (Adelphi, pp.180, euro 20), in un volume che raccoglie poesie scritte tra il 1990 e il ’98 (anno della morte dell’autore, nato nel 1924) con la preziosa aggiunta di un ricco capitolo di testi sparsi scritti tra il 1950 e gli ultimi anni di vita di Herbert, con il sigillo di questo distico finale: «Dove passerai l’eternità? / Non lo so. Forse tra la sabbia delle nebulose».

La curatrice del volume, Francesca Fornari, nella sua postfazione, inquadra subito, con efficace sintesi, il carattere di questo poeta, «bardo dell’opposizione nella Polonia di Solidarnosc», nonché «artista enigmatico e contraddittorio», pur se generalmente etichettato come «poeta classico». Ma Herbert è poeta inquieto della memoria e del corpo, dove la prima, oltre al continuo riemergere di brandelli del vissuto, arriva a coinvolgere il mondo classico, lega indissolubilmente alla tradizione. Il presente è dunque in costante relazione col passato, e la poesia, come ebbe a scrivere il nostro autore, «è figlia della memoria». Quanto al corpo, con i suoi «miseri segreti», la sua esplicita presenza ha un ruolo decisivo in vari testi, come in questo “Commiato”: «Sono calmo dobbiamo prendere commiato / i nostri corpi hanno assunto il colore della terra». Il mondo poetico di Herbert è comunque molto aperto e vario, per temi e registri. Importante è la metafora del viaggio, originale la creazione di un personaggio, un alter ego, e cioè il Signor Cogito. Profondo è il senso della ferita prodotta dalla storia, con le tragiche vicende che hanno determinato per gran parte l’esistenza del poeta, nato a Leopoli, che, per tornare alla Fornari, «subì le occulazioni dei sovietici e dei nazisti, e che sarà poi la prima incarnazione del mito herbertiano della città assediata dalla violenza umana». L’importanza di Herbert viene anche dalla libertà delle sue scelte stilistiche. Passa infatti da una versificazione molto scandita e ritmica a componimenti decisamente prosastici e materici fino a veri e propri brevi testi in prosa. Si sposta da un dire medio alto a uscite anche ironiche. Riflette, sempre con limpidezza di accenti, sul senso e il valore della parola e realizza preghiere in cui tocca i vertici di questa sua fase pietica finale. Ecco l’attacco del “Breviario”: «Signore, / ti rendo grazie per tutta questa cianfrusaglia della vita, in cui annego senza scampo da tempi immemorabili, mortalmente assorto nella continua ricerca di minuzie». I testi sparsi di Herbert sono stati editi in Polonia, nel 2008, a cura di Ryszard Krynicki, un notevolissimo poeta della generazione successiva, nato nel 1943 in un lager austriaco e pubblicato anche in Italia.

E questo ci riporta al concetto iniziale, e cioè al grande valore della poesia polacca contemporanea, che oltre ai premi Nobel come il grande Czeslav Milosz (1911-2004) e Wislawa Szymborska (1923-2012), ha dato le opere di Tadeusz Rósewicz (1921-2014), e, in tempi più recenti, di Adam Zagajewsky (1945), figura di primissimo piano in campo internazionale, che con Krynicki aveva fatto parte del gruppo Nowa Fala, la nuova ondata, la generazione del ’68 che comprendeva anche Krysztof Karasek (1937), Julian Kornhauser (1946), Stanislaw Barançzak (1946-2014). E vorrei aggiungere almeno i nomi di Ewa Lipska (1945), Marzanna Bogumila Kielar (1963). Krystyna Dabrowska (1979), di Stanislaw Raginiak (1952), scusandomi per il lungo elenco e chiudendo con le parole di Josif Brodskij: «la Polonia è una terra straordinariamente fertile per i poeti».